Ghe fred, c’è freddo. Avete il giubbotto?”
“No”
“Ma porca puzzona…”

Dagli spalti della curva, a qualche minuto dal gol della Spal, arriva un messaggio da parte della mamma di uno di noi. Oggi c’è una risposta che va bene a qualsiasi dubbio, a tutte le richieste, ad ogni eventuale domanda. Si può fare tutto e tutto vale: dopo 23 anni, la Spal è in B.

“Passo col rosso. Tanto siamo in serie B”.
“Stasera mi drogo. Tanto siamo in serie B”.
“Oh, hai un figlio piccolo, cosa minchia dici?”.
“Gliene do anche a lui, tanto siamo in serie B”.

“Vaffanculo, a lavoro se non mi danno il permesso prendo malattia. Tanto dobbiamo andare in B”.

C’è la vita di tutti giorni, costante e regolare, e poi c’è questo sabato atteso e teso, da affrontare con amore e ironia. Così anche la mamma viene subito messa a pari con una risposta su Whatsapp, tenera quanto paracula: “Mamma, non ti preoccupare, tanto siamo in B”.

Dentro allo stadio Mazza, io non c’ero stata mai. Genitori cestisti, un fratello ex portiere scarrozzato in lungo e in largo nei peggiori campi da calcio del nord est. Viaggi interminabili per il Veneto, nei weekend dei nostri fine anni ’90 e inizi duemila. Pomeriggi lunghissimi, fine settimana da riempire per non cadere nel vuoto più vuoto di una pianura padana vastissima e sola, dove è un attimo mettere un piede nella noja e non tornare mai più. Tutta la famiglia seguiva queste trasferte fatte di bambini in tensione fortissima. Silenzi infiniti o al contrario voci stridule, sovrapposte e interminabili, una frenetica attesa verso qualcosa che per loro era questione di vita o di morte, di gioia o di amarezza. La partita. Tanti i chilometri percorsi, la stanchezza, le magliette asciugate sopra i termosifoni d’inverno, “ché sennò è ancora umida e poi ti prendi un malanno”.

“Ore 15 e 30 ci si trova tutti fuori dal Mazza per il prepartita. Guarda di essere pronta”. La faccenda si fa di colpo seria. Negli occhi di tutti quelli che questo momento lo aspettano da 23 anni, c’è una luce di felicità misto tensione, c’è chi parla in continuazione, chi sta in religioso silenzio. Sta veramente accadendo e sta accadendo oggi, che è pure San Giorgio, patrono custode della città. Inforco la bici e inizio a pedalare verso lo stadio passando prima dal centro. Voglio vedere le facce dei ferraresi, voglio vedere più facce possibili.

Che abbia inizio questo sabato dalle emozioni plurime, sedimentate, immaginate, immaginifiche. Mondi paralleli che si incontrano, professionisti al lavoro in pantaloni bianchi e maglioncini azzurri, c’è una palpitazione strana nelle strade. Una certa Ferrara scopre quell’altra oggi, in tanti piccoli dettagli. Un signore aspetta non si sa bene cosa o chi, in piazza Trento e Trieste. Ha la sciarpa della Spal legata alta sui fianchi, come i turisti tedeschi in gita a Roma. Ha una bandiera arrotolata, sulla quale si sorregge. Sembra aspettare la promozione da tutta una vita. C’è nell’aria un qualcosa di più ampio, forse la chiamerei ‘un senso di comunità’ che sembra un’accezione clericale ma non lo è. O lo è?

La Spal, i colori bianco e azzurro, i salesiani, l’educazione e l’istruzione della gioventù. Ars et labor. C’è chi il 23 aprile legge Gobetti al bar, e consiglia Gobetti agli amici, che l’han fatto fuori sia i fascisti che quegli altri, “che mi vien fino il nervoso a sentirli parlare, ancora, parlano ancora”. Bestemmie tra i denti, mentre l’aria cambia ancora. Rischiara, s’incupisce il cielo, lascia interdetti tutti, sotto ombrelli dai colori sparatissimi. Piero Gobetti era uno che diceva che gli piaceva essere “settario-intransigente, non settario-filisteo” e per questo pubblicava anche i libri di chi non la pensava come lui. Diceva infatti di “non rinunciare mai a capire né ad essere curioso”. Intanto Ferrara oggi è bella, sempre più bella, sempre più in tensione, in attesa. Guarda tutto, si segna tutto, sembra non perdere un colpo.

