Un bolognese che avesse passato il weekend in montagna approfittando delle recenti nevicate, lontano dalla città e magari da televisione e internet (improbabile, ne convengo), potrebbe essere tornato a casa ignaro di quello che è successo in poco più di 24 ore, nella notte tra venerdì e la giornata di sabato. La sua città è cambiata un bel po’. Se non se ne era accorto gradualmente negli ultimi tempi, è venuto il tempo dei modi bruschi e imprevisti. Per chi si fosse messo in collegamento soltanto adesso, riassumendo molto una questione complessa e che rappresenterà l’inizio di un ampio dibattito intorno al mondo artistico, è successo questo:

Il museo non mi avrà. Nel corso di una notte frenetica di vernice e spray, Blu, il Banksy italiano, ha cancellato i suoi celebri, splendidi graffiti dai muri di Bologna, dove una potente istituzione culturale, Genus Bononiae, sostenuta dalla fondazione bancaria e presieduta dall’ex rettore Fabio Roversi Monaco, sta staccando dai muri le opere dei writer più quotati per esibirli, in alcuni casi senza il consenso degli autori, in una mostra sulla street art che inaugurerà giovedì prossimo nell’austero e storico Palazzo Pepoli. Aiutato da un gruppo di occupanti dei centri sociali XM24 e Crash, l’anonimo graffitista di Senigallia che nel 2011 il Guardian ha segnalato fra i dieci migliori artisti di strada del mondo, ha distrutto tutte le opere ancora visibili che ha realizzato nel corso di vent’anni nella città da cui è partita la sua fama ora internazionale, affidando agli amici scrittori del collettivo Wu Ming (Blu non concede interviste ai media) il compito di divulgare e commentare il gesto sul loro blog.
(Repubblica.it, 12 marzo 2016)

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Un gesto politico, un punto di rottura epocale per un arte che fino ad oggi ha vissuto sulle strade e per la gente e che – sostiene BLU – non può finire in un museo dove per vederla bisogna pagare un biglietto d’ingresso. Eppure una scelta simile apre scenari etici interessanti e nuovi: l’arte di strada appartiene al pubblico in quanto risiede su spazi ed edifici non di proprietà dell’artista, oppure all’artista stesso che, rivendicandone la proprietà intellettuale, è libero di cancellarla a piacimento quando vuole? E in quest’ultimo caso, nonostante il gesto di palese protesta contro il mondo dell’arte più commerciale, è un gesto che infastidisce i poteri forti o solo i cittadini bolognesi che perdono così opere realizzate nel corso di anni, ormai simbolo di molti luoghi e quartieri?

Sulla questione sono intervenuti in tanti nel corso del weekend, prendendo posizioni più o meno vicine a BLU. Anche a Ferrara il tema ha tenuto banco parecchio sui social network dove è sembrato leggere un appoggio quasi totale ed incondizionato all’artista di Senigallia, almeno nel suo intento di rottura verso l’organizzazione della mostra che inaugura il 16 marzo prossimo.

Abbiamo chiesto a due street artist piuttosto noti in città cosa ne pensassero: Alessio “Sfiggy” Bolognesi e Andrea “L’Alieno” Amaducci. Le loro opere nel centro e nelle periferie di Ferrara sono note e molto fotografate, talvolta richieste persino dall’amministrazione comunale per riqualificare e decorare pareti e palazzi, offrendo così spazi del tutto legali per far emergere il loro talento. Entrambi, va detto, hanno comunque già esposto su tela in svariate occasioni all’interno di musei o spazi espositivi diversi dalla strada. Insieme al Collettivo Vida Krei capeggiato dal writer Psiko, rappresentano le firme più note della street art locale.

