di Gianmarco Marzola

Il 2016 è stato l’anno di Ariosto, dei 500 anni del “Furioso”. Tanto se ne è parlato a Ferrara e molti di noi hanno inseguito i suoi cavalieri lungo le trame intrecciate ad arabesco nella mostra allestita al Palazzo dei Diamanti. Ma in questo articolo, voglio parlare di un altro grande vate della corte Estense: Torquato Tasso. Per di più voglio parlarne attraverso una prospettiva diversa, scandalosa, non troppo apprezzata dalla critica letteraria italiana: la prospettiva di genere. Ebbene sì! Quel gender che continua a fare tanta paura. Sappiate che tra i classici letti in silenzio dalle “sentinelle” nelle piazze d’Italia, molti sono stati concepiti da ingegni che potevano esprimersi in una sessualità differente da quella che i (v)etero conservatori chiamano “naturale”. Tra questi maestri c’è anche lui, l’icona del romanticismo ante litteram, il principe dei poètes maudits, il nostro Torquato Tasso.

Ma per capire bene cosa sia successo veramente dobbiamo tornare indietro nel tempo. È il 1576 e siamo alla corte di Alfonso II. Tasso è ormai a Ferrara da quattro anni. Dalle lettere che il poeta si scambia con Scipione Gonzaga si capisce che si sente spiato. È sicuro che qualcuno frughi nelle sue carte private e si confida…

“Mi consola che io stracciava tutte le lettere di V.s. (Vostra signoria) e di M. (Monsignor) Luca nelle quali era detta liberamente alcuna cosa… ”

A cosa si riferisce Tasso? Che cos’è questa “cosa” di cui parla nella lettera che scrive a Scipione Gonzaga?

Lo stesso anno c’è in corso una disputa tra Tasso ed un altro gentiluomo ferrarese, un certo Maddalo. Non si sa bene di cosa Tasso fu accusato, alcuni dicono che Maddalo avesse svelato un suo affare amoroso con Eleonora d’Este. L’amore e la profonda amicizia che Tasso provava per Eleonora e Lucrezia d’Este, sorelle del duca Alfonso II sono diventati leggendari. Una presunta relazione con Eleonora ha ispirato i poeti romantici come Percy Bysshe Shelley e Lord Byron che rispettivamente in Song for ‘Tasso’ and The Lament of Tasso ne decantano la struggente impossibilità e la sublime purezza. Ma questa passione impossibile ha cristallizzato in un’icona di amore romantico una diceria traballante che non è mai stata veramente provata. E se questa storia d’Amore fosse stata concepita con fini fraudolenti? Forse per nascondere qualcosa? Ad esempio per tener nascosto un altro aspetto amoroso del nobile animo del poeta: quello omosessuale.

Ma (ahimè!) uno dei due gentiluomini citati sopra, il Monsignor Luca Scalabrino, non fu altrettanto accorto come il Tasso nello stracciare le lettere che aveva ricevuto e, proprio quelle del Tasso ci sono pervenute in perfetta forma.

E così… da quella notte che tutto divora, inghiottendo nelle oscurità dell’oblio e dell’ignoranza le forme e le gesta del passato, da quella stessa notte che il poeta invoca prima di narrar dell’amplesso bellico tra “duo tori gelosi e d’ira ardenti”, ovvero il tormentato Tancredi e la “trafitta vergine” Clorinda, proprio da quella notte il lavoro di alcuni filologi e storici della letteratura ha riportato alla luce uno strale di verità sull’animo del poeta. Cito qui i lavori sul Tasso di Sandra Giannattasio, Giovanni dall’Orto e di David Eisenberg, ma ce ne sono altri. Soprattutto gli studi delle accademie britanniche o nordamericane si sono spinti molto in là. Il professore Daniel Eisenberg addirittura chiama il Tasso “one of the most famous homosexuals of the period”. Anche la pagina Wikipedia del Tasso dice qualcosa a riguardo, ma – stranamente – non quella in italiano, solo quella inglese. Senza il contributo di questi ricercatori Tasso sarebbe ancora oggi vittima delle tendenze estetizzanti romantiche nonché di un’omofobia diffusa nella critica letteraria.

