INTRO: Cos’è POLIS SPORTIVA?

Quando il difensore Paolo Cannavaro, nel gennaio del 2014, decide di trasferirsi in Emilia, l’impressione è quella di un salto nel buio. La scelta che porta il sesto giocatore partenopeo con il più alto numero di presenze nel club, fratello dell’ultimo pallone d’oro italiano, a lasciare la città di Napoli per accasarsi in quel di Sassuolo, probabilmente deriva dal suo impiego limitato. Solo quattro presenze in quella stagione nella squadra azzurra, allora allenata da Rafael Benitez. Per i neroverdi, appena approdati nella massima serie, una situazione di classifica che è un eufemismo definire disperata. Certo, dietro c’è una società solida legata a un marchio importante. Eppure il debutto in serie A, non è esente da sonore sconfitte. E poi, c’è quel senso di straniamento con cui fanno i conti i tifosi di un centro che non è provincia, quando si recano nello stadio della città più vicina per sostenere la propria squadra. Eccoli dunque, ad affrontare le partite in casa, dal campo di Reggio Emilia. Due soli pareggi valgono i primi due punti in sette gare, lasciando presagire un cammino in ripidissima salita. Cannavaro però non si scoraggia e affronta questa scommessa. Le sue prestazioni nel reparto arretrato lo condurranno a essere un elemento imprescindibile della formazione. Cambia dunque la musica. I punti arrivano e il Sassuolo si salva alla penultima giornata del girone di ritorno. Ancora oggi, malgrado l’età che avanza, Paolo è uno dei quattro davanti al portiere, a provare a difendere il risultato contro le attuali avversarie. Il prossimo match è proprio contro i biancazzurri della Spal. Il medesimo numero di punti in classifica è una premessa per un intenso ritmo della gara. E a proposito di musica, proprio perché la cittadina emiliana ha dato natali, o accoglienza, a personaggi legati alle note, abbiamo provato uno stravagante esperimento. Saltellando fra alcuni titoli di brani, interpretati da sassolesi doc o d’adozione, abbiamo tentato di raccontare una sorta di parabola del tifoso, alle prese con le ansie, le gioie e le delusioni della prima volta in serie A.

Nessuno mi può giudicare.

La hit interpretata dalla modenese Caterina Caselli ha compiuto lo scorso anno mezzo secolo di vita. La cantante, che dal capoluogo si trasferisce a Sassuolo, partecipa con il brano al festival di Sanremo del 1966 e si piazza al secondo posto. Un ritmo martellante che la rende presto un tormentone. E un testo che, all’epoca, invita a sospendere i giudizi sulle questioni sentimentali. Se anche l’emozionalità dei tifosi ricade in tale contesto, ecco che il messaggio si traduce in un monito a fidarsi dell’impegno del mister e della squadra quando le cose non vanno. Specialmente se la massima serie è un palcoscenico sul quale si debutta. D’altronde la lotta per la salvezza si nutre di dolore, di pareggi strappati all’ultimo minuto, di resistenza. E soprattutto è nemica dell’impazienza.

Eppure soffia.

Il cantautore Pierangelo Bertoli, nato a Sassuolo, dopo averla scritta, la incide nel 1976. Un inno dedicato alla forza e all’energia della natura, che continua a pulsare nonostante gli effetti collaterali del progresso, secondo l’interpretazione di molti. Una riflessione che, traslata in ambito sportivo, sembra suggerire al tifoso di riconoscere la bellezza, setacciandola da tutto il resto. Gli sprazzi di bel gioco, dunque, come qualcosa da valorizzare. Come una premessa doverosa da cui ripartire. Come una tappa dalla quale riprendere il viaggio. Con la consapevolezza delle proprie virtù.

Almeno stavolta.

C’è una melodia pop, con venature rock, che rimbalza nelle radio nel 2003. Il testo del brano di Filippo Neviani da Sassuolo, in arte Nek, gioca con il tentativo di trovare un rapporto che si basi sulla chiarezza. Da qui, la richiesta che pare legittimare il tifoso a pretendere concretezza dai suoi beniamini. Va bene il bel gioco, va bene l’impegno, ma non mi accontento più. Vorrei soltanto la certezza di un risultato utile. Tornarmene a casa, sapendo che anche il calore trasmesso dagli spalti è servito a qualcosa. Una piccola forma di restituzione della mia gratitudine. Non chiedo altro. Almeno stavolta.

Je so’ pazzo.

Fermi tutti. Cosa c’entra un testo scritto e portato al successo dal cantautore napoletano Pino Daniele con Sassuolo? Eppure, a forza di scavare, una curiosa risposta arriva. La fornisce un video

che risale ai tempi in cui Diego Armando Maradona giocava nel Napoli. Precisamente, al periodo del secondo scudetto. Una festa in casa, con amici e parenti di alcuni giocatori di quella squadra. Da Ciro Ferrara ad Alessandro Renica, da Giovanni Francini a Beppe Incocciati. La musica dal vivo è affidata a Pino Daniele. C’è Diego che canta e balla. Alle percussioni c’è Antonio Careca. E alla chitarra c’è il difensore Giancarlo Corradini, nato a Sassuolo. Il clima è dei più allegri. E l’armonia si diffonde, accompagnata dalle note e dai versi di Je so’ pazzo. Una definizione che calza a pennello per ogni tifoso più autentico e per le sue preoccupazioni. Bastano, per esempio, le pagine del romanzo Febbre a 90° di Nick Hornby a raccontarlo. O la suggestiva sequenza finale dell’omonimo film tratto dal libro. Fra picchi emotivi e apparenti momenti di quiete. In bilico tra dramma e celebrazione, e in attesa perenne della prossima sfida. Come una scommessa che non finisce mai. Come un ritornello che chiede di essere scandito ancora.

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