“Sebbene molto forte, appoggio totalmente Blu” – spiega Alessio Bolognesi. “La street-art (non graffitismo o writing che sono cose diverse) ha una radice sociale molto forte. La street-art si fa per sé, per la gente e per il luogo. Un pezzo ha spesso senso solo se preso nel contesto specifico per il quale è stato pensato, soprattutto quando il contenuto è complesso come accade nei pezzi di BLU. Si può discutere sul fatto che i pezzi possano essere legali o illegali e si dovrebbe analizzare caso per caso, ma si tratta comunque di una sorta di proprietà intellettuale per la quale oggi non esiste legislazione adeguata, ma solo un senso comune del sentire e del godere del lavoro di un artista in maniera libera ed incondizionata.
Nessuno, NESSUNO, né privati, né istituzioni, né fondazioni e tantomeno pseudocuratori come Roversi Monaco & C. dovrebbero arrogarsi il diritto di potere fruire e speculare sull’opera altrui senza nemmeno interpellare gli artisti diretti interessati. Oltretutto lo strappo è una tecnica che prevede la rimozione dello strato superficiale di pittura e la sua applicazione su tela. Si snatura quindi TOTALMENTE l’opera, non è più lei. Non è più nel suo contesto, non è più su di un muro e soprattutto NON E’ PIU’ PER TUTTI, anche per chi non ha 13 euro per entrare in un museo.

Se io faccio un muro domani, anche se su commissione e ufficiale, lo faccio per il luogo e la gente che ci vive, che ne fruisce. Se qualcuno lo strappasse per portarlo in una mostra mi sentirei tradito nello spirito. Perché qui l’aspetto economico va in secondo piano. E’ ovvio che gli “strappatori” mangeranno sui lavori RUBATI, si faranno belli con le istituzioni, li venderanno a qualche ricco collezionista. Ma il problema per gli artisti non è questo. È il sentirsi traditi. Vedere che il concetto e la natura stessa della street-art non vengono rispettati. Il gesto di BLU è stato molto forte. E mi piange il cuore vedere i suoi capolavori coperti. Ma ha fatto bene. ‘Se il mio lavoro non può più essere per tutti allora non sarà di nessuno’. Il suo è un gesto estremo di riappropriazione di un’opera del suo intelletto sfruttata in maniera subdola. E la reazione è stata quella attesa: mezza Bologna, o almeno quella che ha una testa per pensare ed un cuore per sentire, si è sentita offesa e mutilata. Ma non da BLU, bensì dalle cause che lo hanno portato a questo gesto estremo, che segue tra l’altro una bellissima dichiarazione rilasciata da Ericailcane e un bell’articolo di Ivana de Innocentis su Urban Lives in proposito. Per quanto mi riguarda non andrò mai a vedere quella mostra e, anzi, cercherò di scoraggiare a farlo chiunque me ne parli. C’è un altro ambiente per il mercato dell’arte, quello delle gallerie. La strada, almeno, lasciamola alle persone che la abitano.”

Anche Andrea Amaducci difende l’operato di BLU:
“Secondo me bisognerebbe essere Blu, per poter parlare. Detto questo, condivido totalmente il suo gesto, in relazione a quello che so del suo percorso. È militante e ha fatto quello che ci si aspetta da un militante (e comunque non è fuori da certi giochi commerciali che ad un certo livello, sono inevitabili). Questo gesto comprende una serie di effetti che solitamente sono criticati da un certo tipo di militanza: l’esposizione mediatica e l’aumento del valore delle opere. Uno come il critico Luca Beatrice ha avuto il coraggio di dire che “è un ragazzino in cerca di pubblicità e che tra pochi anni non lo ricorderemo”, cosa che non condivido ma che mi fa riflettere. Credo che la vera potenza del lavoro di Blu sia quello della condivisione, e dell’integrità etica. Blu tiene insieme tutto un certo sottobosco, più o meno emarginato, una sorta di paladino de noantri.

Se penso al forte tenore metaforico del suo lavoro, mi viene in mente che si perde tra decine di disegnatori latinoamericani e soprattutto est europei, degli ultimi cento anni. E’ molto bravo per me ma anche sopravvalutato, è il fattore etico/politico che è invincibile, che lo rende un paladino. Le persone hanno bisogno di questo e nella politica questo non si trova più da un pezzo. Tornando alla cancellazione delle opere, sembra che sia caduto il mondo… sono sicuro che presto quei muri non saranno più grigi e che Blu stesso torni a disegnare, perchè non dovrebbe? Dove sta scritto? C’è uno squisito clima caotico che non potrà altro che alzare l’asticella.