È stato ricostruito un ordito di amori illeciti tra i palazzi delle corti europee che proseguono per strade tanto complicate da esser degne di un intreccio ariostesco. Questo ordito si dipana, il caso vuole, anche attorno a un discendente dell’Ariosto, un certo Orazio, legandolo con il Monsignor Scalabrino residente a Roma, il quale gli confida che – insomma – lui, il Monsignore, con Torquato… una sessione di “amor concupiscibile” (sic!) se la sarebbe fatta. Ariosto però spiffera tutto al poeta. Lo Scalabrino allora, colpito nell’orgoglio, avrebbe scritto arrabbiatissimo a Orazio Ariosto e al Tasso. Questi, volendo poi calmare le acque con qualche nota maliziosa, replicò.

Vostra Signoria per l’ultima sua mi dimanda perdono di non m’aver palesato il suo amor concupiscibile; e per l’altre sue, che prima m’ha scritto, ha sempre mostrato di credere ch’io sia sdegnato con esso lei, perch’ella non m’abbia rivelato questo suo desiderio carnale, e rende assai onesta cagione de la sua segretezza e del silenzio usato meco. […] Sappia dunque, ch’io non mi sdegnai perché Vostra Signoria non mi scoprisse il suo amore (c’a questo per nessuna ragione voi eravate obbligato); ma mi sdegnai perché voi vi recaste a così grande ingiuria che l’Ariosto me n’accennasse un non so che.
(A Luca Scalabrino. Roma)

Doc Manoscritto Classe II, 357/6 Dialoghi pp. 206/207 (Particolare: Grafia a mano di Tasso) – Courtesy Biblioteca Comunale Ariostea

In una lettera del sei Gennaio del 1577 invece il Tasso si confida con lo Scalabrino di un amore che lui ormai provava per quel loro altro amico che aveva spifferato tutto, quell’Orazio Ariosto di cui si parlava sopra:

…troppo gagliarda impressione fu quella, che l’amor fece ne l’animo mio, nè si può in pochi dì rimovere, per offesa quanto si voglia grave; pure spero che il tempo medicherà l’animo mio di questa  infermità amorosa , e ’l renderà intieramente sano […]. Ma ora chiaramente mi avveggio ch’io sono stato e sono non amico, ma onestissimo amante, perché sento dolore grandissimo, non solo ch’egli poco mi corrisponde ne l’amore, ma anche di non poter parlar con esso lui con quella libertà, ch’io soleva, e la sua assenza m’affligge gravissimamente. La notte non mi sveglio mai che la sua immagine non sia la prima ad appresentarmisi, e rivolgendo per l’animo mio quanto io l’abbia amato ed onorato, e quanto egli abbia schernito ed offeso me, e, quel che più mi preme (parendomi troppo indurato ne la risoluzione di non amarmi), me n’affliggo tanto, che due o tre volte ho pianto amarissimamente, e s’io in ciò mento, Iddio non si ricordi di me.
(A Luca Scalabrino,. Roma. 14/12/1576)

Ma questo Orazio Ariosto non si capisce bene che cosa voglia… Allora, ci dice la Giannatassio, il Tasso inizia una storiella con un altro Orazio cortigiano che porta il nome del gran Paladino cantato dal prozio del primo Orazio: Orazio Orlando.

Doc Manoscritto Classe II, 396/A Lettera #5 (Particolare: Intestatario della Lettera Mons. Luca Scalabrino) – Courtesy Biblioteca Comunale Ariostea

Tra le rime del Tasso ci è pervenuta anche un componimento dedicato “A un leggiadro giovinetto” dove, anche li, l’amor tra uomo e uomo è elogiato in tutte le sue forme. Stranamente questa composizione non è mai stata riportata dalle nostre antologie scolastiche.

Certo Amor sei, che spiri amor, e tale,
ch’io ne divengo affettuoso amante,
e il cor, ch’avea di rigido diamante,
intenerir mi sento ad ogni strale.
Opra in me, qual più vuoi, face, o saetta:
legami ad ogni nodo: e se mi sfida,
scingi che puoi, la spada a Marte audace.
Io chiedo la tua guerra, o l’altrui pace:
regnerò teco ancor; ma la diletta
tua Psiche almen da lungi a me sorrida.

