in collaborazione con Jacopo Mari

“Prima di tutto: io sono stanco. Io sono vero di cuore!”
Dave Eggers, L’opera struggente di un formidabile genio

“Chi cazzo me l’ha fatto fare” mi dico ancora assonnato, dirigendomi come un automa verso il bagno. Nella testa il concerto di qualche ora prima, la faccia tumefatta dal sonno. Il campanello che suona mi riporta alla realtà. Si tratta di F, doveva passarmi a prendere in macchina alle 8.20. Cristo, sono le otto. “Eccolo, quell’ansioso è già qui, sicuramente non ha dormito”. Lavo velocemente la moka, la butto sul fuoco.

Beviamo un caffè insieme, ma in velocità. C’è un silenzio già teso. La colazione ufficiale, prima della trasferta a Pisa, è al bar all’angolo tra via Bologna e Foro Boario. Come al solito.

-“Oh, ma le hai viste le foto di R sul gruppo di Whatsapp?”
-“Già, quel pazzo sta cucinando da due giorni, farà quel che potrà per la sua Spal
-“Sì, fagioli à la scoreggiona: una strage programmata. Comunque io quella roba non la mangio. A me fagioli, tonno e cipolla fanno sboccare”
-“Majal, sei il solito mignino*”

I fagioli alla scorreggiona di R sono una specialità, il suo esorcismo culinario per la prima partita veramente decisiva dopo tanti, tanti anni. Un equilibrio di tonno – quanto basta per dare fosforo -, cipolle di Tropea precedentemente annegate nel latte per aromatizzare e rinvigorire i cuori, e fagioli, che uniscono e dividono, muovono stomaci ed animi. La gustosa pietanza viene rigorosamente consumata all’autogrill e gestita, o meglio ‘gestata’, in pullman.

“Mi scappa la pipì” è il primo coro che si alza dalla loggia, dopo solo 35 minuti di viaggio. L’autogrill è lontano ancora mille miglia, D prende il microfono: “Annunciazione! Non ci sarà alcuna sosta prima di Pistoia”. Un rapido sondaggio tra il ‘Fagioli group’ rivela grande difficoltà di continenza. Così mi viene da pensare: “Cazzo, ma io non c’ho più vent’anni, io ora ne ho trenta, posso utilizzare la mia intelligenza e muovere le coscienze”. Mi alzo in piedi. “Quanti hanno da pisciare, qui dentro?” urlo. È una maggioranza schiacciante. La rivoluzione si sta compiendo. Ci fermiamo alla prima area di sosta utile. Altri cinque autobus biancoazzurri fanno lo stesso. In un bucolico parchetto sull’autostrada, si consuma lo sbarco in Normandia: orde di spallini corrono verso il proprio albero, dove trovano la pace.

“Non facevo una trasferta così da sei anni” penso a serenità ritrovata. Cosa ho fatto in tutto questo tempo? Prima l’università, poi il mondo, poi il lavoro. Un altro modo di vivere le cose. Tuttavia una passione è rimasta immutata, quella che a sette anni mi ha fatto capire che la partita è qualcosa di secondario. Un unico luogo e al suo interno ventimila persone, unite oltre la logica del rituale. Per la prima volta, nel 1992, al ‘Paolo Mazza’ sono diventato parte di qualcosa, qualcosa che andava oltre le dinamiche degli anni Novanta, oltre il cinema, il centro commerciale, oltre il catechismo. La nostra era la forma più pura di empatia.

Da allora non ho mai smesso. A vent’anni le trasferte in pullman, i magoni sempre condivisi, la goliardia, i discorsi estremi con una parte di umanità che non conoscevo e che mi ha insegnato molto. Come la solidarietà del gruppo nell’aiutarsi. La Spal la seguivano tutti, nonostante ciascuno avesse- chi più, chi meno – i propri drammi quotidiani. C’è poco da fare, la trasferta è stata e continua ad essere una metafora della vita.

Rimango affascinato nell’osservare i miei compagni di viaggio. All’autogrill di Pistoia, in un’improvvisata danza tribale che si alza sotto le parole ‘Non tifo per gli squadroni, ma tifo te. La Spal è una malattia ma anche un amor’, ritrovo vecchi amici ma anche nuovi conoscenti. Non me li aspettavo qui. Riconosco musicisti, impiegati, operai, architetti. Commercianti e politici locali, giornalisti, baristi, pizzaioli. Geometri e tabaccai. Un paradigma della società, alcuni di loro hanno pure gli occhi lucidi. L’emozione è forte. Siamo tantissimi, almeno un migliaio. Una famiglia del nord Europa sta facendo benzina e ci chiede cosa stiamo facendo.

