di Valentina Sarti Mantovani

Ogni tanto, mentre si girovaga per le vie di Ferrara o di qualsiasi altra città, capita di soffermarmi a guardare le botteghe, i portoni o le insegne che sembrano non appartenere al presente.
Qualche lettera con i colori sbiaditi nell’insegna di un bar o di una piccola macelleria, un vecchio listino dei gelati, quelli in metallo dove trovi nomi di prelibatezze industriali ormai fuori produzione. Di fronte a questi wormhole spazio-temporali mi fermo. Osservo. E provo a immaginare a quante storie e quanti racconti interessanti si saranno narrati sulle sedie di quel vecchio bar, ai tavoli di quell’osteria.
E vorrei entrare e semplicemente ascoltare, chiedere, imparare qualcosa di un passato che non ho potuto vivere e che avrei l’opportunità di conoscere tramite chi l’ha vissuto in prima persona. Ma non lo faccio quasi mai ahimè: la paura di risultare indiscreta, di invadere la privacy di chi tranquillamente si beve il suo bianchino alle dieci di mattina. Eppure questa volta ci sono riuscita: ho avuto il coraggio di entrare in uno dei luoghi della nostra città che più mi affascinano. Oggi si va in Bocciofila.

L’idea di scrivere qualcosa sulle bocciofile, luoghi “storici” disseminati tra le vie di Ferrara, ritrovo di generazioni che ora sono padri e nonni, nasce da una profonda curiosità di capire cosa siano di fatto (aldilà ovviamente del posto in cui viene praticato lo splendido gioco delle bocce) attraverso i racconti di coloro che la frequentano e cosa sia diventata la bocciofila nel 2016.

Sono luoghi che mi riportano alle estati da bambina al mare dove si giocava a bocce fino allo sfinimento per poi passare ai tornei di briscola. Estati che in generale passavi con i nonni ed erano scandite da ritmi lenti: si pensava alla pendenza del terreno per poter bocciare la palla dell’avversario, si tentava di ricordare quali assi erano già stati giocati.

In questi miei ricordi torna la figura dell’anziano (nonno, nonna, amici dei nonni, il bagnino storico, la signora delle piadine) che ti diceva i trucchi per poter tirare meglio la boccia, che ti consigliava quale carta giocare e il più delle volte ti faceva addirittura vincere perché sapeva che forse si era ancora troppo piccoli per la dura realtà della sconfitta.
Forse da quel momento ho sempre collegato l’avanzare degli anni ad una profonda conoscenza del “buon vivere”, ad una capacità di eliminare il superfluo riconoscendo l’indispensabile e ad una saggezza immensa che forse qualche volta non viene ascoltata ma che cela sorprese non da poco. A quanti di voi non capita in vacanza di puntare al signore anziano al bar e chiedergli consiglio per un posto dove mangiare e bere bene? Beh io ammetto che lo faccio e la coppia “signore anziano-ottima trattoria e ottimo rapporto qualità/ prezzo” funziona.

In questo periodo in cui il gap generazionale sembra influire moltissimo anche sulla comunicazione giornaliera mi piace pensare che indipendentemente dall’età ci sia sempre la necessità di avere un luogo fisico di ritrovo. Un luogo reale, magari delimitato da muri o anche solamente una panchina, in cui ci si rifugia con i vecchi amici, se ne fanno di nuovi, si discute sull’attualità e sulle banalità, si dialoga e ci si confronta.

Voglio dunque portarvi con me in questa tranquilla giornata alla Bocciofila La Rinascente e alla fine deciderete voi se vorrete chiudere il computer e magari andare a fare due passi lì vicino ed entrare a dare un’occhiata.

Tour delle Bocciofile, prima tappa: Bocciofila La Rinascente, Via Pastro.

