ALPACA è una cooperativa di progettisti grafici che lavora per la pubblica utilità nell’ambito della divulgazione scientifica e sociale, per promuovere l’accessibilità delle informazioni attraverso la progettazione di strumenti visivi.

Detta così sembra qualcosa di difficile comprensione, ecco perché viene in aiuto un simpatico animale o un acronimo creativo, ALPACA appunto: Altri Linguaggi e Progetti per Agevolare la Comunicazione e l’Accessibilità.

Dietro a questo progetto c’è infatti molto di più di un animale: Giulia Bonora, Giampiero Dalai, Daniele De Rosa e Adelaide Imperato sono quattro ragazzi provenienti da città diverse che hanno condiviso un percorso di studi simile all’ISIA, l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche di Urbino e hanno poi scelto Ferrara come base operativa della loro nuova piccola cooperativa di comunicazione. Con un occhio di riguardo all’accessibilità delle informazioni, all’inclusione sociale, allo sviluppo di soluzioni che siano di supporto non convenzionale alla diffusione della cultura.

Due dei suoi quattro fondatori, Daniele De Rosa e Giulia Bonora, ci raccontano più nel dettaglio la genesi della startup, che a differenza di tante altre nel campo delle arti visive non è fuggita in fretta verso qualche grande città, ma si è insediata a Ferrara, pur con l’ambizione di rivolgersi al mondo intero.

“Ci siamo detti: troviamo un nome simpatico per spiegare cosa facciamo, che abbia un tono interessante” – racconta Daniele – “ma ci abbiamo messo un po’, scartando alcuni animali meno giocosi e informali. Inoltre l’àlpaca (si pronuncia con l’accento sulla prima A) viene usato per la pet-therapy e ci piaceva questa idea.”

alpaca-coop-01Sembra proprio che vogliate fare sul serio: sono tanti i freelance che aprono partita iva dopo qualche tempo, dopo aver sondato il terreno e visto come vanno le cose. Nel vostro caso avete da subito costituito una coop!

L’idea di metterci insieme è venuta fin dall’inizio a noi due, volevamo fare qualcosa nel campo della progettazione legata alla pubblica utilità. Poteva essere un’associazione no profit, ma è interessante lavorare in campo simile anche con aziende, quindi ben venga una cooperativa. Abbiamo coinvolto nel progetto altri due ragazzi conosciuti ad Urbino, tutti e quattro abbiamo fatto tesi su argomenti simili pur con declinazioni diverse. Adelaide ad esempio ha sviluppato un’interfaccia per un’app, Giampiero che adora la programmazione un software gestionale online, nel caso mio e di Giulia un sistema di pittogrammi: modalità diverse per problemi con la stessa tematica.

Avete scelto questo ambito “sociale” anche da prima di scrivere la tesi?

Ci interessava da un po’, volevamo far qualcosa nell’ambito della “comunicazione aumentativa alternativa” perché c’era carenza nei linguaggi usati fino ad oggi. Con l’aiuto di un professore abbiamo cercato collaboratori come pedagogisti e logopedisti, lavorando insieme. L’ISIA di Urbino ha dato un’impronta al progetto legata a tematiche sociali, spesso questo è il comune denominatore. In qualsiasi progetto si è aperti a collaborazioni anche lontane dal ruolo del progettista grafico.

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All’ISIA avete sviluppato progetti solo per studio o alcuni si sono poi concretizzati?

Quasi sempre si va verso la concretizzazione. Nel nostro gruppo di Alpaca, Adelaide sta lavorando ad esempio ad un progetto di scrittura per i sordomuti. Ha progettato l’interfaccia di un’app per smartphone che consente di usare una tastiera speciale: propone alcuni simboli iniziali e in automatico subito dopo quelli correlati per comporre una frase, anche non lineare ma articolata nello spazio come nel linguaggio dei segni. L’idea di Alpaca è proprio di prendere questi progetti e portarli avanti creando una rete tra noi e altri professionisti. Son tutti progetti poveri, open source, spesso gratuiti.

A cosa state lavorando ora?

Ci stiamo guardando in giro innanzitutto alla ricerca di bandi e progetti cui partecipare. Stiamo inoltre collaborando con Informatici senza frontiere con cui portiamo avanti l’idea di un sistema di scrittura fatto di pittogrammi per il quale stiamo preparando i materiali finali.

