di Valentina Sarti Mantovani

Seconda ed ultima tappa del tour nelle nostre bocciofile. Dopo aver raccontato il micro mondo della Bocciofila Rinascente di via Pastro, oggi dovrete seguirmi passo passo, perchè qui passato e futuro si intrecciano e si avvinghiano in maniera inseparabile. Ultimo giovedì, stanco, satollo, gelido di queste vacanze natalizie (scusate se vi riporto alla memoria quel bel periodo). Arrivo davanti l’attuale sede della Bocciofila Ferrarese, lì accoccolata nel sottomura in Viale Orlando Furioso.

Primo pomeriggio, appena dopo pranzo, cielo plumbeo e pesante. Mentre mi avvicino alla bocciofila, dalla nebbia iniziano ad affiorare le luci colorate dell’entrata addobbata a festa. Qualcuno entra e nel breve intervallo in cui la porta è aperta riesco a sentire un piacevole vociare proveniente dall’interno.

Forse già dall’altra volta vi ricordate che condizioni necessarie e sufficienti affinchè un luogo possa essere definito bocciofila sono:
-ovviamente essere dotati di campi da bocce, fulcro e cuore pulsante della bocciofila;
-avere un bar, possibilmente dotato di generi di conforto come calicini di vino bianco, grappe e qualche cosa da sgranocchiare;
-un dispiegamento, attorno al bar e ai campi di bocce, di innumerevoli tavolini adibiti all’immancabile gioco delle carte.

Tutti questi elementi sono presenti anche qui, e posso confermare che tutti sono di alta qualità. I campi da bocce sono separati dalla zona bar con una porta su cui svetta la scritta BOCCIODROMO ed ecco la nostra DeLorean pronta a farci viaggiare nel tempo. Immediatamente ti senti proiettato verso un passato (ma anche un presente glorioso come vedrete andando avanti).

Parlo in prima battuta con il Sig. Fiorini, attuale direttore della bocciofila. Mi ricorda che nel 1936, anno in cui nasceva la Ferrarese, la bocciofila sorgeva in Via Ariosto. Da lì si è spostata negli anni 60 nella sede attuale, subendo una serie di trasformazioni che l’hanno portata a come la vediamo ora. La storia di questa bocciofila ruota tutta attorno al cambiamento, all’evoluzione, alla resilienza nel cercare di sopravvivere ad un continuo presente in cui luoghi come questi non ricoprono più il ruolo che avevano.

Foto di Valentina Sarti Mantovani

Questo continuo mutamento lo ritrovo sia nelle parole del direttore, che mi racconta come sia importante per il circolo investire nella scuola di bocce, coinvolgendo le scuole e la cittadinanza in eventi ricreativi che ruotano attorno all’attività sportiva delle bocce, lavorando anche con associazioni che si occupano di disabilità psichicaNonostante questi sforzi, gli iscritti negli ultimi dieci anni sono calati in modo consistente e risulta sempre difficile coinvolgere i giovani.

In realtà sul campo vedo ragazzi imberbi e ho la fortuna di incontrare Andrea Mazzoni, anno 1984, allenatore di bocce e giocatore professionista. Nelle sue parole ritrovo questa difficoltà, ma anche un profondo desiderio per cercare di rinnovare questo luogo. Andrea ha iniziato a giocare a 8 anni, semplicemente perchè i suoi genitori lo portavano al parchetto della bocciofila. Negli anni 80 il binomio tra bocciofila-aggregazione sociale funzionava ed era trasversale ad ogni età. Mentre aspettavi i genitori che salutavano amici, magari giocavano a carte o a bocce, beh tu bambino rimanevi affascinato da quel corridoio verde sul quale sfrecciavano tante bocce colorate e prendendone in mano una iniziavi così a giocare e ad appassionarti. Andrea ha seguito questa sua passione fino ad arrivare al livello professionistico, con vittorie regionali e nazionali. Forse però le persone come lui sono eccezioni. Eccezioni in questo lento declino statico delle bocciofile in generale.

Anche il direttore mi conferma che, nonostante i corsi di avviamento alle bocce siano frequentati e le collaborazioni con le scuole primarie e secondarie funzionino, la percentuale di giovani che continua nel percorso sportivo rimane drasticamente bassa. Insieme ad Andrea tentiamo di ricostruire la frattura tra uno sport e un luogo capace un tempo di attirare una clientela variegata e ora relegato, nonostante gli enormi sforzi, a centro ricreativo per anziani.

Foto di Valentina Sarti Mantovani

E così torniamo nel passato. Dice Andrea che il gioco delle bocce e i giovani iniziano a divergere dopo il boom sociale negli anni ’60 e ’70, quando il ritmo e il modo di vivere della nostra società iniziano a cambiare. Ma a ciò aggiunge un altro fattore: l’incapacità della Federazione e delle singole società di “modificarsi ed evolversi” guardando oltre il carattere associativo e aprendosi all’esterno.
In qualche modo mi spiega che secondo lui le bocciofile e il gioco delle bocce non sono riuscite a declinare nel loro ambito il cambiamento della società e soprattutto della gestione del tempo libero che si è andato man mano modificandosi sostanzialmente.

E questa sorta di auto-referenzialità l’ho respirata in parte sia qui che nell’altra bocciofila, ma accanto a ciò ho percepito una forte voglia di confronto con le nuove generazioni. Qui alla Ferrarese ci stanno provando, come mi dice Andrea: “organizzando corsi e iniziative che coinvolgono bambini e genitori, sempre mantenendo l’identità popolare di questo sport e senza escludere nessuno. Lentamente stiamo tornando ad avere adesioni tra i giovani e consensi tra genitori e nonni, sempre più entusiasti delle attività che svolgono le nuove leve”.

Ed ecco, nel presente di questo giovedì, scendere in campo il corso di bambini, dai 6 ai 12 anni, che Andrea allena ogni settimana. I campi si animano di due generazioni, forse due diversi modi di concepire il luogo della bocciofila, forse due modi che possono sembrare lontani ma che in realtà convergono nel costruire una nuova versione della bocciofila, più moderna e più conscia della sua eredità sociale.

Anche qui, come nell’altra bocciofila si respira un desiderio e una volontà di cambiamento, di evoluzione verso la creazione di un luogo che vada aldilà della canonica immagine di bocciofila. Si sa, cambiare è difficile e ci proietta quasi sempre in un futuro incerto (ed io sono la prima a soffrire di questa patologia) ma per sopravvivere e per migliorare a volte cambiare è l’unica soluzione. Il cambiamento non implica necessariamente una rottura drastica e insanabile con il passato, ma piuttosto un’evoluzione in continuità con le responsabilità e le grandi lezioni che il passato ci ha offerto.

Qui finisce questo giro attorno a questi luoghi storici, forse troppo spesso tralasciati da me e dalle nuove generazioni. E la colpa di questa noncuranza probabilmente è da attribuire ad entrambe le parti in gioco. Visitando questi luoghi ho capito che occorre impegnarsi per costruire un linguaggio di comunicazione tra noi e ciò che rappresenta la bocciofila: ci deve affascinare e stimolare, ci deve incuriosire ed attrarre ma bisogna essere pronti a recepirne gli inviti provando qualcosa di nuovo. Superando le distanze spaziali e temporali che ci limitano nel nostro piccolo e confortevole microcosmo abitudinario, avendo il coraggio di rischiare e uscire in mare aperto.

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