È sabato, decido che è giornata di mostre. Dopo un ghiacciolo all’arancia, bici e mi avvio verso l’Hotel Carlton, in piazza Sacrati. Ho sentito che un fotografo messicano ha realizzato una mostra su Ferrara, ed è difficile voler rappresentare ancora una volta Ferrara. Ma la visione dello straniero mi incuriosisce.

Di chi parlo? Di Enrique Olvera, un ragazzo di Guadalajara laureato in design in una delle più importanti università messicane. Design soprattutto perché voleva rendere contenti i suoi genitori. Emilia, la bimba che ha avuto dalla sua compagna ferrarese e la voglia di mettersi in gioco lo hanno portato a traferirsi a Ferrara dal 2014. Ho avuto l’occasione di parlare con lui all’inaugurazione della sua prima personale intitolata Ferrara: Urban landscapes. 24 scatti disposti tra ingresso, corridoio e sala da colazione dell’Hotel Carlton che rappresentano punti comuni della città di Ferrara e luoghi dove mi sono dovuto soffermare per capire di che zona si trattasse. In quasi tutte le foto è la presenza umana a completare la composizione: una ragazza che passeggia, una anziana signora in bici, la scia dei fari di un’auto che sfreccia per via delle Scienze o la coda di macchine che attraversano la prospettiva in corso della Giovecca.

Baffi, pizzetto, camicia a fiori e occhiali da sole infilati nel taschino della camicia mi fanno capire subito di trovarmi di fronte a Enrique che mi stringe la mano in modo deciso.

Qual è stato il tuo primo approccio alla fotografia?

Fin da piccolo ho avuto la passione. A 12 anni scattavo foto con una Pentax Spotmatik 2 con obiettivo da 35 mm e col passare del tempo fotografare è stato un espediente per uscire dalla timidezza e rapportarmi con le persone, riuscire a creare un contatto.

Quando hai capito che saresti diventato fotografo?

È stato un viaggio Erasmus in Cile a farmi capire che dovevo cambiare a livello personale e professionale e viaggiare per apprendere più cose possibili dalle persone che avrei potuto incontrare.
Quando poi nel 2008 sono tornato in Messico, precisamente nel sud, ho iniziato la vera carriera da fotografo e ho iniziato a lavorare per matrimoni e a lavorare come ritrattista.

Foto di Enrique Olvera

Ritrattista?

[ride] Non nel senso che faccio fotografie con persone in posa [imita con le braccia la posa scontata di una modella da rivista di moda] ma nel senso che entro nel privato delle persone. Il mio è un approccio documentaristico: cerco di raccontare la vita di tutti i giorni, ovvero portare il documentario nel privato.

La tua ispirazione nel mondo della fotografia?

Sebastião Salgado sicuramente. Poi J. Grant Brittain, fenomenale fotografo di skateboarding, sport di cui sono molto appassionato, e il californiano Alex Webb. E ai fotografi di guerra, perchè fin da piccolo il mio sogno era quello di fare il reporter di guerra, andare all’avventura e fotografare cosa c’era di brutto in essa. La guerra è ormai un qualcosa di insito in noi. Col tempo ho capito che era più importante mostrare alle persone ciò che c’era di bello al mondo.

Foto di Enrique Olvera

Sei a Ferrara da tre anni, qual è stata la prima cosa che hai notato di questa città?

Devo ammettere che è stata la tranquillità. Amo le città piccole, provengo da una città come Guadalajara che ha 5 milioni di abitanti e a Ferrara ho subito riscontrato sicurezza e comodità. Puoi raggiungere ogni punto della città estense camminando. Molti amici si stupiscono quando dico loro che da San Giorgio sono arrivato in centro in piedi, non sanno che sono abituato all’estensione geografica di Guadalajara. Un’altra cosa bella è che Ferrara ha molti spazi culturali o eventi a cui partecipare, non si può dire che sia una città in cui non si fa niente. Mi è capitato di andare a Ferrara sotto le stelle, non avevo acquistato il biglietto, e sono riuscito lo stesso a sentire tutto il concerto rimanendo all’entrata. Questo a Guadalajara non puoi farlo, lo spazio riservato ai concerti è immenso!

Parlando di fotografia e del rapporto che hai con le persone, anche in relazione alla tua mostra personale, pensi ci possa essere un collegamento tra Ferrara e Guadalajara o più in generale con il Messico?

