Quando il cielo è sgombro da nuvole, l’alba su Ponte Vecchio è una lama di luce che arrotonda la propria punta. La forza di quel bagliore è resa più morbida dal passaggio attraverso i tre piccoli e identici archi, disegnati al centro della struttura, dove trova accoglienza il percorso dei passanti. E se l’Arno è una tavola d’acqua, l’intensità del fascio luminoso è catturata anche dal basso. L’energia che si dosa, invece d’essere sprigionata senza controllo. Come una squadra di calcio che misura la sua potenza, per canalizzarne l’impeto nella maniera migliore. Perché anche la natura, se lasciata a se stessa, rischia di danneggiare la sua bellezza. E la città di Firenze, con l’arte e la natura che ne disegnano le fattezze, non può non essere definita bella. Lungo le sue vie, hanno camminato artisti e scienziati. Letterati, rivoluzionari, uomini di chiesa e di Stato. E, naturalmente, rappresentanti di quel piccolo cosmo, che ruota intorno a un pallone. I gigliati della Fiorentina hanno scritto pagine avvincenti della storia del calcio italiano. Come per alcune altre storiche società, alle conquiste di importanti trofei, si sono alternati momenti di profonda delusione. Come il fluire delle acque di un fiume. Domenica, le maglie viola dei calciatori della Fiorentina di oggi incroceranno il cammino con quelle biancazzurre degli spallini. Il flusso dell’Arno contro quello del Po, per rimanere nell’alveo geografico. Badando ciascuno, a non finire risucchiato in un gorgo. «E io: per mezza Toscana si spazia un fiumicel che nasce in Falterona, e cento miglia di corso nol sazia», le parole di Dante Alighieri, nel quindicesimo canto del Purgatorio, quando incontra Guido del Duca e Rinieri da Calboli. Le acque dell’Arno che attraversano tutta la valle. Il senso di grandezza che non trova sazietà, nonostante le numerose distanze percorse.

Provo a traslare il concetto in ambito calcistico, dirigendolo al passato recente della storia gigliata. Raccontata da quei giocatori che hanno attraversato gli anni Ottanta e Novanta. La grandezza, il desiderio legittimo di sazietà, e il rapporto non facile fra i due elementi. Il talento più puro, più cristallino, che affonda nel cuore degli anni Settanta, risponde al nome di Giancarlo Antognoni. Il futuro campione del mondo della Nazionale di Enzo Bearzot, sposa la causa viola, in veste di calciatore, dal 1972 fino al 1987. Il capitano e la bandiera della Fiorentina, curiosamente, non è nato a Firenze, ma a Marsciano, in provincia di Perugia. Eppure, vedergli toccare il pallone a centrocampo è una delizia. Come il gusto dei bomboloni. Quei dolci assaggiati al mattino, accompagnati dal sole che sorge sull’Arno. Il cui morso, restituisce un senso di appagamento, prima di affrontare una giornata di lavoro. Ecco, nella carriera di Giancarlo c’è posto per una Coppa Italia, per una Coppa di Lega Italo-Inglese, per un amore autentico dei tifosi. A non arrivare, tuttavia, e lo scudetto, l’appagamento finale. Arrivano però gli infortuni. A causa di uno scontro di gioco, è costretto a saltare l’intera stagione 1984/85. Quella che coincide con l’approdo e la permanenza in Toscana del brasiliano Socrates. Il centrocampista, promotore della Democrazia corinthiana in Brasile, atterra in Italia carico di entusiasmo. Malgrado abilità, visione di gioco e doti tecniche del giocatore della Nazionale verdeoro, i risultati della squadra non sono fortunati. Come sfortunate sono le vicende della vita di Socrates, che muore nel dicembre del 2011, in seguito all’aggravamento delle sue condizioni di salute. Fino all’ultimo, fedele alle proprie convinzioni politiche e al suo Corinthians.

Una coppia di attaccanti viola, devastanti nelle aree di rigore avversarie, è composta da Roberto Baggio e da Stefano Borgonovo. Giocano insieme nell’attacco della Fiorentina, nell’annata 1988/89. Quattordici gol per Stefano, quindici per Roberto, in quella stagione che la squadra di Firenze concluderà al settimo posto in campionato. L’avventura in Coppa Italia, invece, si fermerà ai quarti di finale, contro la Sampdoria. Però, che giocate lì davanti, quando si scambiano la palla il centravanti e il fantasista. Baggio resterà un altr’anno a Firenze, poi andrà via, destinazione Juventus. E il 6 aprile del 1991 si consumerà la sfida fra le due squadre, con il ‘divin codino’, stavolta bianconero, che si rifiuterà di tirare un rigore contro la sua ex squadra e, uscendo dal campo per una sostituzione, raccoglierà una sciarpa viola lanciata dagli spalti. Per la cronaca, quel penalty venne sbagliato da De Agostini, e la Juve perderà la partita, senza qualificarsi alle coppe europee. Borgonovo, invece, l’anno successivo a quello in coppia con Baggio, disputerà un’annata nelle fila del Milan, per poi continuare la carriera, per un paio d’anni ancora a Firenze, e quindi girovagando fra Pescara, Udine e Brescia. Purtroppo il destino, qualche anno più tardi, gli riserverà una delle malattie più crudeli, la Sla. E Stefano morirà nel giugno del 2013. A ricordarlo, l’affetto dei compagni e quello dei tifosi delle squadre, delle quali ha vestito le maglie, come Como e Milan, oltre alla Fiorentina.

Gli anni Novanta a Firenze non possono che identificarsi in Gabriel Omar Batistuta. Il centravanti argentino conquista l’amore della tifoseria, non solo perché realizza reti a raffica, sublimate dal gesto della mitraglia davanti alla bandierina del corner. Ma probabilmente quando sceglie di seguire la squadra retrocessa in serie B, nella stagione 1992/93. La promozione giunge un anno più tardi, anche in virtù delle sue prestazioni e dei suoi gol. Una Coppa Italia e una Supercoppa italiana entreranno nel palmares. A dargli manforte, nella squadra, c’è il portoghese Manuel Rui Costa. Dal dialogo fra i due, nasceranno le azioni più pericolose, contro i rivali di quegli anni. Quando la coppia smetterà di giocare, la musica tarderà a risuonare. Un’altra retrocessione, poi una risalita, fino ai tempi moderni. Con una squadra dal gioco dinamico, che si affida anche ai piedi di un giovane. Federico Chiesa, figlio di Enrico, un altrettanto brillante ex attaccante viola. L’estro fa ancora capolino in quel di Firenze. Che continua a svegliarsi ogni mattina, fra i suoi monumenti e i suoi sapori. Le sue lune storte e le sue canzoni. Come quella di Pupo dedicata alla stazione di Santa Maria Novella, che canta di «colazione con i bomboloni, e guai a chi parla male di Antognoni».

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