Si dice che alcuni treni passino una volta sola, e che vadano presi al volo. Beh, non solo i treni: ogni tanto passano anche le barche e non bisogna farsi scappare l’occasione perché potrebbe non capitare più. Questo è l’insegnamento che porto a casa dalla giornata di sabato, una giornata in cui ho perso parecchi treni ma almeno sono riuscita a salire sulla barca giusta, quella che chissà se e quando ripasserà: il battello Nena, guidato dal capitano Georg, partito dalla darsena San Paolo di Ferrara alle nove di mattina e arrivato alle sei e mezza di pomeriggio a Venezia.

Una crociera fluviale eccezionale, proposta a Ferrara da Consorzio Wunderkammer all’interno del progetto Smart Dock, una gita fuori porta di quelle in cui si è costretti a lasciare a casa l’ansia di arrivare perché il tragitto è lentissimo, e forse arrivare a destinazione è proprio poco importante. Conta il tempo speso a osservare il cielo, conta l’acqua che passa sotto lo scafo, i chilometri di argine che sfilano un metro dopo l’altro, il volo degli aironi, le onde che cambiano consistenza.

Pensavo mi sarei annoiata e che finalmente avrei avuto modo di leggere. Ottimista, avevo addirittura infilato nello zaino un grosso saggio che da mesi mi guarda dal comodino e mi fa sentire in colpa. E invece niente: nella flemma delle ore trascorse a bordo non ho trovato un minuto da dedicare al libro. Sono stata in silenzio, quello sì, e ho anche chiacchierato. Ho riso tantissimo, tanto da avere le lacrime agli occhi, e non mi capita spesso. Ho ascoltato i discorsi degli altri e provato a scattare qualche brutta foto. Ho incontrato amici di amici. Ho anche preso il sole, seduta sul tetto della barca. Ho guardato, soprattutto, una pianura che non sembrava la stessa pianura, fatta di canne palustri e rovi, archeologia industriale, castagne d’acqua che nuotano nella corrente, cefali di cui si intravede solo il guizzare lucente.

Foto di Corradino Janigro

“Sembra l’Europa!” ha esclamato una signora mentre eravamo nei pressi del vecchio porto commerciale di Pontelagoscuro, allestito negli anni Venti e mai utilizzato perché nel frattempo il signor Agnelli inventava la Fiat. Adesso lo spiazzo viene utilizzato come depositi per i camion, eravamo circondati da stabilimenti industriali, tubi e ruggine, container e alberi appesantiti dall’estate, i rami tesi a sfiorare il pelo dell’acqua. Medaglia d’oro nella disciplina “commenti memorabili live”, la signora aveva ragione, anche se ancora non ho ben capito cosa intendesse dire.

L’itinerario è cominciato sul Volano e ha seguito il canale Boicelli fino al Po grande, oltrepassando la grande chiusa che permette alle imbarcazioni di superare il dislivello idrico. Antonella – comandante in seconda ed esuberante tuttofare, non saprei come altro presentarla perché alternava senza sforzo apparente operazioni di ormeggio, caffetteria e intrattenimento degli ospiti – spiegava l’ingegneria della costruzione descrivendola come un “ascensore d’acqua” e si raccomandava affinché tutti trovassero una posizione riparata, perché quando si esce dalla chiusa sgocciola dall’alto il fango in cui la parete di metallo si infila per chiudersi sul fondo. «Georg la chiama il battesimo del Po. Tempo fa avevamo a bordo una suora, particolarmente entusiasta della gita. Non voleva assolutamente spostarsi, ma quando si seccò l’acqua che le era piovuta addosso si trovò completamente vestita di pois marroncini, sulla tunica nera».

Aneddoti curiosi e storie del passato hanno costellato l’intero viaggio. «Una volta Pontelagoscuro era una metropoli. L’argine era più basso, è stato rafforzato dopo l’alluvione del 1951. Prima chi arrivava da Venezia si fermava qui, dal fiume già si vedevano tutte le case affacciate. C’erano il cinema, i ristoranti, le prostitute. L’ex Cine Po si chiamava così per la posizione ma anche perché proiettava i film porno».

Attracco e pranzo a Serravalle, nel ristorante vicino al fiume, ritrovo abituale dei pescatori di siluri, e poi via verso la “Porta del delta”, la biforcazione che separa da un lato il Po di Venezia, dall’altro lato, più stretto e sinuoso, il Po di Goro. In mezzo l’isola di Ariano, terra che arriva fino al mare.