Foto di Valentina Sarti Mantovani

L’edificio sembra quasi nascondersi tra gli alberi che costeggiano la pista dei cavalli ed è stata inaugurato intorno alla metà degli anni Ottanta, più o meno quando sono nata. Ore 11:00 di un giovedì mattina ferrarese. Entro dotata di macchina fotografica, taccuino e penna. Una vetrata divide l’entrata dai quattro campi di bocce, quattro corsie verdi delimitate da piccoli cordoli bianchi rossi e verdi. La luce è soffusa, non sembra esserci molta gente. Mi avvicino alla zona dei tavolini adibiti alle carte. Un gruppo di signori sta discutendo animatamente su questioni pensionistiche. Prima di tentare il primo approccio mi soffermo ad ammirare l’ingegno del “tavolino da carte”. Un semplice tavolo, voi direte, con quattro sedie ed un piccolo tavolino a lato, più basso e più piccolo del suo fratello maggiore. Davanti a questo banale oggetto inizia a trapelare il fascino di questo posto, un posto dove il gioco delle carte (e il gioco serio, non le partite che hanno allietato i ritardi accademici all’università) ha il suo spazio sacro.
Ogni dialogo che riporterò dovete immaginarlo ovviamente con una discreta cadenza ferrarese, che per rispetto del nostro dialetto ho deciso di non riportare alla lettera.
“Nel tavolo grande si gioca a carte, in quello piccolo si segnano i punti e si mette il bere” mi spiegano, dopo che ho chiarito che vorrei fare un articolo su questo luogo e scattare qualche foto. Gentilissimi mi rispondono che non c’è alcun problema a patto di farli venire bene nelle foto!
Il Signor Luciano, detto Toto e ottimo giocatore di bocce, mi accompagna verso le piste di gioco raccontandomi che la bocciofila ormai è attiva da circa trent’anni, prima si trovava vicino San Giorgio e poi si è trasferita qui. Mi presenta Alberto, ex sub, e Giovanna che stanno finendo una partita di bocce sul campo numero due. Li osservo mentre studiano la tattica da utilizzare e la Signora Giovanna con un gesto elegantissimo si procura la posizione più vicina al boccino. Toto mi ricorda le regole base del gioco delle bocce, che in fondo non sono molto distanti da quelle che utilizzavo in spiaggia da bambina. Ma il modo in cui il Signor Alberto, nonostante qualche acciacco dovuto all’età e un leggero tremolio alle mani, prende in mano la boccia, la soppesa e tira andando a vincere la partita mi ricorda che quello che sto osservando è frutto di esperienza e dedizione.
Ripasso tra i tavoli da gioco e il biliardo, qualcuno guarda la partita di bocce, qualcuno legge il giornale, si gioca a carte, il Signor Andrea e il Signor Roberto giocano a biliardo.
Toto mi avvisa che nel pomeriggio ci saranno delle partite di bocce tra i soci e quindi l’ambiente si surriscalderà di tensione agonistica: “Non puoi mancare!”, dice.

Ore 15:30 dello stesso pomeriggio.

Ora la luce sui campi è leggermente più intensa, il lato aperto al pubblico delle piste da gioco è occupato da un folto gruppetto di gente. I tavoli da gioco sono quasi tutti pieni e anche i due tavoli da biliardo sono occupati. La bocciofila è a pieno regime.

Foto di Valentina Sarti Mantovani

Mi accosto alla balconata vicino ad un signore con la maglia rossa. Si chiama Adriano, preferisce il biliardo alle bocce. ma li pratica entrambi. Mi racconta che viene in questa bocciofila sin dalla sua inaugurazione, e prima ha sempre giocato a bocce sin da ragazzino. “Era un modo per stare insieme ai miei amici” mi dice, e io gli confermo che forse i tempi non sono tanto cambiati.
Forse oggi non sono le bocce ma altri passatempi che spingono all’aggregazione; ad ogni modo il desiderio e la voglia di ritrovarsi tra coetanei c’è ancora. “Eh ma qui i giovani non vengono più” continua Adriano “qui in bocciofila non importa se sei giovane o vecchio, siamo tutti uguali.” Quanto racconta Adriano è di una semplicità e immediatezza sconvolgente, in fondo ha solamente confermato che un luogo dovrebbe essere un sistema di passaggio dal passato al futuro. Senza distinzioni, senza impedimenti, una commistione di esperienze vissute e ancora da vivere. Mentre vago tra i tavoli apparecchiati da file di carte e ornati da pezzi di carta con i punti segnati, mi ricordo le partite di trionfo durante l’intervallo al liceo o prima di una lezione all’università. In fondo ha ragione Adriano, non è che siamo molto diversi.
I giocatori mi invitano a fare delle foto ai campioni, promettendomi che mi ripagheranno l’obiettivo se si rompe a causa del soggetto. Si ride, e io rido di gusto assicurandoli che ho già testato l’obiettivo su di me ed è rimasto intatto.