Particolare: Firma di Tasso e bollo di possesso della biblioteca privata di Giovanni Andrea Barotti (1701-1772) – Courtesy Biblioteca Comunale Ariostea

Dopo aver svelato gli intrecci amorosi che si dipanavano all’interno delle mura dei palazzi di corte del tardo ‘500, vorrei soffermarmi sul significato di questo articolo: cosa vuol dire oggi portare alla luce prove inequivocabili per dire che il Tasso aveva amato altri uomini?

Vuol dire innanzitutto liberare le ricerche accademiche da pregiudizi, incoraggiandole a guardare alla realtà delle cose, nelle loro complessità. Gli episodi omosessuali della vita del Tasso non insozzano l’immagine che abbiamo di lui; la arricchiscono piuttosto, riportando alla luce la complessità immensa del nobilissimo animo del poeta.

Vuol dire anche essere critici verso chi cercherà di deformare questa complessità psicanalizzando il tutto e scrivendo che il Tasso era un omosessuale tormentato e che per questo era impazzit@ nella sua celletta del Sant’ Anna. Non lo era. Era una persona immersa in una complessissima rete di rapporti sociali, di simboli e di credenze. Di sicuro il clima omofobo della Controriforma non ha giovato all’equilibrio psichico del Tasso, ma se anche lui “per amor venne in furore e matto” ciò accadde non per le sue pulsioni omosessuali, ma per l’omofobia che in un clima di cattolicesimo hard-core come quello che la Controriforma (nel fatidico 1576 erano passati solo 13 anni dal Concilio di Trento!) aveva diffuso.

Vuol dire, infine, che affermare che “tasso era gay” è in ugual modo una distorsione. Ricordo quella bellissima frase pronunciata nel documentario di Gianni Amelio “Felice chi è diverso” riguardo al termine “gay” adottato nella lingua italiana: “Un cemento che ha tolto la diversità della diversità. Un cemento che ha fatto più danni dei palazzi di cemento”. Sono pienamente d’accordo. Rivelare quanto fosse bella e diversa l’identità del poeta non può portare ad una conclusione sola, fermo restando che il diritto di amare anche di ”amor concupiscibile” chi si voglia va difeso e rivendicato a voce alta!

Grafica di Gianmarco Marzola

Come la mostra dell’Ariosto è finita portandoci lontano ad inseguire le favolose trame del genere cavalleresco, anche io voglio terminare questo articolo con un viaggio simile, e anche io voglio portare il lettore in Spagna ad inseguire le trame di “amore illecito” nel pieno del Siglo de Oro spagnolo. Sempre grazie alla storia indagata in una prospettiva di genere, è emerso che il Tasso aveva corrispondenze e rapporti stretti con altri poeti, tutti un po’ attivi nel fare emergere gli stessi elementi di amore e diversità anche dal passato classico, come Cristóbal de Mesa, che tradusse in spagnolo l’Ecloga II di Virgilio, il divo poeta che nel medioevo era visto quasi come profeta della nascita del Cristo e che pure era capace di descrivere l’amore tra uomo e uomo con tanta naturalezza. Cristóbal de Mesa era grande amico di Tasso, e con lui trascorse cinque anni assieme per scrivere, sperimentare e forse – perché no – anche per amare. Ed ancora non finisce qui la trama, ma la ricerca può avanzare all’infinito, coinvolgendo altri poeti e vati favolosi, lo stesso Cervantes, anche lui nella cerchia degli audaci spagnoli omofili del Siglo de Oro; ma nemmeno a Cervantes si ferma, secondo le ultime rivelazioni (ebbene sì!) anche Giacomo Leopardi si era invaghito dell’amico Antonio Ranieri mentre scriveva di Silvia. Insomma la trama si dipana di ducato in ducato, passando confini di imperi e di mondi, perché anche sull’altra sponda del Mediterraneo fino alla Persia non mancano innumerevoli indizi di rapporti omosessuali vissuti con naturalezza anche alla luce del sole. Se vogliamo essere ancora più arditi (apriti cielo!) attraverso i Vangeli segreti di Morton Smith, non privi di credibilità storica… arriviamo con questa trama anche a lui: Gesù Cristo!

Non sarebbe forse meglio accettare questa “infermità amorosa” come la chiamava il Tasso come un aspetto naturalissimo, antico, classico, puro e salubre dell’animo umano?

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