I 500 ANNI DELL’ORLANDO FURIOSO
Ferrara, Italia. Il poema epico di età rinascimentale scritto da Ariosto viene celebrato nella città che lo ha ispirato.
di Roderick Conway Morris – New York Times (link)
traduzione di Giulia Paratelli
17 ottobre 2016

Questa città, un tempo sede della dinastia degli Este, divenne una delle corti più brillanti di tutta Europa oltre che uno dei principali poli attrattivi per le arti durante il Rinascimento. La città presentava un ambiente che incentivava qualunque cosa riguardasse le arti visive e che ispirava un poema del calibro de “L’Orlando Furioso” (“La pazzia di Orlando”), una fantastica mescolanza di romanzo cavalleresco di stampo medievale, elementi di letteratura classica ed eventi contemporanei all’epoca.
L’opera, di uno dei più grandi personaggi della letteratura del tempo il ferrarese Ludovico Ariosto, fu pubblicata per la prima volta nel 1516 ed è ora oggetto di una mostra intitolata “Orlando Furioso: 500 anni”. La mostra raccoglie insieme più di 80 tele, disegni, sculture, manoscritti preziosi e armature. Nella cornice di Palazzo dei Diamanti, uno tra i più bei palazzi di epoca rinascimentale presenti in città, la mostra offre una serie di opere suggestive create dagli artisti del tempo, artisti del calibro di Botticelli, Cosme Tura, Leonardo da Vinci, Mantegna, Piero di Cosimo, Raffaello e Tiziano.

La mostra, curata da Guido Beltramini e Adolfo Tura è visitabile fino all’8 gennaio 2017. I romanzi cavallereschi si rifanno all’Era di Carlo Magno dell’ottavo secolo e alle leggende di Artù i quali, tradotti dal francese, divennero molto popolari nelle corti italiane tra il XIV il XV secolo. Influenzato da tali romanzi, Matteo Maria Boiardo scrisse “l’Orlando Innamorato” nella corte estense. Il personaggio principale dell’opera è Orlando (Roland in inglese) condottiero francese che venne eroicamente ucciso durante un’azione di retroguardia sul passo di Roncevaux durante la ritirata di Carlo Magno dai Pirenei della Spagna. Boiardo introdusse anche la presenza di ulteriori personaggi e di ulteriori storie all’interno del suo poema tra cui il cavaliere Ruggiero, la sua futura consorte e Bradamante i quali, secondo la leggenda, furono i capostipiti delle dinastie degli Este.

La mostra si apre con l’unica copia conosciuta dell’opera di Boiardo, risalente al 1486: si tratta di una seconda edizione in quanto della prima de “l’Orlando innamorato” del 1482-83 non risultano esserci copie sopravvissute. Boiardo morì nel 1494 senza terminare l’opera. La corte ferrarese era rimasta in attesa delle avventure di Orlando, della sua sfuggente amata Angelica, di Ruggiero e Bradamante e delle altre centinaia di personaggi che Boiardo aveva ideato e riproposto dalle saghe medievali. All’incirca nel 1505 Ariosto cominciò ad ideare una nuova versione dell’opera utilizzando la maggior parte dei personaggi voluti da Boiardo ma utilizzando per la sua opera un linguaggio, una concezione dell’opera ed una varietà di toni più sofisticata oltre che la presenza di diversi punti di vista dei diversi personaggi. La prima versione de “Orlando furioso”, dove si descrive come la pazzia del protagonista viene provocata dall’amore non corrisposto che egli provava per Angelica, venne pubblicata ben 10 anni dopo nel 1515.

Il tema della seconda sessione della mostra di Palazzo dei Diamanti denominata “Tornei e Battaglie” espone la rappresentazione artistica delle infinite battaglie che vengono descritte nell’opera di Ariosto. Questa parte della mostra si conclude con un enorme arazzo francese risalente al XV secolo, ancora di gusto fortemente medievale, che rappresenta la battaglia del Passo di Roncevaux, l’opera ha una potenza artistica pari a quella di un sarcofago romano del II o III secolo e rappresenta i combattenti nudi come raffigurati nelle tele di Ercole de’Roberti e Antonio del Pollaiolo. In questa sessione della mostra viene esposto anche un fregio bronzeo in stile classico eseguito da Bertoldo di Giovanni nel 1480.

