Marcello Matano fin dal nome evoca il bianco e nero sgranato di una pellicola sugli emigrati italiani negli Stati Uniti. L’atmosfera blues di umide palestre in oscuri seminterrati dove per riscattarsi dalla miseria, si imparava a combattere.

Invece, nonostante l’immaginario che suggerisce, la storia di Matano è molto locale. Nato a Ferrara e cresciuto a Occhiobello, è a cavallo del Po, e non del Mississippi, che è diventato un pugile professionista vincitore di tre titoli italiani e tre titoli intercontinentali nella categoria superwelter, pesi medi leggeri.

Nella storia di Matano, gli USA ci sono, ma sono solo una tappa, il sogno rimandato di vincere un mondiale, un arrivederci.
Ma cominciamo dall’inizio. Da quando un giorno in cui è particolarmente arrabbiato, Marcello, a 18 anni, in un periodo decisamente negativo della sua vita, passa davanti ad una palestra con l’insegna “boxe”, ed entra. C’è uno dei gestori che sta imbiancando, gli dice di tornare il giorno dopo. Quasi d’istinto, per sfogarsi, lui si ripresenta e comincia ad allenarsi. Un anno dopo già combatte e vince prima del limite, buttando giù uno dopo l’altro i suoi avversari.

Fin dal principio il suo allenatore è Roberto Croce, un sodalizio che dura ancora.

“All’epoca lavoravo alla Montedison – racconta Matano – otto ore al giorno di carpenteria, arrivavo in palestra e mi facevo un culo così. Mi sono accanito, da dilettante ho vinto tre titoli regionali e sono andato alle finali nazionali, perdendo ogni volta immeritatamente. Stavo quasi per lasciare tutto, ma il mio capo, Sergio Barotti della Welding Duebi mi ha convinto a non farlo, mi ha detto di rimanere a casa dal lavoro e mi ha sponsorizzato dandomi la possibilità di diventare professionista”.

Una grande opportunità che ha comunque un prezzo. Sacrificio, disciplina, serietà. Senza non si va avanti.
“Dieta, niente fumo né alcolici, ci vuole rigore, devi fare tante rinunce” e a vent’anni non è poco imparare l’autocontrollo.

“Nei dilettanti usi i guantoni antishock e il caschetto per proteggere le tempie e la scatola cranica, ma il professionismo è un altro sport, non hai queste cose, senti le nocche e sei a petto nudo”.

Foto di Corradino Janigro

E pensare che all’inizio Marcello aveva paura dei pugni. “Poi impari a tirarli e a difenderti, e ti carichi di adrenalina ogni volta che sali sul quadrato, quando senti gridare il tuo nome e i tuoi parenti e amici sono lì a vederti. Questo produce però anche l’ansia da palcoscenico, devi esibirti, tutti ti guardano, hai paura di fare brutta figura e devi imparare a vincerla con una preparazione psicologica”.

Nel professionismo i round di tre minuti l’uno, passano da tre a dodici, “un tempo infinito quando sei lassù, devi dosare le energie e usare la testa come in una partita a scacchi, se ti prendono il mento o le tempie hai finito, se ti prendono al corpo ti tolgono tutto il fiato che hai fatto in tre mesi di duro allenamento. Durante gli incontri non c’è cattiveria ma solo grinta agonistica. Se sei cattivo prendi delle botte perché perdi concentrazione. C’è più rispetto tra pugili che tra calciatori. Sai che davanti hai uno che si è allenato tanto come te. Fuori dal ring noi pugili siamo pacifici, perché ci siamo sfogati”.

È per questo che stanno nascendo tante palestre popolari con progetti di riabilitazione per ragazzi con disagi sociali. “Il pugilato può essere un bel riscatto, imparandolo non ti entra la violenza, ma delle regole e il rispetto per il prossimo, aiuta ad incanalare le energie in una cosa sana come lo sport. Capisci il valore del sacrificio e che la cattiveria è controproducente”.

La recente scomparsa di Muhammad Ali ha lasciato molti pugili orfani di un esempio vivente, ma non Matano.
“Sono cresciuto senza modelli, con Roberto ho creato uno stile mio. Sono un demolitore, non ho la pacca da KO, ma sono potente e ho un ritmo che in pochi hanno. Poi sono orgoglioso e quando ho un obiettivo divento compulsivo pur di raggiungerlo, e questo conta.
In vista di un combattimento mi alleno cinque ore al giorno. Il prossimo sarà il 23 luglio per classificarmi nella categoria welter e dare l’assalto al titolo europeo a fine anno”.

Foto di Corradino Janigro

L’ultimo combattimento importante per Matano è stato, a marzo scorso, la semifinale mondiale Ibf al Casino Sands di Bethlehem in Pennsylvania contro Julian Williams, detto “J Rock” finito con un KO tecnico per il nostro.
“Ho perso la testa. Fino al 7° round stavo andando bene, avevo studiato l’avversario, poi all’angolo mi hanno detto che perdevo di otto punti, ma io non mi sentivo in svantaggio. Mi hanno detto di buttarlo giù, mi sono avventato su di lui e mi sono scomposto e ho fatto il suo gioco, lui era un attendista, con un passo indietro mi ha dato un gancio al mento e ho perso l’equilibrio”.

Nonostante l’esito dell’incontro, per Marcello è stata una bellissima esperienza, e gli americani hanno apprezzato la sua determinazione, offrendolgli nuove possibilità di tornare sul ring.
Ma lui non ha fretta. Il suo obiettivo è vincere un mondiale, però non si dà scadenze. La media di età dei pugili professionisti è quarant’anni, e lui, che proprio oggi ne compie trenta, ha ancora una lunga strada davanti. Come regalo di compleanno si tatuerà una bussola rotta sul gomito. “Ho perso la rotta, vado dove mi porta il vento”, dice, ma in virtù del suo soprannome, “il Capitano”, in realtà sembra sapere bene dove andare.
Mentre insegna boxe in città e provincia, vuole aprire una scuola nel suo paese, a Occhiobello.
“Mi sono allenato nella storica Gleason’s Gym di Brooklyn, dove sono passati tutti i migliori, da Jake LaMotta a Mike Tyson, è stato magico, ma è qui dove sono cresciuto che voglio vivere, ci sto bene e Ferrara è una città molto attiva per la boxe, peccato solo ci siano pochi sponsor”.
L’America può attendere: tanti auguri Marcello!

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.