di Zeno Bianchini

Raccontare e documentare un evento tragico accaduto sulla pelle delle persone comuni è uno dei motori che ha accompagnato il Cinema sin dai suoi albori. L’empatia che una storia crea è all’apice quando è in grado di descrivere qualcosa vissuto in prima persona dal suo pubblico, ma è raro riuscire a raggiungere l’intimità di chi, quella tragedia, l’ha esperita solo da lontano, attraverso le notizie di un giornale.

“La notte non fa più paura”, diretto da Marco Cassini, è riuscito in tutto ciò, raccontando il terremoto che ha scosso le anime e le vite degli emiliani nel 2012, in particolare quella realtà di paese legata alla piccola e media industria che è stata la vera protagonista della tragedia. Sono stati soprattutto gli operai, già vittime di un sistema di lavoro precario che li ha spostati dal sud, dall’estero e dalla provincia, ad essere sepolti dalle macerie dei capannoni crollati all’improvviso. Ognuno di loro ha lasciato un segno nella vita dei suoi cari ben più profondo delle brecce aperte dal sisma, ed è ciò che che la pellicola riesce a raccontare.

La realizzazione di un film che si inserisce in questo contesto non può prescindere da una ricerca sul campo che coinvolga chi il terremoto lo ha subito in prima persona. Abbiamo parlato con Ilaria Battistella, direttore di produzione e Stefano Muroni, protagonista nel film e nella sua realizzazione; ci hanno raccontato cosa significa produrre un film nella realtà ferrarese, quali gioie e fatiche comporta stare a contatto con una vicenda così drammatica.

«Le riprese sono durate solo dieci giorni» racconta Ilaria «quando la media di una produzione italiana occupa un mese e mezzo di lavoro». Ma per arrivare allo shooting sono stati necessari due anni di lavoro e oggi, quando sono state già effettuate le prime proiezioni su territorio internazionale, il gruppo continua a curare il progetto e la sua distribuzione a distanza di tre anni dalla sua genesi.

Ilaria continua: «Il primo importante incontro, precedente alle riprese, è avvenuto con Laura Ansaloni, presidentessa di “Emilia Vite Scosse” con sede a Sant’Agostino» un comitato che raccoglie a sé le vittime del sisma e si batte tutt’ora per la sicurezza sul lavoro. «Abbiamo presentato il progetto e successivamente sono stati organizzati incontri privati fra le vittime del sisma e il casting. Molti degli attori coinvolti provenivano da zone non legate al terremoto e attraverso incontri con le vittime hanno avuto un importante contatto diretto con quelle esperienze che avrebbero dovuto interpretare e raccontare». Gli incontri, chiarisce Stefano: «sono continuati anche durante lo shooting. Gli attori sul set parlavano con gli abitanti del paese prima e dopo aver girato ogni scena».

Il secondo incontro importante è avvenuto con Angela Poltronieri, sindaco di Mirabello, che ha dimostrato immediatamente entusiasmo per il progetto. Qui è stato girato il film, Ilaria parla di una “triplice necessità” che ha condotto la troupe nel paese. «Solitamente le istituzioni hanno bisogno di tempi molto lunghi per approvare un progetto di questo tipo e noi avevamo urgenza di attivarci subito nelle riprese per rispettare i tempi: Angela ha dato il suo ok immediatamente, aprendoci la strada».

Courtesy Marco Caselli Myotis e Enrique Olvera

Al contrario di luoghi-simbolo come la torre crollata di Finale-Emilia «Mirabello è stato scelto perché non aveva connotazioni geo-politiche riconoscibili», per ricordarci che il terremoto ha coinvolto l’Emilia intera e ogni esperienza è legata a quella del paese vicino. Le strutture distrutte che vediamo nel film non sono ricostruzioni, sono edifici che hanno subito realmente il terremoto. Infine Mirabello «ci ha permesso di descrivere la realtà di piccola e media impresa di paese che volevamo raccontare». Stefano descrive il suo lavoro come «il film della gente comune per la gente comune, che parla di temi senza tempo come integrazione e precariato».