Sento che siamo allo strappo della corda, la street art è sdoganata anche nel Bel Paese e adesso? Adesso bisogna inventare altro, bisogna osservare i ragazzini, bisogna dare loro modo di fare le cose e non rompergli le balle. Bisogna iniziare a lavorare sul piccolo, con intimità, andando da uno a uno, basta disegni giganti. Avere la quasi certezza che il messaggio passi da anima ad anima e non da anima a occhio.”

4 Commenti

  1. mary scrive:

    Amaducci sta alla street art come Jerry Calà sta al cinema d’autore.
    Detto ciò ricordo agli interessati che: “Parole, colori, luci, suoni, pietra, legno, bronzo appartengono all’artista vivente. Appartengono a chiunque sappia usarli. Saccheggiate il Louvre!”
    -W.S.Burroughs-

  2. Filippo Landini scrive:

    Scusa mary, ma se c’è un artista che produce street art, quello è proprio Andrea Amaducci. Io le sue opere le ho sempre viste dal marciapiede non da una sedia o da una poltrona in qualche galleria. Se poi non ti piace… sono razzi tuoi. Se poi mi citi Burroughs, allora qualcosa non torna nel tuo opinionismo…

    Io ho scritto con mio nome e cognome, se non ci “riesci” anche tu, spegni il computer.

  3. mary scrive:

    Caro Landucci,
    il mio nome è Marina Gardini, nessun problema a renderlo pubblico, tanto più che ho già commentato su questo sito usando nome e cognome. Non capisco che bisogno ci sia di usare un tono da bulletto per sapere come mi chiamo, e poi il fatto che mi chiami Marina piuttosto che Maria o Maria Pia che differenza fa? Dà forse un valore diverso alle mie parole? Vuole cercarmi su facebook o google? Perché mai dovrei spegnere il computer? Chi è lei, il moralizzatore del web?
    Tornando ad Amaducci: lei ha mai visto un opera di Blu? Le sembra che tecnica/complessità/messaggio/dimensione/relazione con l’intorno/impatto siano paragonabili all’alieno stilizzato che Amaducci ripropone indistintamente da anni? Crede che il fatto che Amaducci stia in strada ad operare faccia di lui un artista meritovele delle più alte considerazioni? Io la mia opinione l’ho già espressa, aggiungo che se Amaducci ha un merito è quello di essere simpatico e scanzonato, come Jerry Calà.
    Veniamo a Burroughs: cosa non le torna? Mi sembra che la frase che ho citato sia più che pertinente con l’argomento dell’articolo, comunque la si voglia leggere, non capisco, devo chiedere a lei cosa posso citare e cosa no? Poi chissà cosa ha capito lei di quella citazione; magari sono passati i tempi in cui lo street artist si appropriava liberamente della città o di sue parti, ormai deve partecipare a un bando del comune per operare su quel muro piuttosto che su quell’altro, ormai la street art è stata normata, organizzata, catalogata, oserei dire disciplinata! Allora magari il Louvre di oggi è la strada, e coloro che l’hanno capito prima di altri, ora lo stanno saccheggiando, e magari sono i curatori del Genus Bononiae.

  4. Filippo Landini scrive:

    Cara Garducci,
    Blu lo conosco dalle origini, in quanto con Nicola “Blu” ho lavorato assieme nel 1997 per una puntata pilota televisiva di un programma, “Colore”, mai andato in onda e mai considerato dai network nazionali. Blu era ospite della trasmissione e all’epoca era un bravissimo artista esordiente from Senigallia. Sicuramente la complessità dei lavori di Blu è maggiore delle stilizzazioni di Andrea Alieno Amaducci, ma quello che non mi convince è il frequente sparare a zero su Amaducci, solo perchè la sua visibilità è superiore alla sua tecnica grafico-visuale. Amaducci è un artista spontaneo, diretto, poco accademico, in quanto non ha studi “ufficiali” alle spalle. Amaducci è un suonatore creativo ma NON è un musicista, tanto per chiarire.
    Il tono da bulletto non lo recepisco e quindi sorvolo.
    Che la street art sia sempre più sistematicizzata (vedi Genus Bononiae) è vero, quindi la citazione di Burroghs è pertinente. Nella fretta cerebrale, non avevo colto bene il messaggio.

    Buon lavoro
    FL

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