di Gabriele Cirami

A cinquecento anni dalla morte di Biagio Rossetti il luogo designato per le sue spoglie giace ancora nello stato di permanente e dimenticata rovina. Non resta che una navata laterale dell’antica Basilica di Sant’Andrea, in via Camposabbionario a Ferrara, soffocata dall’avanzare della vegetazione spontanea e dai neo edificati di dubbio valore architettonico. Forse uno dei più grandi scempi avvenuti all’interno del contesto ferrarese, ma soprattutto perché ancora taciuto? Come è potuto succedere? In pochi sanno e nessuno parla.

Non si trovano che pochi articoli di cronaca locale sull’abbandono e nonostante i continui cicli di conferenze e valorizzazione delle opere dell’architetto ferrarese, la sua eterna dimora non compare mai nell’elenco dei manufatti da risanare. Oggi i resti di Sant’Andrea si trovano all’interno del cortile della scuola media primaria Dante Alighieri, e i pochi che possono godere del suo spettacolo sono genitori, ragazzi e insegnanti, i quali parcheggiano le proprie biciclette in quella che fu la navata centrale. Spettatori accidentali a cui non possiamo che invidiare un posto per i propri mezzi dinanzi ad un simile oggetto di valore. La Basilica non potrà mai rinascere nella sua interezza, in seguito ai crolli subiti durante il secondo conflitto mondiale e soprattutto successivamente alla pesante demolizione avvenuta per permettere la costruzione della scuola, ma risulta necessario comprendere e promuovere   la bellezza che Sant’Andrea ha maturato deteriorandosi spontaneamente. La sua nuova identità di rovina archeologica non deve essere infatti combattuta e certamente non deve essere messo in atto alcun folle intervento di origine fantascientifica per ripristinare l’integrità dell’apparato ( anche solo il suono della parola ripristino deve mettere paura).

Ma come evitare che si dissolva? Partendo da una quieta osservazione dello stato di degrado del manufatto, un nascente gruppo di studenti della Facoltà di Architettura di Ferrara, riuniti nel collettivo HPO, durante la giornata del 14 Dicembre, ha provato, con i mezzi loro concessi, a riportare un po’ di quella luce della ribalta sul rudere. L’intervento conclusosi sotto forma di atto performativo è partito da un serie di piccole azioni dirette sul territorio, sul prato, sulla selva e sulla considerevole mole di rifiuti ospitati con tacita riluttanza dalle cappelle radiali­.  I membri del collettivo si sono presentati la mattina  muniti di degna attrezzatura di boscaioli e hanno operato una prima operazione di pulitura del perimetro adiacente alla rovina. Sorgono poi  piccole istallazioni, che potremmo definire di origine “naturale”, composte da ciò che era stato precedentemente rimosso. Legni, arbusti, cespugli, ghiaia, foglie  non sono andati perduti, bensì sono diventati i protagonisti della nuova sistemazione dello spazio e strumenti per la performance stessa, dimostrando, forse, che grandi spazi non necessitano sempre di grandi azioni. Umiltà, un concetto che andrebbe ricercato non solo trai gruppi di studenti.

Foto di Giulia Nascimbeni

Un soffio di respiro sembra così concesso ad una muratura giustamente impermalosita dal trattamento ricevuto. Viene istituito un percorso; il sentiero di una processione funebre per una salma senza indirizzo. In fondo al cortile, passando attraverso distese di lumini e recinzioni di arbusti ( tutto, rigorosamente circolare )è stato eretto un memoriale dedicato a Biagio Rossetti. Nessuna pietra o lapide, nessun altare, piuttosto una radura, o qualcosa che almeno lo rievochi, illuminata da piccole candele, in linea con i caratteri di infantile spontaneità dell’evento.

Verso le 17.30, attendendo il calare delle luci del giorno e l’oscuramento delle luci delle aule della scuola, la rappresentazione ha inizio. Sant’Andrea si svela per il proscenio che è. 25 tute bianche, 5 ragazzi inquadrati nello spazio delle cappelle naturali, anch’essi vestiti con le medesime tute da lavoro,  molti bastoni  che raggiungono il primo piano della scuola, una rivisitazione del Giulio Cesare di Shakespeare e i disegni di Bruno Zevi tratti da “Saper vedere l’Urbanistica”, questi gli elementi unici che hanno dato vita alla riesumazione di Biagio.

Un atto rievocativo del lavoro di riscoperta di Zevi dell’architetto ferrarese avvenuto 60 anni fa. La provocazione è stata impiegata come primo mezzo per dissipare la nebbia di noncuranza e disinteresse creatasi nella piccola porzione di contesto urbano.

Incaricato dall’amministrazione civica di realizzare una mostra per celebrare Rossetti, Zevi aveva tradotto il lavoro dello storico in una costruzione critica orientata a fornire delle risposte sul presente. Da qui l’idea di un grande Plagio. Zevi aveva così reinventata la figura dell’artista-capomastro rinascimentale, facendolo diventare un urbanista nel senso moderno della parola e il modello per illustrare quale forma doveva assumere la pratica urbanistica nell’Italia della post-ricostruzione. Parole, una marea di parole e attribuzioni ad un personaggio allora sconosciuto. La sua memoria portata in alto verso obiettivi che l’architetto non si era preposto, ma che ne è del suo corpo? Che ne è della città che l’aveva accolto? Insomma dove si trova Biagio, non Rossetti, ma Biagio? La performance si conclude così con la valorizzazione della città di cui Rossetti fu fautore e il Plagio viene riportato all’umanità di Ferrara, nei suoi angoli e nelle sue addizioni.

Il lavoro delle tute bianche sarà presente nel cortile della scuola fino al termine delle festività, naturalmente con meno candele, ma il collettivo lancia un appello all’amministrazione comunale affinché sia loro concessa la possibilità di concedere maggior permanenza a ciò che è stato fatto,  riutilizzando ciò che, seppure mal posto,  è già presente: uno spostamento della recinzione di sicurezza e delle rastrelliere per biciclette, una sistemazione più strutturale del memoriale, un’accessibilità differenziata dagli orari di apertura della scuola, un cambiamento del regime di sfalcio tra le aeree accessibili e le impraticabili e, puntando un po’ più in alto, un adattamento dell’illuminazione al fine di valorizzare ciò che resta. Richieste semplici che speriamo abbiano seguito al fine di dar vita ad una nuova meta di culto per la popolazione ferrarese e non.  Citando a chiusa un estratto della rivisitazione di Shakespeare:“ qui è il testamento, e sotto sigillo di Biagio. Per ogni cittadino ferrarese egli dà, a ogni diverso uomo, un portale, un sagrato, uno scorcio.” La salma è stata riesumata e ricollocata, è forse ora di iniziare a prendersene cura.

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