Una volta iniziate le riprese, i mirabellesi hanno reagito prima con diffidenza per via della situazione straordinaria che la troupe aveva generato: rumori notturni e un continuo via vai di persone. Ma il coinvolgimento successivo degli abitanti è stato molto naturale, lo shooting ha unito a doppio filo chi il sisma l’ha subito e chi ha deciso di raccontarlo in un film. Nonostante le difficoltà legate ad un budget ridottissimo, il senso di necessità continuo è riuscito ad unire il gruppo di lavoro composto da esperti del mestiere e volontari. «In queste situazioni» racconta Ilaria «è difficile controllare l’imprevisto, ma talvolta è proprio ciò che trasforma un progetto nel migliore dei modi». I mirabellesi, prima timidi, si sono sentiti ben presto trasportati dall’anima e dalle finalità del film, aiutando in ogni modo la troupe nel suo lavoro.

L’unità emotiva creata è riuscita a passare dalle riprese allo schermo, fino a raggiungere il pubblico in sala. Ogni proiezione è stata diversa dall’altra ma sono sempre presenti le reazioni entusiaste degli spettatori. Anche la musica, composta da Martina Colli che ha collaborato dalla sua sede a Berlino, ha un ruolo fondamentale nel trasportare nell’intimo dei personaggi e della vicenda.

Diverse sono state le attenzioni della produzione nella scelta di collaboratori (moltissimi al di sotto dei 35 anni, già con importanti esperienze sulle spalle). «Per tutti noi» racconta Stefano «questo film è stata l’opera prima, era importante fare un ottimo lavoro. La realizzazione del film è stato un meraviglioso salto del buio che non abbiamo avuto il timore di affrontare, ci siamo sentiti protetti dalla Storia».

Col sorriso Ilaria racconta anche come il film sia stato ecosostenibile: «a parte i furgoni necessari al trasporto delle attrezzature e del fabbisogno scenografico, il cast si è sempre mosso in bicicletta grazie a Ricicletta» un progetto sociale che recupera e riassembla biciclette vecchie o abbandonate, rigenerandole tramite materiale riciclato. «Come chi è operaio di mestiere utilizza la bicicletta tutti i giorni» sottolinea Stefano «noi l’abbiamo mostrata nelle riprese e abbiamo pedalato dentro e fuori dal set».

Qualcosa è cambiato a Ferrara da quando “La notte non fa più paura”. Ilaria è positiva: «la città sta rispondendo, c’è molto fermento e qualcosa si sta risvegliando. Ferrara è una realtà insolita, che fatica a comunicare con le situazioni più attive della regione come le iniziative di Bologna. È necessario che si costruisca un’identità cinematografica». Stefano vive a Roma e di Ferrara dice che: «quando è vista dall’esterno, è amata in tutto il mondo. Ma questa città tende a livellare gli animi e ad annullare il tempo, quando ci sei dentro. È una bolla dalla quale è difficile uscire, ma questo ristagno permette a chi ha le potenzialità di generare dal nulla qualcosa di profondamente creativo». Forse questo film ne è la conferma, il punto di partenza per una nuova identità culturale sul nostro territorio.

A Ferrara “La Notte non fa più paura” sarà proiettato oggi, 20 maggio, presso il Cinepark Apollo, ma per Stefano i progetti sembrano non finire mai: «Sarebbe bello se le istituzioni riuscissero a creare la giusta sinergia per realizzare un libro fotografico su questo film. Non una raccolta che parli di noi, ma qualcosa in grado di descrivere tutti coloro che vogliono fare memoria di un evento che ci ha segnato così profondamente come il sisma del 2012».

Dopo questo successo, appena premiato alla 34esima edizione di Valdarno Cinema Fedic, Stefano ci anticipa alcune parole sul suo prossimo progetto: «Anche con il prossimo film voglio parlare di questa terra, raccontando un personaggio emiliano del ‘900». Le sue intenzioni sono chiare, dare importanza a quelle vicende troppo importanti per essere dimenticate.

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