Martedì mattina, mentre Ferrara non si accorgeva di nulla, e andava al lavoro oppure beveva il secondo caffè, è successa una cosa importante: la porta della chiesa di San Carlo era aperta. Avete presente dove si trova vero? È quella chiesa tutta in mattoni letteralmente appoggiata alla sede delle assicurazioni Generali, vicino all’imbocco di corso Giovecca. Unico esempio di chiesa completamente barocca a Ferrara, imponente anche se abbastanza striminzita, schiacciata com’è tra i palazzi vicini, fu progettata da Giovanni Battista Aleotti, eretta tra il 1612 e il 1623. Famosa nella storia dell’arte per l’affresco di Giuseppe Avanzi e per il San Carlo Borromeo dipinto dal Torricelli; durante il regime napoleonico venne assegnata all’arcispedale Sant’Anna, che ancora oggi detiene la proprietà. Amata e frequentata dai ferraresi soprattutto per l’esposizione dell’Ostia del Santissimo Sacramento, nel maggio 2012 venne interdetta al pubblico a causa del terremoto. Le statue che originariamente decoravano la facciata furono trasferite per motivi di sicurezza e il portone d’ingresso, da quella volta, restò chiuso.

Martedì mattina, sul pavimento ovale, la luce arancione pioveva dall’alto. Dalle vetrate laterali i raggi del sole filtravano dagli intarsi colorati, decorati con insolite rappresentazioni animali: a destra, guardando verso l’altare, una mamma pellicano che rigurgita il cibo per i propri piccoli, a sinistra due cervi scappati dal bosco della Mesola che si incontrano e si sfiorano il muso.

In mezzo all’originale pianta ovale: seggiole e seggioline, cartelle stampa, i grandi lampadari in ferro battuto appoggiati sulla pavimentazione in marmo, un gran caldo. San Carlo è stata eccezionalmente aperta per presentare il progetto didattico “Monumenti aperti”, format sardo importato nel capoluogo estense da Ferrara Arte in vista della prossima mostra dedicata al pittore Carlo Bononi, che inaugurerà a Palazzo Diamanti il 14 ottobre. Il progetto riguarda il coinvolgimento di 37 scuole primarie e secondarie nella valorizzazione dei luoghi legati non solo a Bononi ma più in generale al Seicento ferrarese, quindi nella creazione di un evento diffuso che permetterà al pubblico di visitare gratuitamente dieci luoghi legati a quel particolare momento storico, le cui peculiarità architettoniche e artistiche verranno illustrata al pubblico proprio dai bambini. L’iniziativa, finanziata grazie al contributo di Eni, verrà organizzata sabato 28 e domenica 29 ottobre da Ferrara Arte assieme a Imago Mundi, l’associazione sarda responsabile di “Monumenti aperti”, coordinata da Ferrara Off con il supporto dello scrittore di libri per l’infanzia Luigi Dal Cin.

Tra i dieci luoghi selezionati due sono più speciali degli altri: il primo è appunto la chiesa di San Carlo, il secondo la chiesa di San Giuliano. Lo specifico per chi non avesse dimestichezza con tutti questi santi: si tratta della graziosissima chiesetta di piazza Repubblica, chiusa da tempo immemore. L’edificio risale al 1405, venne realizzato per volere di Galeotto degli Avogari sul terreno donato dal Marchese Niccolò II. La dedica a San Giuliano arriva da un luogo di culto antecedente, costruito lì vicino nel XII secolo e distrutto perché il Castello per essere edificato costruito aveva comprensibilmente bisogno di spazio. L’altorilievo sulla facciata rappresenta San Giuliano che uccide per errore i propri genitori – sul serio. Che legame ha questo edificio con il Seicento ferrarese? Da Wikipedia a riguardo si impara poco: la chiesa fu sede delle arti degli albergatori, degli orefici, dei pescatori, dei pescivendoli e dei beccari (ovvero i macellai) fino al 1616, sempre sotto il giuspatronato degli Avogari. Nel 1796, con la dominazione delle truppe napoleoniche, venne chiusa al culto e per tanti anni restò abbandonata. Per evitare la sua profanazione venne acquistata da un sacerdote, conte Don Pietro Dalla Fabbra, che la cedette poi al cugino, Don Santina, che a sua volta la lasciò in eredità al cardinale Luigi Giordani, arcivescovo di Ferrara dal 1877 al 1893. Oggi è proprietà dell’arcidiocesi ed è nota anche come “la chiesa dei giornalisti”, perché nel 1952 Cristiano Nicovich proprio lí ricostituí l’associazione stampa.

