C’è un fazzoletto di campo che disegna un triangolo scaleno. Proprio lì, nel cuore del terreno di gioco del ‘Paolo Mazza’. A Ferrara, la città dove oggi vivo. Invisibile all’occhio umano, ma ben impresso nella mia mente da aprire una sorta di varco spazio-temporale. Di quelli che fanno tornare indietro a partite lontane, a squadre diverse, a situazioni prive di legami apparenti. Eppure chi si avventura nei territori emozionali del calcio, si lascia guidare da un fiuto misterioso verso le corrispondenze fra le cose. Ecco allora la mia personale macchina del tempo virare verso diciassette anni fa. Stagione 1999/2000, primo campionato nella massima serie della mia Reggina. La neopromossa in A di quell’annata a battagliare contro squadre più blasonate, senza risparmiare passione e senza perdere lucidità. Puntando sulla forza del collettivo. Già, il gruppo. Come quello della Spal di quest’anno.

Un mosaico di elementi diversi che guardano tutti nella medesima direzione. Dall’ultimo baluardo a presidio della porta a chi è chiamato a proteggerla da più lontano, da chi accompagna l’azione in avanti fino a chi deve sferrare il colpo finale. Eppure, il perno del gioco di ogni squadra destinata a compiere grandi imprese passa spesso da quel triangolo. Da quel ritaglio di zolle verdi, nei pressi del centrocampo, calpestato da tre calciatori che sanno contenere, presidiare e impostare. Ecco, a Ferrara, i tre abitanti di questo preziosissimo microcosmo si chiamano Luca Mora, Pasquale Schiattarella e Manuel Lazzari. Mora contiene, Schiattarella presidia e Lazzari imposta. Una sintesi forse estrema per raccontare il cuore pulsante di una squadra che ha nella coralità il suo approccio vincente. Eppure, agli occhi di un semplice osservatore, balza la grinta del barbuto Mora, che corre fino allo sfinimento dietro ogni pallone, per ricacciare indietro gli slanci avversari. Lui, mancino e cursore della fascia sinistra nello scorso anno, in questa stagione più accentrato, ma non meno incisivo per tempismo e rapidità. Compagno di reparto, Pasquale Schiattarella. Un centrocampista dai piedi di velluto, dotato di una lucidissima visione di gioco e di un tiro micidiale. Suo, per esempio, il gol che lo ha reso celebre su Youtube quando, con la casacca dell’Ancona addosso, trapassò il portiere del Torino, nel 2009, addirittura da centrocampo. L’ultimo vertice di questa curiosa figura geometrica risponde al nome del ventitreenne Manuel Lazzari. Un fulmine sulla fascia destra, abile a disgregare le difese altrui con le sue imprendibili incursioni. Ma pronto a sacrificarsi, tornando in copertura, quando le necessità della partita lo richiedono. Tecnica sopraffina e spirito di servizio. E probabilmente gli occhi delle grandi già addosso.

Ecco, i tre appena nominati, nonostante gli anni e la maglia biancazzurra che oggi indossano, mi riportano ad altrettanti ragazzi che ieri lasciarono la loro impronta allo stadio ‘Oreste Granillo’. Al numero 20 di Ezio Brevi, all’8 di Roberto Baronio e al 30 di Andrea Pirlo. Siamo negli anni in cui l’under 21 azzurra sforna talenti a ripetizione, e anche i vivai delle squadre italiane mettono in luce giovani dall’ottimo potenziale. C’è il Brescia, per esempio, da cui escono fuori Baronio e Pirlo, che incominciano coi loro colpi a far parlare di loro. Ezio Brevi, invece, è reduce da una promozione in serie B con la sua Ternana, e da una successiva salvezza. Sa cosa vuol dire il lavoro di quantità in un campionato come quello cadetto, ed è disposto a dimostrarlo anche nella massima serie. Il mister Colomba lo colloca, infatti, nella linea mediana. E lui risponde con anima, corpo e soprattutto polmoni. Lo juventino Zidane è uno dei pochi campioni a sfuggire alla sua marcatura. Al suo fianco, come detto, i ragazzi provenienti dalle ‘rondinelle’. Il playmaker Baronio, più arretrato, a controllare il reparto da dietro e a far ripartire l’azione con cross millimetrici. Senza disdegnare, di tanto in tanto, la bordata potente e precisa da fuori. Sulla trequarti, infine, colui che sarà fra gli artefici della Coppa del mondo di Berlino. Andrea Pirlo inizia avanzato la sua avventura da fuoriclasse, incurante che il suo, forse unico, limite della lentezza, può essere compensato dall’incoscienza dei vent’anni. E i suoi piedi dipingono traiettorie sinuose sia quando servono assist ai compagni, che quando ingannano i portieri delle squadre rivali. Alla fine del campionato fu salvezza. Ma che divertimento a guardare quella Reggina. E quante scintille di gioco che si accendevano in quel triangolo ideale. Da Brevi a Baronio, e da Baronio a Pirlo.

