Agnes Obel nel cartellone di questa edizione di Ferrara Sotto Le Stelle era un po’ l’outsider da scoprire, il nome che in pochi da queste parti rimandano ad un viso e a qualche brano celebre. Oh, bel! C’è Agnes! scherza qualcuno leggendo il nome sul manifesto usando uno degli intercalari giovanili più usati qui. Un gruppo di quindicenni sbircia il cartellone: Agnes Obel, la conoscete? No. Macché. La coda per uno spritz nell’osteria dall’altro lato della piazza è quasi uguale a quella per entrare al suo concerto, forse avanza più rapidamente quest’ultima. Eppure spesso la notorietà dell’artista in questo festival non va di pari passo con la qualità musicale della sua proposta, sempre di fatto molto alta quando l’evento è piccolo, intimo, raccolto. Infatti si esibisce nel Cortile del Castello. Dovremmo suggerire a prescindere all’amico di turno tutti i concerti nel Cortile del Castello, un po’ perché gli artisti sono davvero talenti da scoprire, un po’ per l’atmosfera suggestiva e raccolta che si crea, che in tantissimi – non ultima Agnes Obel – apprezzano molto.

A dirla tutta Agnes non è proprio nuova da queste parti, sei anni fa si esibì in una piccola chiesa di Villanova di Castenaso, nel bolognese, per una rassegna organizzata dal Covo Club dove tra gli altri sul palco – pardon, sull’altare – finirono nomi del calibro di John Grant e Mark Kozelek. Piano e violino, i banchi gremiti da persone di vario tipo curiose e ammaliate dal canto dolce della pianista danese, ci finii quasi per caso trascinato da amici, per scoprire un’artista emozionante e riservata che non ho più dimenticato. Anche in quell’occasione il connubio tra location e musica era perfetto, capace di trascinare i pensieri verso riflessioni profonde, di raccontare emozioni e sposarle con il silenzio e il raccoglimento tipici di un luogo di culto.

È cambiata un bel po’ da allora, Agnes Caroline Thaarup Obel, classe 1980, che torna in Emilia decisamente maturata dal punto di vista artistico. Sul palco con lei archi e batteria per sperimentare e proporre sonorità meno ballad, dove la voce si fonde con il suo piano elettrico sommessamente, a volte sparisce dietro un violoncello per tornare distorta da qualche riverbero. Non è più la ragazza austera dai capelli raccolti che ricordavo nella copertina del suo primo e meraviglioso Philarmonics ma un meraviglioso incrocio tra Jenny di Forrest Gump (Robin Wright) e Rita di Dexter (Julie Benz), complici un vestitino bianco e i capelli mossi a donarle un’aria molto più rock e decisa in un corpo in realtà fragile e dolce.

I suoi brani hanno un incedere sommesso e malinconico, le poche parole per accompagnarli raramente parlano di felicità, tuttalpiù di amore, colpevolezza, segreti terribili degli anni del liceo, ricordi e tradizioni. Agnes non è più solo una pianista con un’infinita dolcezza vocale ma una cantautrice capace di prodursi da sola un intero album con le sonorità esatte che aveva in mente. Il suo più recente Citizen of glass deriva dal concetto tedesco di gläserner Bürger, il cittadino umano oppure di vetro. “È anche un termine legale relativo al livello di privacy del singolo cittadino in uno stato, e in medicina indica quanto sappiamo del corpo, della biologia o della storia di una persona. Se si è di vetro è chiaro che ci si espone del tutto. In questo mondo c’è il senso crescente che bisogna farsi un po’ di vetro. Per essere disponibili ad un’apertura, si deve usare se stessi come materiale e non solo se si è un artista o un musicista”.

Foto di Luca Malaguti

Oltre alla citata manipolazione della voce, seppur in modo non invadente, nuovi strumenti compaiono nei brani più recenti e sul palco rendono il live più movimentato. Ad esempio il Trautonium, una specie di sintetizzatore degli anni ’20, uno dei pochi esemplari esistenti in Europa e che Agnes ha utilizzato per il suono molto simile al rumore del vetro. A tratti il connubio tra voce e musica ricorda Bjork, a volte Pj Harvey, Joan as the Police Woman, Joni Mitchell e altri nomi che appartengono all’universo musicale cui la Obel fa riferimento. Nei passaggi più intimisti e delicati il suono quasi sparisce del tutto e si percepisce il reale silenzio tra il pubblico con il fiato sospeso e gli occhi a cuoricino, in attesa della prossima nota. C’è chi conosce i testi a memoria, li rimanda a bassa voce, senza disturbare, senza farsi notare. Non è un concerto da urlare a squarciagola, non è certo il pubblico di Vasco a Modena.

“It’s really an emotion to be here, please invite me again, please, please!” dice sorridendo Agnes verso la fine. Il tempo di un paio di bis, la celeberrima Riverside che scioglie finalmente il pubblico in un accennato coro a sostegno e On Powdered Ground per chiudere alla grande un’ora e mezza di musica tra gli applausi scroscianti. Tranquilla Agnes, tornerai ancora da queste parti, a Ferrara sotto le stelle in fondo capita spesso.

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