A chi si rivolge?

A persone affette da autismo o con disabilità del linguaggio, oppure che hanno avuto ad esempio un trauma cranico e devono recuperare la parola dopo un periodo di degenza… Insieme a specialisti del settore stiamo preparando qualche esperimento. Vorremmo mettere tutto online in modo open source, lasciare che i pittogrammi vengano scaricati in autonomia, fare in modo di poterne richiedere di nuovi, proporre migliorie.
Son progetti che facciamo più che altro per passione, anche se non mancano quelli di pubblica utilità, magari di interesse per le istituzioni: un percorso per il museo, la segnaletica di un parco urbano… L’idea di creare linguaggi accessibili può essere declinata su qualunque progetto, serve solo creare una rete di persone che ti aiutino a realizzarlo.

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Come si lavora stando in 3 città diverse?

Daniele: io sono di Bracciano, mi sono trasferito prima a Urbino poi a Ferrara per lavorare al fianco di Giulia, gli altri sono nelle rispettive città e ci sentiamo via Skype. E’ difficile ma si può fare, fissiamo una chiamata a settimana, per aggiornamento e per scegliere le priorità. Poi usiamo ogni strumento possibile: da Slack per le chat interne ad Asana per le liste di cose da fare, Google Drive per i documenti e report, pCloud per i file condivisi… Ci sono strumenti notevoli in rete se li si vuole sfruttare, spesso sono anche gratuiti.

Contate di lavorare più sul territorio o con l’estero?

Stiamo portando avanti le due cose: ci piace lavorare sul territorio e trovare contatti perché anche qui a Ferrara ci sono realtà che fanno cose interessanti con cui collaborare, ma se c’è possibilità di farsi conoscere anche fuori è sicuramente meglio. Abbiamo tenuto una conferenza a Dublino a dicembre per raccontare la nostra tesi in un ciclo di seminari e incontri sulla tipografia, erano presenti imprenditori, designer, professionisti, professori e studenti…

alpaca-coop-02Quello che fate lo fanno già altri in modo più strutturato?

Esistono un paio di realtà ma è un filone di ricerca secondario: Chialab a Bologna fa ricerche con Zanichelli per migliorare la leggibilità dei libri scolastici. QZR, realtà con cui ci sentiamo compatibili, si occupa di progetti di accessibilità, ad esempio piattaforme per testare caratteri per la dislessia. A livello mondiale c’è IDEO, che ha un’impronta sociale molto forte. Dal punto di vista della comunicazione visiva l’idea dell’accessibilità è poco applicata, ancora deve entrare in testa l’idea che anche un sito dev’esserlo, che l’accessibilità non è legata per forza ad una disabilità ma ad una più pratica fruizione delle informazioni.

E in Italia come siamo messi?

Siamo indietro, non molto più indietro di altri ma sicuramente all’estero c’è più attenzione sul problema. A Londra ad esempio la National Gallery ha un sito accessibile e uno sguardo attento alle disabilità motorie: ti mostrano quali percorsi puoi seguire, anche in caso di disabilità cognitive. In quale sala c’è un sovraccarico cognitivo? Dove ad esempio c’è troppo rumore o una luce molto forteè giusto tu sia preparato prima di entrarci.

A Ferrara ci sono realtà che pongono particolare attenzione alla comunicazione accessibile?

Non tante. Forse il MEIS, dove abbiamo visto un allestimento interessante durante la mostra sulla Torah: c’erano cassetti che si potevano aprire con dentro elementi tattili, essenze da annusare, eccetera. Però per una persona con problemi motori era un dramma, se tiri verso di te un cassetto ti incastri, anche un bambino avrebbe avuto difficoltà. Si vede che l’allestimento non era pensato in funzione delle disabilità… Un’altra cosa carina che abbiamo scoperto è un libro d’arte fatto a mano, in una delle prime stanze di Casa Romei. Un libro tattile scritto in braille, con altri pezzi di carta sovrapposti… davvero bello. In generale comunque c’è ancora molto da fare e da migliorare.

(infografiche a cura di Coop. Alpaca)

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