Ferrara e Reggio Calabria sono lontane in tutto, ma hanno lo stesso santo patrono. Quel San Giorgio proteso con la lancia a scacciare il drago. L’effige che lo rappresenta ha le sembianze di un cavaliere armato e coraggioso che lotta per allontanare una minaccia. E il culto religioso, come la fede sportiva, si nutre di simbolismi. Senza armatura il soldato è più esposto agli attacchi del nemico. E l’armatura di una squadra di calcio deve essere resistente e leggera. Solida e compatta nella fase difensiva, agile e appuntita quando deve colpire. Certamente c’è una congiuntura di tanti altri fattori a determinare la riuscita di un’impresa. E anche nel calcio, non si può prescindere dal resto. Dai compagni di squadra, titolari e riserve, che articolano il gioco. Dall’allenatore, che osserva, prepara, sceglie, pagando talvolta le conseguenze delle sue decisioni. E soprattutto dalla società, che mette a disposizione la piattaforma su cui lavorare. Senza tralasciare la spinta emotiva del pubblico. Ma dopo questa necessaria e retorica premessa, nel mio immaginario calcistico-cavalleresco, tutto nasce da quel lembo di campo invisibile, da quel triangolo intorno al quale è scolpita l’armatura.

Oggi al ‘Mazza’, dopo qualche giorno di pioggia, splende il sole della serie A. A quasi cinquant’anni di distanza dall’ultima volta. Il presidente Mattioli e il proprietario Colombarini raccolgono i frutti della loro semina, in un tripudio di tifosi in festa. Un paio di settimane fa, l’Urbs Sportiva Reggina 1914, quella del nuovo corso targato Mimmo Praticò, ha conquistato la salvezza nel suo girone di Lega Pro. Due eventi lontani e del tutto scollegati fra loro, che tuttavia nella mia ricerca di connessioni inspiegabili sembrano invece saldati. Antenucci e Floccari, ai miei occhi, assumono i connotati di Kallon e Possanzini. La retroguardia con Meret, Bonifazi, Vicari e Cremonesi è lo specchio increspato di un ruscello dove riemergono i volti di Taibi, Cirillo, Oshadogan e capitan Giacchetta. E l’illogicità emotiva dei ricordi che salgono diluisce, in maniera del tutto spietata, i meriti degli altri che non sono nominati. Nel filo contorto degli eventi che lega la città estense a quella dello Stretto, si aggiunge un altro segmento. A segnare la rete decisiva per il Benevento che supera il Frosinone, regalando alla Spal la gioia della promozione, è il reggino ed ex amaranto Fabio Ceravolo. La palla che rotola è una grande metafora. Il nord è un sud capovolto che sfida la legge di gravità. San Giorgio da Reggio Calabria sembra passare la lancia al suo omonimo ferrarese. E il drago è trafitto.

3 Commenti

  1. Matteo Fogli scrive:

    Bello!

  2. Giuseppe R scrive:

    Articolo bellissimo… anche io, cuore amaranto, sono diventato un “simpatizzante” della SPAL… e il prossimo anno prendo schiattarella al fantacalcio…

  3. vinny scrive:

    Bellissimo! Sei un poeta!

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