-“Tifiamo Spal, una squadra in terza divisione”
-“Voi siete completamente pazzi”.

Finalmente arriviamo all’arena Garibaldi. Ci scaricano vicino all’ingresso del settore ospiti. Appena varcati i tornelli, mi accorgo di avere dietro di me il presidente Mattioli, anche lui col biglietto in mano. Mi sorride. “Siamo carichi, presidente?”. “Come ‘na balina da flipper”. Ridiamo forte entrambi. Manca un’ora all’inizio della partita decisiva per il grande salto. Sono vent’anni che non rischiamo di andare in B.

Prendiamo posizione. Sole, birre, botta di caldo. Come se le pilsner fossero fermentate nei nostri stomaci tramutandosi in Tennent’s, una birra che fa otto gradi ed è stata ideata esclusivamente per sbronzare gli scozzesi, come dice il mio barista. Dopo i primi venti minuti, dedicati all’autoregolazione termica dei nostri corpi, siamo tesi come corde di un violino. Inaspettatamente, segniamo.

Foto di Jacopo Mari

Foto di Jacopo Mari

L’effetto sorpresa del gol di Mora scatena un’entropia esplosiva e ci troviamo tutti, non si sa come, tre gradoni sotto. Un domino umano. Festeggiamo per 5 minuti buoni. Poi ci rimettiamo in tensione. F ha pronosticato 2 a 1 per loro, ogni tanto si gira con sguardo dissacrante. “Ansioso e pure paranoico” penso mentre lo guardo malissimo. Siamo Mark Strong e Colin Firth in Febbre a 90° quando l’Arsenal sta sull’1 a 0. Per fortuna il primo tempo finisce.

All’intervallo scambio due parole con G, compagno di molte trasferte. Vado verso il bar a comprare una bottiglietta d’acqua. In fila sentiamo il boato. Il Pisa ha pareggiato. Disgusto. Torno al mio posto correndo. La tensione diventa disagio. Comincio a dare un senso agli sguardi di F. “Ansioso, paranoico, frate Indovino, ma soprattutto stronzo”. Manco a dirlo, tra i cori di incitamento arriva il sorpasso dei toscani. Lo scoramento ora è reale. Il partito di maggioranza, tra gli spallini, è quello della blasfemia. Qualche sussulto, sfioriamo il gol in un paio di occasioni. Ma sarebbe un miracolo, che alla Spal non succede mai.

Infatti non succede. Potevamo arrivare a più 11, torniamo a casa a più 5. Il Pisa dimostra di essere la degna concorrente di questo campionato. Ripenso a tutte le delusioni, non mi posso lamentare. Una società solida, un ritrovato feeling tra squadra e tifosi. Siamo ancora la capolista.

Quindi, chi ce lo fa fare? Probabilmente non i fagioli, non le aree di sosta, non un abbraccio con un amico ritrovato. Non una squadra di serie C, non i cori improvvisati a sfottere, non il due aste con scritto sopra ‘due aste’. Non è il benzinaio di Prato che ti sfotte perché hai perso a Pisa. Non è il quasi collasso sotto il sole, non sono le birre fresche e neanche il beone simpatico che ti lancia la classica battuta, mentre ti vede pisciare, “bùtal via”. Non è lo sguardo che incroci con uno sconosciuto dopo il secondo gol e, senza alcuna logica, lo senti fratello. Non sono neanche gli infiniti discorsi di tattica che percepisci ovunque e, quasi sempre, senza alcuna cognizione di causa. Non sono nemmeno gli occhi umidi quando pensi a quanto è vicino l’obiettivo. Nessuna di queste cose, ma il loro insieme. Di nuovo quell’empatia.

“E inoltre: voi siete stanchi, siete veri di cuore!” scriveva Eggers e anche il nostro è un bel calvario. Qualcosa che nessuno di noi ha scelto. “Non tifo per gli squadroni, ma tifo te”, avete idea di quanta pesante bellezza c’è in queste parole?

Riapro gli occhi, i miei compagni di viaggio continuano a scherzare nonostante la disfatta.

Il migliore dei mondi possibili.

Illustrazione di Simone Campana

Illustrazione di Simone Campana

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