All’interno della mostra si può visionare anche un disegno di Leonardo da Vinci raffigurante un raggruppamento di persone in assetto di guerra denominato “una scena di battaglia con uomini, cavalli ed elefanti” che arriva dalla collezione reale della famiglia Windsor.  In una lettera del 1507 Isabella d’Este scrive al cardinale Ippolito d’Este, suo fratello oltre che protettore di Ariosto, qui si parla per la prima volta del poema cominciato dallo scrittore. Il cardinale aveva mandato Ariosto a far visita alla sorella a Mantova e lei nella lettera riporta che Ariosto ha descritto il suo lavoro come “di grande soddisfazione per la recita dell’opera sulla quale sta lavorando negli ultimi due giorni, non solo senza tedio ma anzi con il più grande piacere”. Non si sa se proprio durante questa visita nella città di Mantova Ariosto vide il dipinto di Mantegna “Minerva nell’atto di espellere i vizi dal giardino delle Virtù” ma le figure mostruose rappresentate nel quadro sono state usate dallo scrittore nella descrizione della perfida strega Alcina la quale attacca Ruggiero quando arriva nella sua isola. Il dipinto è stato trasportato a Ferrara dal museo del Louvre.

Una magnifica mappa nautica risalente al 1501-1502 mostra tutte le più grandi scoperte del tempo in Africa, India e nel cosiddetto Nuovo Mondo (dove le coste del Brasile sono adornate di giungle esotiche e pappagalli). La mappa venne usata come fonte da Ariosto in modo dettagliato, in particolare nel passaggio nel quale manda Astolfo, l’amico senza fede di Orlando, in un lungo viaggio intorno al mondo descritto nel XV volume del suo poema.

La prima tela conosciuta tra quelle raffiguranti una scena de l’Orlando Furioso (datata 1518 prestata dalla collezione di Villa Borghese a Roma) è la “Melissa” di Dosso Dossi, la benigna incantatrice che cura e riporta alla propria forma originale i cavalieri che erano stati tramutati in animali, uccelli, alberi e dalla perfida strega Alcina. Nell’opera c’è una tipica arguzia di Dosso Dossi, rivelata attraverso i raggi X, dove un cavaliere raffigurato al fianco dell’incantatrice è stato sostituito, in un intervento successivo del pittore, con un grande cane dolente ed un’armatura vuota.

La parte finale della mostra espone un’opera su come il poema si componga di due edizioni successive rivisitate una del 1521 e una del 1532 nelle quali si tengono presenti gli eventi accaduti in quel periodo storico e le scoperte in campo artistico. Le rivisitazioni espandono l’opera dai 40 volumi iniziali a 46 con un ampliamento di settecento ottave di testo. All’interno delle rivisitazioni compiute dall’Ariosto nell’edizione del 1532 si trova un verso nel quale l’autore loda artisti a lui contemporanei nominando Leonardo da Vinci, Mantegna, Giovanni Bellini, i due fratelli Dosso e Battista Dossi, Michelangelo, Sebastiano del Piombo, Raffaello e Tiziano. Il duca Alfonso I di Ferrara all’epoca sperava di riuscire ad ottenere delle opere da questi artisti per la sua collezione privata, egli fallì nel suo intento per quanto riguarda Michelangelo e Raffaello ma riuscì a commissionare un ciclo di opere basate sulla mitologia classica eseguite da Bellini e Tiziano (le opere sono attualmente sparse in musei e collezioni sui due lati dell’Atlantico). Una di queste opere, il “Baccanale degli Andrii” di Tiziano, è ritornata per la prima volta a Ferrara dal 1598. Attualmente in possesso del museo del Prado di Madrid, è un dipinto molto suggestivo dove si evidenzia la bravura del pittore veneziano nella raffigurazione di scene di nudo, guidato dalla scuola di Bellini, Giorgione Tiziano. Questa fu la tela che ispirò Ariosto nella sua descrizione della bellezza femminile. Nell’edizione del 1516, Ariosto fornì una descrizione convenzionalmente idealizzata delle nudità di Angelica, descritta come “una statua adornata di alabastro o di altri sontuosi marmi” con “il suo unico seno dalla forma di mela e i suoi capelli biondi mossi dal vento”, la descrizione è molto vicina all’immagine della “Venere Pudica” di Botticelli che viene mostrata all’inizio dell’esposizione di Palazzo dei Diamanti. Ma, per l’edizione del 1532, l’autore introdusse in un altro punto del poema una scena nuova nella quale Olimpia, una bellissima damigella incline alle disgrazie, viene descritta con molti più dettagli ed in tono decisamente più erotico che inevitabilmente fanno ritornare alla memoria le bellissime opere di nudità dei grandi maestri veneziani di inizio XVI secolo.

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