Inevitabile finire a parlare anche della Nena, la donna a cui Georg e Antonella hanno voluto dedicare il battello su cui lavorano ormai da dieci anni, la traghettatrice che per decenni ha lavorato tra Ficarolo e Salvatonica. «Si chiamava Nazarena Cosini, aveva sette fratelli e in famiglia fu l’unica a voler proseguire nel mestiere del nonno e del padre. Viveva da sola in golena, diceva che suo marito era il fiume, perché nessun altro uomo l’avrebbe lasciata così libera. Durante l’alluvione aiutò tanti sfollati e finita l’emergenza decise di ospitare a casa sua una signora col suo bambino. Figuratevi lo scandalo in paese!».

Foto di Corradino Janigro

La figura del traghettatore è romantica e nostalgica, ma meriterebbe di essere ragionata in chiave contemporanea. Basti pensare al fatto che tra il ponte di Polesella e il successivo ponte di Ariano passano almeno quaranta chilometri. «Fino a qualche anno fa resisteva un traghetto a Villanova Marchesana, ma non essendo regolamentato a dovere la finanza gli fece una multa stratosferica e fu costretto a chiudere. Adesso gira voce che un investitore voglia riprendere l’attività, trasportando anche le corriere, perché sono tanti i lavoratori che ogni giorno devono attraversare. Qui storicamente sono sempre stati tutti imparentati, veneti ed emiliani, le coppie miste sono tante».

La Nena al bivio si è tenuta sulla sinistra, in direzione Venezia, oltrepassando l’oasi WWF di Panarella e la grande ansa che circonda il paese. Qui negli anni Cinquanta un gruppo di intellettuali milanesi decise di fondare la Repubblica di Bosgattia.  Stato indipendente e surreale, fu popolato ogni estate per circa dieci anni. Aveva una propria Costituzione, che vietava sia leggere che scrivere, una propria moneta chiamata Sievaloco (dal nome dialettale del cefalo) e un proprio francobollo.

All’altezza di Portoviro abbiamo imboccato il Brondolo, il canale che sale in direzione Nord Est tagliando il Canal Bianco, l’Adige e il Brenta, per finire a Chioggia in laguna. Una sfilata di campanili che si stagliano in cielo oltre la vegetazione. A ogni incrocio una chiusa, dopo ogni chiusa l’acqua che cambia colore. Da verde vegetale e torbida diventa leggera e scura, quasi nera, poi ancora azzurra e scintillante quando finalmente ci si apre al mare e si costeggia l’isola di Pellestrina e Alberoni, che piaceva tanto a Hugo Pratt. Casette variopinte e festoni attaccati da un balcone all’altro, uomini a petto nudo che trafficano attorno a motoscafi e gommoni, bambini in bicicletta sul lungomare dritto e sudato, la festa del patrono pubblicizzata a grosse lettere scritte in pennarello: GRIGLIATA DI PESCE.

Infine l’arrivo a Venezia, tra briccole e gabbiani, la basilica di San Marco sfocato nell’aria umida che piano piano diventa vicino e reale, la mostruosa grandezza delle navi da crociera che intersecano la nostra rotta.

Siamo sbarcati ai giardini della Biennale e non sembrava neanche vero. Una volta con la Serenissima gli estensi ci giocavano a battaglia navale, perdendo. Sabato i ferraresi sono arrivati di nuovo dal mare, adrenalici come bambini in gita, sperduti di fronte alla vastità della laguna, confusi dal sistema complesso che regola il traffico marittimo.

«Fermate a Murano?», ci ha chiesto una turista spazientita dal sole, il volto nascosto dalla tesa dell’immancabile cappello di paglia.
No signora, la nostra è la barca che passa ora e poi chissà se e quando passa più. Ma non ferma a Murano.

6 Commenti

  1. Anna Moro scrive:

    Bellissimo l’articolo e il viaggio. Io ci sono andata due anni fa ed ho rivissuto leggendo le emozioni di allora. GRAZIE.

  2. eros forapani scrive:

    Bellissimo giro in barca, che ti fa passare alcune ore a contatto con la natura, il mare, e conoscere nuova gente. Spero di farlo anch’io quel giro.

  3. Miranda Daniela Azzolini scrive:

    La Nena si chiamava Casini di cognome e non Cosini; non abitava da sola in golena ma in una casa nei pressi del Cavo Napoleonico e, fino all’ultimo, con una signora che non so se sia quella citata nell’articolo e con cui sembra avesse un particolare tipo di rapporto e la cosa, checché ne dica la signora Vignotto, in paese era considerato assolutamente scontato e non generava nessuno scandalo.

  4. roberta lazzarini scrive:

    mi sono persa questa meravigliosa avventura. Brava. Leggendo questo articolo sembra che le distanze con la mia amata città natale, con i miei campi dove giocavo da bambina, i miei amici e i miei genitori, siano così straordinariamente vicine. Percorsi acquei. Una viabilità tutta da far scoprire. Lentamente e con grande garbo

  5. Pierfrancesco scrive:

    Bellissimo articolo!
    Non sapevo si potesse fare questo itinerario storico.

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