Si comincia con un grande classico, di quelli che conoscono e amano proprio tutti: “Why don’t you do right?”. La canzone che cantava Jessica Rabbit sgambettando fuori dal sipario di Cartoonia, per tutti gli affezionati del genere, oppure lo standard scritto nel 1936 da Kansas Joe McCoy, per chi preferisce guardare alle origini. Si prosegue con una versione incredibile – visionaria e delicatissima – di “Nuvolari” di Lucio Dalla.

Tre voci che si cercano, rincorrono, anticipano, scartano e riprendono, che si fondono e divergono, scappano. Tre ragazze intraprendenti, allo stesso tempo misurate e smisurate, timide eppure coraggiose.

La serata con le Scat Noir ha tanti sapori, il fondo è dolce e morbido. Ma chi sono le Scat Noir? Il nome gira già da qualche tempo a Ferrara, lo si è incontrato nella programmazione di vari circoli ed eventi, ma anche fuori dalle mura estensi macina parecchi chilometri. Questa sera, 2 dicembre – ad esempio – è in cartellone al Piper di Roma, per la finale internazionale del concorso europeo per talenti emergenti Tour Music Fest, presieduto in giuria da Mogol. Tappa di non poco conto, se si considera che sono stati 8mila i partecipanti al contest, 180 i selezionati per la finale, solo 10 di questi 180 nella categoria gruppi vocali.

Listone Mag ha intervistato Ginevra Benedetti, Natalia Abbascià e Sara Tinti prima di questa prova importante.

Come vi siete conosciute? Come è nato questo percorso assieme?

Ci siamo incontrate al Conservatorio Frescobaldi, il giorno del test di ingresso. Era il 2012 ed eravamo vicine di banco. Tutte e tre eravamo iscritte al corso jazz, abbiamo cominciato da subito a frequentare le lezioni assieme. Il primo esame, musica d’insieme, prevedeva che a gruppi si realizzasse un arrangiamento vocale: quello è stato il nostro primo esperimento, e dopo ci è sembrato naturale continuare. Anche perché Natalia suona il violino, Sara e Ginevra il piano, e così abbiamo iniziato sia a provare brani vocali a cappella, sia brani accompagnati dagli strumenti. Il percorso come gruppo ha cominciato a definirsi nel 2013, ed eccoci qui.

Scat Noir, da dove arriva questo nome? Che significato ha?

Il nome l’ha trovato Ginevra, è lei l’anima visionaria del gruppo. É un gioco di parole tra chat noir – sarà un caso che l’intervista è stata fatta proprio il 17 novembre, giornata mondiale del gatto nero? Ndr – e lo scat, l’improvvisazione vocale tipica del jazz.

Foto di Giulia Paratelli

Cosa cantate? Cosa suonate?

Siamo partite dal jazz, le prime cose che facevamo erano arrangiamenti abbastanza standard, tradizionali. Poi abbiamo cominciato a lavorare più sulla contaminazione, introducendo degli elementi etnici e creazioni originali. Adesso collaboriamo a tanti progetti, dove incrociamo generi completamente diversi, dalla musica barocca all’elettronica. Ognuna di noi porta nel gruppo il suo background, ogni tanto ci scontriamo ma alla fine riusciamo a trovare la strada giusta. Ci incontriamo sicuramente nell’amore per la black music, intesa in senso molto ampio.

Tre punti di riferimento imprescindibili? Non per il gruppo ma a titolo personale.

Natalia: Esperanza Spalding, Avishai Cohen, Daniela Spalletta.
Ginevra: Joni Mitchell, Lambert Hendrricks & Ross, Erika Badu.
Sara: Baden Powell, non quello degli scout, Pixies… e il terzo ci penso.

Il momento più bello delle Scat Noir fino ad oggi?

L’esibizione nel cortile del Castello Estense, durante l’ultimo festival di Internazionale, trasmessa in diretta su Radio Tre. Abbiamo portato tre brani brasiliani e presentato il nostro primo inedito, Onion Blues. 

Obiettivi per il 2017?

Abbiamo una grande voglia di investire sul gruppo, sistemando vari aspetti. Migliorare sia nella creazione di pezzi nostri che nell’esecuzione, e continuare a collaborare con altre realtà, perché ci rendiamo conto di quanto questo ci faccia crescere. Fino adesso ci siamo esibite in diversi locali, dove la musica era più che altro un intrattenimento: anche questa esperienza ci ha aiutato, abbiamo imparato ad attirare l’attenzione del pubblico. Per il futuro vorremmo suonare sempre di più in contesti belli, fatti per le persone che ascoltano.

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