Il Museo del Risorgimento e della Resistenza da pochi giorni è stato formalmente inserito nella lista dei musei candidati a MuseoMix: un format francese finalizzato a ripensare il modo di vivere gli spazi espositivi. Sono solo quattro i musei italiani candidati all’edizione 2016, che si terrà contemporaneamente in tutte le sedi selezionate il prossimo novembre. Durante quell’appuntamento – che durerà tre giorni – le sale solitamente tranquille e silenziose diventeranno un laboratorio, un’officina temporanea dove si confronteranno esperti di comunicazione, informatici, grafici, makers e operatori culturali. Tutti impegnati per ideare assieme nuove modalità di fruizione delle collezioni, strumenti innovativi capaci di valorizzare il patrimonio esistente e allargare il bacino dei visitatori.

Listone Mag, in vista di questo appuntamento che ci vedrà tra i partner coinvolti, ha voluto fare una piccola ricognizione del museo. Raccontare cos’è oggi, prima di scoprire ciò che potrà diventare domani.

Situato in via Ercole I d’Este, a pochi passi dall’incrocio con corso Biagio Rossetti, il museo si fa notare innanzitutto per la quiete che lo circonda. Ci si entra con passo disinvolto, attraversando il giardino curato e sbirciando il busto in bronzo che affianca l’ingresso. Varcata la soglia si saluta in biglietteria, un cenno e un sorriso anche ai guardasala. Fino qui tutto bene. Uno sguardo distratto al medagliere, uno ai faldoni ordinati sulle scaffalature, alle loro etichette scritte a mano. E ancora: fino qui tutto bene.

Il nodo in gola inizia a stringersi quando si lascia il corridoio e si inizia lentamente ad attraversare la sala dedicata alla Resistenza. Si spengono le chiacchiere, l’entusiasmo da gita – che sempre accompagna la visita di un museo, fosse anche a tre minuti a piedi da casa – muore subito dopo. Che succede? Succede che sfiorando i poster infilati nei raccoglitori, guardando le fotografie appese e leggendo i documenti raccolti lo spazio attorno si trasforma: credevamo di essere in un luogo pubblico e invece ci troviamo in un luogo privato. Una casa per la precisione. Vecchiotta e polverosa, che mostra senza vergogna la sua età: i legni appassiti dal tempo, le stampe scolorite, le sale allestite in modo semplice e funzionale. E il motivo per cui viene da piangere è che nelle sue dimensioni ridotte, nel suo essere in qualche modo incastrata in un tempo passato, la casa appare indubbiamente abitata.

Accade spesso, quando ci si confronta con la storia, di considerare il suo racconto con freddezza e leggerezza: è tutto talmente lontano! Si fatica a immaginare, sentire è quasi impossibile. Ma in questo piccolo museo di provincia si sente tutto: si sentono le voci, le risate, le grida delle persone, perché la loro memoria è trattata con lo stesso affetto della vedova che conserva gli abiti del marito, dei nipoti che tengono nel portafoglio la fotografia dei nonni che non ci sono più.

L’allestimento è rimasto lo stesso da quando è stato inaugurato nel secondo dopo guerra. E quando si passa alla sala centrale, quella dedicata al Risorgimento, non cambia la sensazione di trovarsi in un posto dove ai ricordi si vuole bene.

Foto di Eugenio Ciccone

«Io in questa sale ci resto il meno possibile. Mi vengono i brividi quando guardo le foto segnaletiche dei perseguitati. Vite distrutte, uomini e donne che rinunciarono al lavoro, ai figli, ai sentimenti, semplicemente perché pensavano fosse sbagliato fregarsene di ciò che stava accadendo attorno a loro. In questi anni di individualismo spinto non è facile guardare in faccia queste persone».