Mi siedo dal biliardo vicino al Signor Gualtiero e al Signor Erminio. Lui e il Signor Erminio mi raccontano dei tornei di bocce che hanno fatto in giro per la provincia quando erano più giovani. E mentre mi descrivono il quartiere durante gli anni Ottanta, in sottofondo sento le battute goliardiche tra chi gioca a carte, sento delle parole in un dialetto che – e mi duole il cuore ammetterlo – non parlo quasi più, sento il rumore delle bocce sul campo. Gualtiero mi spiega che ormai questa bocciofila è un luogo dove ha messo radici, dove ha conosciuto i suoi compagni di bocce che poi sono diventati i suoi amici.
Un luogo dove tutti sono campioni, perchè “il campione non è colui che vince ma è colui che si dedica con tutto il suo impegno in qualcosa”. Un luogo che un tempo era frequentato in modo trasversale da giovani e anziani che non solo orbitavano attorno alle bocce, ma che interagivano tra di loro. Noto in lui la voglia di aprire le porte a nuova linfa. Una generazione nuova che non vada a soppiantare la vecchia ma che vada ad integrarsi ad essa, a portare un nuovo punto di vista, a ricreare quello spazio di dialogo intergenerazionale che in passato forse era stato. Ci sono giovani che giocano nelle squadre di bocce ma forse non è abbastanza.
Questa bocciofila sembra essere stata uno spazio in cui la molteplicità del mondo esterno si veniva ad aggregare, ora questo scambio sembra essersi interrotto. Ma io, in questo giovedì, ho visto un luogo pieno di possibilità e di gentilezza.
Un luogo dove l’interazione con chi – come me – ha qualche anno in meno dell’avventore medio della bocciofila è benvenuta e accolta. Ho discusso su quali sono le differenze tra un trentenne di oggi e un trentenne negli anni Sessanta, ho capito le regole del biliardo, ho scoperto che in Via Garibaldi c’era il famoso bar Filippini dove il cliente era trattato con i guanti e ho osservato.

Ho osservato un luogo che non deve finire tra le vecchie foto sbiadite dei locali storici della città, ma che deve continuare a fare ciò che fa: aggregare ed unire. Ci ritornerò e spero di avervi convinto a farci un salto.

3 Commenti

  1. Roberto scrive:

    bel lavoro!!

  2. Marilucia scrive:

    Ottimo articolo.
    Mi ha riportato indietro nel tempo, a quando mio padre (che non c’è più da 11 anni) frequentava la bocciofila La Rinascente e partecipava con successo alle gare di bocce.
    Lì si svolgeva buona parte della sua vita di pensionato e lì ha conosciuto molti amici.
    Gli stessi amici che numerosi si sono presentati, per me volti anonimi e sconosciuti, al suo funerale.
    Ricordo ancora con molta tristezza, ma anche ammirazione, il suo tenace attaccamento a quel luogo, in cui lo accompagnavo personalmente ormai alla fine dei suoi giorni (piegato fisicamente ma non nello spirito da una impietosa malattia che gli impediva di guidare e cosa ancor più grave di giocare a bocce) a vedere i suoi amici giocare e a scambiare con loro qualche chiacchiera per sentirsi “ancora vivo”.
    Quel luogo e i suoi frequentatori gli hanno regalato tanta gioia e tanti bei ricordi.
    Luoghi così sono da preservare e spero continuino la loro funzione aggregante a dispetto della moderna e frenetica vita umana.

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