Della Spal, avevo sentito parlare poco nulla, quando ero dall’altra parte del Po. Ma con il cambio di residenza in questa città si assumono ben altre responsabilità oltre alla Tari, al voto alle prossime amministrative, ai bombardamenti di castelli e cappellacci su Instagram. Si creano patti di sangue, emozioni radicate. Fino a poco tempo fa, per dire, ero tra quelli che mai avrebbero pensato di vederla giocare, la Spal. Poi però ti ritrovi a vivere per un periodo in via Ortigara, a pochi passi dallo stadio. In casa canta De André, ma in men che non si dica gli fa eco un boato, dalle finestre entrano cori rarefatti ma fortissimi, presenti. De André si mischia con la curva Ovest, diventa qualcosa di nuovo e stupefacente, di vivo e pulsante, qualcosa di incazzatissimo, bombarolo e incendiario. Viene la voglia di vedere le cose coi propri occhi.

“Lo stadio pieno, non lo vedevo così da quegli anni” è la prima cosa che dici quando entriamo, trattenendo il fiato. Andiamo e ci posizioniamo nel vostro posto di sempre, vi seguo. Da dove siamo noi si vede perfettamente tutto, tranne la partita. Gli spalti composti e asciutti della tribuna sulla destra, la gradinata sulla nostra sinistra sotto una pioggia infinita. Davanti a noi solo bandieroni e due aste. “Ama il tuo sogno seppur ti tormenta” e una Jessica Rabbit d’altri tempi accompagna una cubitale scritta ULTRAS. Un vecchio coi capelli tinti di un arancione hardcore ci balla vicino come se i cori fossero musica da balera, suonata però a 320 bpm.

Uno dei ragazzi non è riuscito a prendere il biglietto per tempo, ma la Spal l’ha seguita sempre. O meglio: l’ha seguita nei suoi momenti più bassi, come quella volta dove sugli spalti “eravamo in 800 e giocavamo in casa contro il Camaiore. La vittoria fu risicata e la Spal manco si chiamava più Spal ma ‘Real Spal’”. O come quella volta che “sono andato a Narni a vedere la Magica – magica prima della Magggica – e mia madre mi ha preso per matto, perché ero sveglio alle 6 e 30 di domenica mattina. E nessuno sapeva dove fosse, questa Narni”. “Na squadretta pulita, peccato che c’ha la maglia che sembra la formellese” a detta di un tassista romano de Roma. Perché la Spal non è solo Ferrara, è sempre stata qualcosa di più. Più di una via Garibaldi che riempie le vetrine di maglie e sciarpe e poster, ma solo dal giorno prima della partita decisiva.

Ponte presente, Argenta, gruppo Copparo. A guardarla da sotto, la curva riporta chiaramente la cartina geografica di una provincia che si riunisce in un unico tifo, in un’unica voce. La Spal la seguono tutti e non solo i ferraresi ferraresi. Scopro così che in curva c’è spazio per tutti. È qualcosa di storico, di sedimentato. Un luogo democratico, ma senza retorica. Un posto che ti rimane dentro anche se in curva non ci vai da dieci, venti o trent’anni, ma ricordi benissimo di “quella volta che con mio fratello e mia madre facemmo una bandiera enorme, per la nostra Spal, anche se non sapevo nemmeno come si infilasse l’ago nella macchina da cucire”. Quella bandiera c’è ancora, e oggi sventola fuori dalla finestra come tante altre.

Il cielo grigio crea un contrasto apocalittico sullo stadio. Il verde è più verde, le strisce biancoazzurre delle maglie risaltano fino a diventare fluorescenti. Di donne, allo stadio, ce ne sono più di quel che pensavo. Ci sono anche molti bambini, sparpagliati come funghetti sugli spalti della Ovest. Hanno mani piccolissime e sorreggono bandiere enormi, dai colori ancora vivi ma sgualcite. Ventitré anni fa potevano essere appartenute ai loro papà, forse addirittura al nonno. Chissà. Le sventolano con una audacia e una forza senza pari. Novanta minuti di voci che si uniscono ad altre voci, gente che non si è mai vista prima condivide spazi e cuore.  C’è un’emozione che è tanta, davvero “tanta roba”. Le mamme, che da dietro controllano i loro piccoli, non li sgridano subito. Lasciano un po’ di tempo alla crescita nei gesti, segno di un rito collettivo più grande, dove anche un dito medio ogni tanto può passare, avvalora il senso di appartenenza.

Il lanciacori è un predicatore e la curva è la sua parrocchia. Ci sono diversi ripetuti che si rimpallano tra curva e gradinata. Tutti ballano, cantano, si emozionano. Continua a piovere, si perde la voce, ci si abbraccia. Oltre le grate c’è chi non è riuscito a entrare. Uno di loro dovrebbe essere a casa a lavorare, ma i suoi piedi sono zuppi d’acqua per la sua Spal. Ombrelli che non reggono, occhiali che da lì non aiutano comunque a vedere bene la partita. Ci sono pure le coreografie. Siamo nel pieno di una messa laica. Un insieme di simboli tramandati nel tempo, un’unica fede unisce tutti. Oggi le preghiere verranno finalmente ascoltate.