A parlare è la nuova responsabile, Antonella Guarnieri, da poco subentrata a Delfina Tromboni. Ci accoglie raccontandoci le vicende travagliate che hanno accompagnato la nascita dell’istituzione: «il primo nucleo del museo è stato creato nel 1903, raccogliendo alcuni lasciti prima conservati presso la Biblioteca Ariostea e a Palazzo Diamanti. Durante il periodo fascista è stato chiuso, perché in occasione di una grande mostra dedicata alla pittura rinascimentale la città aveva bisogno di uno spazio dove accogliere i visitatori, ed è stato scelto questo. Si era a ridosso dei patti lateranensi, e nella decisione deve aver influito la volontà di ossequiare la chiesa, facendo sparire per un po’ la vicenda risorgimentale. Per fare spazio molti materiali vennero accatastati nelle soffitte di Palazzo Diamanti, ma proprio lì nel giugno del 1944 cadde una bomba. Restarono sotto le macerie per anni e ancora adesso quei documenti appaiono più polverosi di quanto normalmente dovrebbe essere: oltre alla polvere del tempo li copre quella, più pesante, dovuta al crollo. Dopo la guerra si decise di riaprire e aggiungere la parte sulla Resistenza, che veniva considerata in continuità con l’Unità d’Italia, per questo all’epoca il nome scelto fu Museo del Primo e del Secondo Risorgimento. Le raccolte di quel periodo arrivano dall’Anpi, altri documenti sono stati trovati in seguito da Renato Sitti e Giuseppe Gelli».

Il museo non ha mai avuto grandi mezzi, ma le persone che l’hanno guidato di passione e di capacità ne hanno investite tante. Non si contano le iniziative didattiche organizzate e le ricerche svolte, anche se altrettante ne rimangono da fare. Di chi si è opposto al regime nel periodo dello squadrismo ad esempio si sa poco. «La storia di Tullio Zecchi è praticamente sconosciuta – spiega Antonella -. Dalle parti di via Darsena, dove adesso c’è il parcheggio ex Mof, Tullio vide dei fascisti puntare le armi contro alcuni ragazzini che cantavano Bandiera Rossa. Si mise in mezzo e gli spararono in fronte. La notizia finì sui giornali ma provando a cercare tracce di quella uccisione nell’Archivio storico comunale non si trova niente. Prefettura e questura testimoniarono solo la morte. È cercando tra le carte del libro dei funerali, quello dove si segnavano i seppellimenti, che si trova nero su bianco la causa del decesso: un colpo di arma da fuoco. A sparare fu Arturo Breveglieri, noto fascista a cui fu dedicata addirittura piazza Municipale in quegli anni, quando morì poco dopo. Quel giorno in tanti lo videro sparare, fu anche denunciato ma pare che per coprirlo intervennero anche i carabinieri. Ecco, il giorno dopo l’uccisione di Tullio Zecchi, Breveglieri sfilò in piazza assieme a Mussolini, invitato a partecipare a un raduno degli agrari. La storia di Ferrara è fondamentale per capire il fascismo in Italia».

Un altro capitolo su cui varrebbe la pena lavorare è quello delle corrispondenze delle famiglie estensi che hanno sostenuto l’Unità d’Italia: è tutto archiviato ma le lettere non sono catalogate e nemmeno inventariate. Come non lo sono – tra i documenti più recenti – i verbali dei consigli di fabbrica della Montedison, raccolti a partire dagli anni Settanta.

Antonella tra un racconto e l’altro si ferma a guardare la medaglia d’oro al valore militare del partigiano Bruno Rizzieri, morto sotto il Ponte della Pace per coprire dei combattenti poco più giovani di lui, donata al museo dalla sua famiglia. Sfoglia una pagina ingiallita della “Domenica dell’operaio”, pubblicazione del 1924 che chiede a caratteri cubitali il riconoscimento del riposo nei giorni festivi.

Riusciranno i professionisti di MuseoMix a innovare il contenitore conservando lo stesso amore per i contenuti? L’unico modo per saperlo è seguire lo svolgersi del progetto, magari partecipando in prima persona alla sua realizzazione.

 

PER INFORMAZIONI:
Museo del Risorgimento e della Resistenza
http://museorisorgimentoresistenzaferrara.wordpress.com

MuseoMix Italia
www.museomix.it

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