Foto di Giacomo Brini

«Sembra sempre che, dopo gli Estensi, la vita della città riprenda alla fine dell’Ottocento con i salotti dipinti da Boldini» ha raccontato il vicesindaco Massimo Maisto, durante la presentazione. «In realtà durante i tre secoli trascorsi sotto lo stato pontificio Ferrara ha accolto soluzioni architettoniche e urbanistiche di grande interesse, ha dato i natali e ospitato artisti importantissimi». La monografica su Bononi e l’evento “Monumenti aperti” serviranno proprio a risvegliare l’attenzione della città e dei turisti su un periodo tanto bistrattato, quasi dimenticato, offuscato dai fasti rinascimentali sui quali è stata fondata buona parte dell’identità – e del marketing – ferrarese. I dieci luoghi attraverso i quali si snoderà il percorso tematico di “Monumenti Aperti” saranno: le già citate chiese chiuse di San Carlo e San Giuliano, Palazzo Diamanti dove sarà allestita l’esposizione, il Castello Estense, Palazzo Bonaccossi, le chiese – normalmente aperte al pubblico – di Santa Francesca Romana, San Francesco, San Giorgio e Santa Maria in Vado, l’Oratorio dell’Annunziata. Altri luoghi che meriterebbero di essere maggiormente considerati, nell’ottica di esplorare il Seicento ferrarese, vengono consigliati a Listone Mag – in via del tutto informale – da Silvia Rebecchi, storica dell’arte specializzata proprio sulla vita e la produzione di Bononi, tra le autrici del catalogo che accompagnerà il percorso espositivo. Questi luoghi sono: la chiesa della Visitazione, detta della Madonnina, San Cristoforo alla Certosa, San Domenico, la Chiesa delle Stimmate, Santo Stefano. Opere significative si incontrano, oltre che nelle sale della Pinacoteca Nazionale, nei Musei Civici di Arte Antica, a Palazzo Vescovile e al Seminario Arcivescovile.

Silvia, ci spiegheresti in modo semplice perché è importante il Seicento a Ferrara?

È importante soprattutto rivalutarlo come periodo storico, perché appunto è stato bistrattato sia dalla storia che dalla storia dell’arte. Di Ferrara si tendeva a ricordare solo il Rinascimento: l’avventura di Schifanoia, il Garofalo e Dosso Dossi, il Bastianino, il Bastarolo. Si dava per scontato che il terremoto del 1570 avesse procurato danni irreparabili e che il 1598, anno della devoluzione, avesse calato un sipario pesantissimo sulla creatività, andando a braccetto anche con le ricadute della peste del 1630. Invece i nuovi potenti che sostituirono gli Este non volevano affatto che si affievolisse la portata artistica della città e si diedero molto da fare per ornare palazzi e chiese. Lungimiranti, ottennero dai maggiori artisti dell’epoca le copie delle loro opere più importanti, ineluttabilmente destinate a partire verso le nuove residenze degli Este o al seguito del pontefice a Roma. Bononi e soprattutto Scarsellino seppero conservare la memoria di quelle opere, esercitandosi peraltro nello studio dei “classici” ferraresi. Si può quindi con sicurezza confutare l’opinione, ancoratasi durante l’Ottocento, che Ferrara avesse esaurito tutte le sue energie e sostenere che il rinnovato fermento devozionale e le nuove trame istituzionali abbiano reso particolarmente originale ciò che avvenne durante il Seicento. Le fonti contemporanee dell’epoca, o poco successive, lodavano l’operato degli artisti ferraresi – penso a Baruffaldi, Brisighella, Frizzi…

Con il modificarsi del tessuto sociale e politico, a commissionare le opere agli artisti furono le famiglie dei signori locali – Bentivolio, Pio, da Carpi – e le congregazioni religiose, anche di nuovo impianto, che assumevano sempre più rilevanza. Quindi cambiarono i flussi del collezionismo e cambiò anche lo status quo dell’artista che in un qualche modo dovette organizzarsi da solo per promuovere la propria attività, attraverso gli atelier, le botteghe, gli studi, e trovarsi degli allievi e dei collaboratori che lo aiutassero a snellire i lavori. Inoltre gli incombenti dettati derivati dal Concilio di Trento – rappresentati a Ferrara dal vescovo Giovanni Fontana – imposero regole severe anche per le rappresentazioni. Si modificarono i soggetti, che dovevano essere prettamente sacri, e i modi per presentarli. I bozzetti preparatori dovevano esaminati e accettati prima di poter essere eseguiti. L’arte doveva mostrare ai fedeli la sofferenza di Cristo e le pene del martirio, doveva quindi avere una spiccata funzione didattica. Nonostante le tante restrizioni l’originalità della pittura ferrarese seppe imporsi, reagendo al manierismo dilagante e mediando tra le novità del barocco e un naturalismo sincero, di ascendenza carraccesca. Il clima storico artistico post devoluzione, che aveva relegato Ferrara a zona marginale delle sfere di potere, avrebbe potuto rivelarsi piatto e ripetitivo, ma basta pensare all’operato di Scarsellino e Bononi per cambiare prospettiva. Spesso la letteratura artistica, anche fino agli anni Sessanta, li ha addirittura tagliati fuori o inseriti a mo’di elenco dopo la grande trattazione del Cinquecento – questo vale in special modo per Bononi, la cui monografia organica è sostanzialmente ferma al 1962. Quando vennero rispolverati, assieme al resto del Seicento locale, si poterono finalmente apprezzare stili e commistioni di alto livello, che riportarono i ferraresi sullo stesso livello dei bolognesi. La pittura del tempo assommava in sé i caratteri dei vicini Carracci, il colorismo veneto, ed era al corrente delle innovazioni chiaroscurali apportate da Caravaggio a Roma, il tutto innestato nella matrice ferrarese che era distinta per originalità cromatica e compattezza durante il Cinquecento.

2 Commenti

  1. de nunzio ugo scrive:

    bravissimi, sono anni che provavamo a restituire alla cittadinanza questo unico e bellissimo esempio di barocco come club unesco assieme ad altre associazioni cittadine ,ma avevamo trovato tantissime difficoltà a coordinare vescovato e usl ,proprietaria . Avremmo voluto farla riaprire anche per manifestazioni laiche ma rispettose del luogo, come concerti o convegni. Se crede mi farebbe piacere incontrarla ugo de nunzio

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