Sinceramente? Ferrara l’ho trovata più chiusa, però non penso che sia nello specifico questa città ma piuttosto la cultura europea. In Messico le persone sono più aperte d’istinto. Ad esempio per trovare nuovi clienti in Messico avevo pensato di distribuire brochure nel centro città e in mezza giornata le ho consegnate tutte e le persone erano entusiaste del servizio fotografico che avrei potuto offrire. Quando l’anno scorso ho provato a distribuire le stesse brochure qui in centro a Ferrara ho sentito diffidenza, quasi come se ci fosse preoccupazione di farsi fregare. Passata questa barriera iniziale italiani e messicani sono identici.

Foto di Enrique Olvera

Collabori con la start-up innovativa Aidél, come è nato questo sodalizio?

Ero da poco arrivato a Ferrara e avevo fatto le foto che documentavano un concerto a Portomaggiore. Attraverso il mio profilo Facebook sono stato contattato da Ilaria Battistella che per il progetto cinematografico “La notte non fa più paura” aveva bisogno di un fotografo per il backstage del film.
Quando mi hanno proposto il ruolo ne ero molto felice perché ho trovato una somiglianza tra il dolore che stava vivendo l’Emilia Romagna e il Messico. Noi messicani siamo abituati a situazioni catastrofiche quali terremoti o uragani e ciò che sicuramente ci contraddistingue come popolo è la solidarietà, la possibilità di aiutare il prossimo. Sono stato orgoglioso di aver fatto parte del film.  Quando poi è nata la cooperativa, mi è stato proposto di collaborare. Penso sia stata ed è una occasione molto importante perché ritengo che unire diverse professionalità possa portare a realizzare progetti di livello superiore. Progetti non fini a se stessi che possano farti riflettere.

Parliamo della tua personale. Come è nata? Perché l’Hotel Carlton?

[ride] Perché avevo un’amica che lavorava qui e mi ha presentato Matteo Ludergnani (il proprietario). L’Hotel Carlton organizza due mostre all’anno da sei mesi l’una. Io ho mostrato le mie foto del Messico e di Berlino e gli sono piaciute così tanto che mi hanno proposto di sviluppare un progetto simile ma basato su Ferrara. In pratica mi ha dato l’input per questa mostra. È dal 2015 che la preparo. Ma è tutto spontaneo, vivo la città camminando, e quando lo faccio ho sempre la mia macchina fotografica con me. Anche quando vado a prendere mia figlia a scuola non dimentico mai a casa il mio strumento, non so mai cosa posso trovarmi davanti. Giro la città cercando di non fare mai la stessa strada e ogni volta rimango stupito da qualcosa di nuovo. Quando trovo uno scorcio di città che mi piace, quando trovo elementi che rendono la composizione perfetta aspetto. Attendo il momento interessante, una bici che passa o la nebbia. [mi indica una foto in fondo alla sala] Per esempio quella foto lì è stata fatta nella ciclabile di via Boschetto. Di quella strada ho notato subito la forma a serpente passandoci un pomeriggio d’estate con la mia famiglia e ho aspettato l’inverno per fotografarla con la nebbia.

Foto di Francesco Spedo

È stato difficile fotografare ciò che per una persona che abita a Ferrara è ormai un’abitudine? Qual è la tua visione?

Prima di questa esposizione ero nervosissimo. Non volevo deludere le aspettative, però penso che sia andata molto bene, a testimoniarlo il numero di amici e di persone che non conosco [ride]. Ho provato a vedere Ferrara con un occhio diverso, nonostante abbia fotografato elementi classici della città come via delle Volte, viale Cavour o la prospettiva in corso Giovecca. Il mio scopo era conoscere la città e apprendere dalle persone. Cercare di catturare la vita quotidiana di Ferrara sia di giorno che di notte e non i monumenti che non mi restituiscono nessuna emozione. Per me la fotografia equivale a generare un ricordo, un sentimento. Non solo per gli altri ma anche per me stesso, vivere indipendente, viaggiare e documentare la società. Fotografare un qualcosa che quando rivedrai in futuro ti farà pensare.

Progetti futuri?

Portare avanti il discorso con Aidel, abbiamo diversi progetti in ballo. A livello personale? Continuare a fare street photography e il lavoro da matrimonialista e ritrattista. Mi piacerebbe affrontare il tema dell’integrazione perché in Italia è un tema molto dibattuto e poco sviluppato. Io sono un extracomunitario e la vita qui è più difficile per uno straniero, anche se non mi sento propriamente uno straniero perché il messicano è sempre visto come quello simpatico [ride].

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