Vigilare sulle condizioni di vita delle persone private della libertà personale, o comunque trattenute nei luoghi di detenzione dell’Emilia Romagna, per concorrere ad assicurare il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali previsti dalla Costituzione italiana e dalla normativa internazionale, nazionale e regionale di riferimento. Ricevere inoltre segnalazioni in merito a diritti violati, intervenendo per chiedere chiarimenti. E promuovere la conoscenza e l’esercizio dei diritti attraverso la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni. Le attività del Garante regionale dei detenuti si muovono lungo diversi campi d’intervento e sono riassunte nel sito dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna. Una figura che verrà ricoperta dal ferrarese Marcello Marighelli, già Garante comunale nella città estense. Un nuovo ruolo, del quale abbiamo discusso proprio con lui.

Rispetto al compito svolto a Ferrara, quali nuove funzioni sarà chiamato ad assolvere?

«L’ordinamento penitenziario consente al garante dei diritti dei detenuti ‘comunque denominato’ di visitare le carceri e di avere colloqui con i detenuti. Il garante regionale può quindi intervenire in tutte le carceri della regione, mentre il garante comunale è attivo nel carcere della città. La più evidente differenza è quindi l’ambito territoriale. Anche le relazioni con le istituzioni si allargano a tutta la regione e hanno come principale riferimento il Consiglio regionale. Rispetto al lavoro svolto a Ferrara cambia quindi il punto di vista sulle carceri, che diventa più ampio e rende possibile un confronto tra le diverse situazioni, la proposta di progetti regionali e la diffusione delle più utili esperienze».

Fra i problemi che colpiscono maggiormente la popolazione carceraria, ce ne è uno che necessita di una maggiore attenzione?

«La maggior parte dei detenuti è povera, non ha risorse materiali e ha perso, o nel tempo perderà, le relazioni sociali. A settembre 2016 i detenuti in Emilia Romagna erano 3212, con 1560 cittadini stranieri, circa un terzo non ha istruzione. Credo che se vogliamo un carcere che punisce, ma sostiene il cambiamento delle persone, che rieduca e non emargina, che difende la società e non produce e riproduce la cultura criminale dobbiamo più adeguatamente investire in scuola, in formazione professionale, in cultura».

Nel corso degli anni, quanto è cambiata la figura del Garante delle persone private della libertà personale?

«Negli ultimi anni c’è stata una importante diffusione della figura del Garante dei diritti dei detenuti, molti comuni l’hanno istituita, nella nostra regione oltre a Ferrara è presente a Bologna, Parma, Piacenza e Rimini, è prevista in quasi tutte le regioni. Nel 2015 è stato nominato il Garante nazionale delle persone private della libertà personale ed è pienamente operativo. Si è quindi costituita anche nel nostro Paese una rete di figure indipendenti prevista dalle convenzioni internazionali per la tutela dei diritti umani e la prevenzione della tortura».

In virtù della sua esperienza, le attività di laboratorio teatrale promosse da associazioni che operano in carcere quanto contribuiscono alla rieducazione del condannato?  

«Nel lavoro svolto a Ferrara ho conosciuto da vicino l’attività teatrale in carcere prodotta da Horacio Czertok e dai suoi collaboratori, presenti nel carcere di Ferrara da più di dieci anni, che operano nell’ambito di un coordinamento regionale e sono inseriti in importanti progetti europei. La parola chiave è forse cambiamento: attraverso la dura disciplina del lavoro teatrale molte persone detenute cercano, e spesso trovano, la possibilità di conoscersi e vedere una nuova prospettiva di vita. Il teatro in carcere è anche straordinariamente capace di far comunicare tra loro tutte le culture presenti e di trovare un linguaggio per far conoscere all’esterno, alla città, la realtà del carcere».

Perché la tutela dei diritti dei detenuti è importante per la società che vive fuori?

«La tutela dei diritti dei detenuti è importante per tutti, per chi è ‘dentro’ e per chi è ‘fuori’. Se a chi è stato condannato a subire una pena detentiva, oltre alla libertà si tolgono anche altri diritti, si praticano delle inutili sofferenze aggiuntive, delle vessazioni e non si offre una vera possibilità di aspirare al cambiamento della propria condizione ed un percorso di pacificazione, si autorizza chi ha sbagliato a sentirsi vittima della società, a pensare solo alla propria sofferenza e non a quella procurata agli altri, vanificando così ogni sforzo rieducativo. In generale, il rispetto della dignità della persona in carcere è il termometro di come le istituzioni considerano i diritti di tutti i cittadini, di come chi amministra sente il dovere di realizzare i principi costituzionali, per questo penso che la tutela dei diritti degli ultimi garantisca i diritti di tutti».

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