La Spal segna. Tutto esplode a rallentatore. I bambini piangono di gioia, i grandi pure. Arriverà anche il pareggio dell’Arezzo, ma ormai tutto già si riversa nelle vie, nella piazza allestita a festa, negli uffici, nei negozi. Esulta anche Savonarola. Lungo viale Cavour le macchine passano, dai finestrini escono urla di gioia e bandiere, esultiamo con loro e abbiamo sorrisi ebeti e proseguiamo i cori finché c’è voce. Tutto è colmo di un’emozione che non vedevo da tempo, che forse non ho sentito mai così potente e diffusa. Mi chiedo cosa rimarrà di tutta quest’ondata d’amore. So solo che come nelle vere storie d’amore, per quanto assurde, difficili e irrazionali, sarebbe un vero peccato fermarla.

“Let it B” si vede scritto su una bandiera. Lascia che sia, lascia che accada. Ed è proprio così, è come nelle storie d’amore, ma a patto che ad amare si sia in due. Non è la Spal in sé, ma è qualcosa di più, è un bacino di felicità, di risate burlesche e di pianti sentiti nella linearità della vita quotidiana di molti. “C’è tutta questa aspettativa, che ci portiamo dietro da anni e che ora finalmente si realizza”, ci dici mentre beviamo il caffè del giorno dopo, appena svegli, dopo aver dormito tutti e quattro insieme, incastrati nel divano letto. La fattanza molesta, i cortei, il sonno, lasciano posto a una gioia contagiosa, che perdura nelle ore, che sembrano giorni. La Spal diventa moltiplicatore di sentimenti, si crea un sorriso collettivo fatto di persone, di prime seconde terze pagine nei giornali. Chiudo gli occhi e rivedo quel campo riempirsi di gente che si abbraccia a fine partita, ognuno si riappropria del suo posto in quest’ondata emotiva. È un raro senso di pienezza. Ognuno ha un suo personale sorriso che lo lega alla Spal e ora anch’io ho il mio, inatteso quanto autentico. Ci dividiamo una seconda moka, sorridiamo complici. “Avete presente quella positività, quella che a Ferrara non c’è mai? Ecco, secondo me ora a Ferrara c’è”.

7 Commenti

  1. FILIPPO scrive:

    “AMA IL.TUO SOGNO SEPPUR TI TORMENTA”… LA BANDIERA D’ALTRI TEMPI CON JESSICA RABBIT È DAVVERO.UN CIMELIO:FU CONFEZIONATA NEL 1988 E PORTATA L’ULTIMA VOLTA NEL1991. È BRANDELLI MA È UN PEZZO DI STORIA. E IN UN GIORNO STORICO NON POTEVA MANCARE.
    GRAZIE
    FILIPPO “FILO” TOLU

  2. Marcello scrive:

    Di tutta quest’ondata d’amore rimarrà il ricordo indelebile, come a noi tifosi quarantenni era rimasto il ricordo della promozione di 23 anni fa, almeno cosi mi spiego il perche l’emotività di questo S.Giorgio 2016 è stata cosi forte.

  3. Nelson scrive:

    Pezzo molto bello, avresti semplicemente potuto sintetizzarlo con l’ultima frase:“Avete presente quella positività, quella che a Ferrara non c’è mai? Ecco, secondo me ora a Ferrara c’è”.

  4. beatrice scrive:

    Bellissimo. Beatrice.

  5. Francesco scrive:

    Molto bello e ben scritto! Come un precedente tuo articolo di qualche tempo fa, complimenti. E forse ti aiuta quel tanto di distacco che hai. Io consiglio spesso alle persone che non amano il calcio (facilmente donne, ma anche uomini) la lettura o la visione di “febbre a 90” .
    SOLO UNA PARTITA? ….

  6. Marco scrive:

    Pezzo bello ed emozionante, mi ci sono ritrovato pienamente nelle emozioni raccontate dalle tue parole. Perchè la SPAL non è solo Ferrara non è solo una squadra di calcio, è qualcosa di molto più grande che quando ti entra dentro ti regala emozioni fortissime che tu sia di Ferrara o di qualsiasi altro posto di questo mondo….

  7. ROBERTO scrive:

    GRANDE SPAL GRAZIE ALL FAMIGLIA COLOMBARINI E AL PRESIDENTE MATTIOLI E AI GIOCATORI

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