Prendete un architetto che irriga trifogli nanissimi (ohi, si chiamano così), un giornalista che passa l’acqua con i secchi da una parte all’altra del muretto, un grafico che svernicia il legno delle finestre, un progettista che tira giù vecchie e polverose relle dal soffitto. Cose turche, nevvero? No, oggigiorno non più. In un’epoca in cui reinventarsi creativamente non è più un giochino alla noia, ma per molti diventa una forma di vita quotidiana parallela, cose che prima sembravano turche ora diventano Ilturco.

Quindi, oggi parleremo di: cose da Ilturco. Il turco è una strana entità, che prende la forma di un’associazione di promozione sociale e culturale. Ilturco, in pratica, riattiva spazi privati inutilizzati, per restituirli alla collettività con interventi capaci di renderli indipendenti ed economicamente sostenibili. Il suo primo progetto è il coworking che aprirà a Ferrara in via del Turco 39 (ecco svelato l’arcano del nome!) da lunedì prossimo. L’inaugurazione si terrà invece domani, sabato 16 aprile dalle 14.30 alle 19, per presentare lo spazio e le future attività.

“Nessuno di noi fa questa cosa per lavoro, lo facciamo per creare nuove possibilità e connessioni, a noi e ad altri. È un’attività senza scopo di lucro”, ci tengono subito a precisare il gruppo de Ilturco, costituito da: 3 architetti (Marco Polastri, Francesco Tosi, Andrea Malaguti), 2 giornalisti (Ruggero Veronese e Licia Vignotto), 2 progettisti (Martina Stevoli e Riccardo Gemmo), 1 videomaker (Flavio Perazzini) e 1 grafico (Francesco Mancin).

“Di base, lo spazio vuole essere una cosa molto semplice, ovvero un coworking, quindi un posto di lavoro condiviso per i soci, sia tesserati alla nostra associazione sia quelli con tessera Arci” racconta Riccardo Gemmo. Uno spazio per far lavorare persone dalle differenti professionalità, dagli studenti universitari ai professionisti di qualsiasi età e mestiere.

Foto di Fabio Zecchi

“L’idea è nata ragionandoci – spiega Martina Stevoli -, studiando anche i bandi, che sono sempre orientati verso gli spazi pubblici periferici. Ci siamo detti: ‘Ok la stazione, ma guarda la quantità di palazzi chiusi in centro!’, è un vero peccato che siano lasciati in tale stato di abbandono”. I ragazzi hanno così spiegato alla signora che ha la proprietà di questo immobile la loro idea, e quello che l’ha colpita maggiormente è stato “il fatto che non ci volessimo fare lo studio per noi, ma che lo volessimo fare per gli altri”. Ha concesso lo stabile in comodato d’uso gratuito ai ragazzi de Ilturco, e loro in cambio l’hanno sistemato. “Molti non ci pensano. Magari come privato uno non ha i soldi per sistemarlo, e così l’idea non viene nemmeno presa in considerazione. Noi offriamo un’altra opzione e una volta sistemato paghiamo un affitto per lo spazio, dando quindi un ritorno economico a chi ce l’ha dato in gestione”. Proprio l’edificio di via del Turco diventa quindi un modello, un progetto realizzato, che può essere visto da altri privati. Un paradigma.
Ilturco parte da Ferrara, ma intende rivalutare anche spazi privati abbandonati presenti in altri centri storici d’Italia. “Ogni edificio ha le sue peculiarità e l’intento è quello di coinvolgere altri proprietari privati, capendo ogni volta che servizio può essere più consono alla struttura che abbiamo di fronte”. Lo spazio di lavoro condiviso, dunque, non è che il primo tra i progetti realizzati tra quelli in cantiere dall’associazione. “A Ferrara non c’è nessun coworking nel centro, ma molte case vuote. Questa zona, ad esempio, è ultracentrale, ma le persone non ci passano – sottolinea Martina -. In questo modo offriamo sia un servizio ai nostri soci, sia a tutta la cittadinanza, facendo rivivere il centro, che purtroppo ha molti spazi sfitti”.

Ilturco si trova in un antico cassero ferrarese. Un posto che racconta anche tante storie, nuove e vecchie. “Si narra che qui un famoso medico portasse i cadaveri, per studiarne l’anatomia – sorride Martina -. Un’altra storia che invece si tramanda è che in questo palazzo c’è stato un incontro per il Concilio di Trento”. Oggi è stato restaurato e allestito per ospitare 12 postazioni di lavoro. Molta cura si ritrova nella scelta estetica data all’edificio. “Ci teniamo che la parte artistica arrivi, ma non vogliamo sia una barriera all’ingresso” spiega Riccardo. Ognuno dei ragazzi ha messo in campo le proprie competenze: c’è chi ha progettato e realizzato il giardino, chi ha sistemato l’ingresso, chi ha ripulito le travi, chi ha scartavetrato le finestre, chi ha cambiato le porte, rifatto il bagno, verniciato le scale. Chi ha pensato alle tazze con il logo.

“I riferimenti grafici li ho estrapolati dai tappeti kilim, i tappeti turchi – racconta Francesco Mancin -. Si tratta di un logo dinamico: i diversi simboli scelti, mescolati tra loro, danno luogo a combinazioni infinite. Si crea un pattern, perché l’associazione farà molte cose, molte e diverse, ma tutte riunite all’interno di uno stesso disegno”.

Lo spazio di coworking è attivo dalle 9 alle 19, dal lunedì al venerdì. “Abbiamo ragionato molto sugli orari, sia per noi che per chi viene a lavorare – racconta infine Riccardo -. Vorremmo incentivare a un lavoro consono anche ai liberi professionisti e ai freelance, che spesso si ritrovano a fare molte più ore lavorative, e nei momenti più sballati della giornata. È giusto riappropriarci di noi stessi, anche con orari di lavoro più umano. Dieci ore al giorno, se organizzate bene, possono bastare”.

Parola di Turco.

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.