Un corpo bianco e nero, aperto per mostrare ai passanti il sistema linfatico, il reticolo delle arterie. Nella mano una forbice per reciderle, staccare dagli arti un pezzo di carne e di vita. Impossibile passare da via Coramari senza fermarsi a osservare questa enigmatica opera di carta, appiccicata alta sopra il muro che fa angolo con corso Giovecca.

Una firma rivendica la paternità del lavoro: Snem. Ma di che si tratta? Ferrara è un piccolo centro, interventi che a Milano sarebbero a mala pena stati notati qui diventano in poche ore imprescindibile argomento di discussione.

Snem – artista che preferisce restare anonimo, di cui si sa poco o niente nonostante i suoi lavori siano diffusi da Torino a Berlino – ha fatto un salto nel capoluogo estense un paio di weekend fa, e già sabato 20 febbraio si potevano incrociare qua e là le sue opere. Oltre al corpo aperto di via Coramari una grande testa avviluppata in tendini e nervature reticolari all’angolo tra via de Romei e via Mazzini, un’altra testa in via Cisterna del Follo, vicino alla magnolia di Bassani. In gergo tecnico si tratta di poster art, la stessa celebrata a Bologna dal Cheap Festival. Tecnica di grande impatto ma ancora più fragile dei tradizionali graffiti, e con le piogge di questi giorni già qualche brandello di cellulosa si è strappato ed è caduto.

Per sapere qualcosa di più sia dell’artista che del senso del suo – precario – intervento sui muri ferraresi Listone Mag si è rivolto direttamente a Snem.

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Come scegli i muri su cui intervenire?

Spesso è una questione di sensazioni, dopo un confronto diretto con la città che mi dà la possibilità di capire come intervenire. Ma generalmente scelgo le pareti in base a criteri estetici e in base all’afflusso di persone che ha un determinato luogo.

Interroghi qualcuno del posto prima di decidere cosa fare e dove? Oppure decidi in completa autonomia? In quest’ultimo caso: quali sono i criteri che guidano le tue scelte?

Mi è capitato di chiedere a qualcuno del posto quando ne ho avuto occasione, per decidere dove intervenire, solitamente però cerco di relazionarmi e di fare conoscenza con la città, cercando un dialogo che mi porti a scoprirla quanto basta per arrivare a un resoconto. I luoghi vanno vissuti e scoperti pian piano, così da instaurare un vero e proprio legame che permette un confronto aperto tra me e la città e di conseguenza tra il mio lavoro e le pareti, le vie, i vicoli e le piazze.

Perché hai scelto Ferrara per i tuoi ultimi lavori?

É da molti anni che volevo visitare Ferrara, dopo aver letto “Memorie della mia vita” di Giorgio de Chirico, nel quale l’autore spiega come nelle città italiane, tra le quali Ferrara, appare uno straordinario fenomeno chiamato Stimmung (atmosfera nel senso morale). Aspettavo l’occasione giusta per vederla ed ho approfittato della mostra “De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie” per visitare la città e portare anche il mio lavoro.

Perché l’anatomia dispiegata, cosa bisognerebbe imparare da questi corpi “aperti”?

Per tre anni ho studiato disegno industriale e mi sono ritrovato a progettare elementi estetici per “vestire” parti elettroniche e meccaniche, disegnavo belle forme che praticamente servivano a nasconderne altre. Il fatto è che trovavo molto più interessanti le parti che coprivo che quelle che disegnavo, in loro è racchiusa una bellezza intrinseca, probabilmente dovuta alla funzione. In seguito ho iniziato a pensare al corpo umano come ad un vero e proprio contenitore di meraviglie, un sottile strato di pelle che fa da involucro e custodisce qualcosa di prezioso; in contrapposizione alla percezione del bello, che si ferma alla superficie tralasciando il contenuto.

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Chi vorresti che guardasse i tuoi lavori? A chi sono rivolti? A chi pensi mentre li realizzi?

“Siamo come muti in un monologo per un pubblico di ciechi”. A mio parere questa è la condizione umana più comune. Siamo distratti, superficiali e disinteressati, ma allo stesso tempo vorremmo in qualche modo essere ascoltati e la strada è un palcoscenico dove il giudizio dello “spettatore” è autentico e dove non devi pagare nessun biglietto per assistere allo “spettacolo”, perciò il mio lavoro è per tutti e di tutti.

Preferisci le grandi metropoli o i piccoli centri?

Trovo interessanti entrambe le realtà; l’approccio è differente, sia per me che per chi legge l’opera. Nelle grandi metropoli molte più persone vedono ciò che fai, tuttavia, essendo queste ultime continuamente bombardate da informazioni ed immagini, hanno un’attenzione spesso superficiale, dunque si deve scegliere bene dove intervenire, ovviamente correndo maggiori rischi. Nei piccoli centri al contrario, gli “spettatori” sono curiosi e “subiscono” maggiormente la novità proposta, confrontandosi con l’opera in modo più ravvicinato e di conseguenza reagendo se vogliamo, in modo più autentico.

Il tuo lavoro cambia a seconda del tipo di città in cui troverà spazio? Se sì, come?

Ogni cosa influisce su ciò che faccio e il mio immaginario è dovuto indubbiamente alle contaminazioni e le influenze durante il percorso, ma allo stesso tempo non lascio che la città condizioni troppo il mio lavoro, è un naturale compromesso.

Della recente polemica bolognese relativa alla street art musealizzata che ne pensi?

Tutto questo fermento mi ha fatto riflettere e inevitabilmente i primi di febbraio sono andato a Bologna per un intervento, realizzato appositamente, in risposta a tutto questo trambusto. Sostengo che questa sia “arte temporanea” e come tale non sia definitiva, ed è la stessa provvisorietà a renderla viva. Il processo vitale mette in stretta relazione l’opera con il contesto che abita, ma soprattutto con le persone, che devono assumersi la responsabilità di essere spettatori quanto critici, partecipi di un procedimento che non è più soltanto esposizione, altresì un inaspettato ed evidente confronto con il tangibile. Tuttavia, penso che quello che sta succedendo sia parte del naturale processo vitale, perché dal momento che un opera è per strada, quell’opera diventa parte della città e quindi delle persone che la vivono e ognuno ha la possibilità, dunque la scelta di farne ciò che preferisce, anche se palesemente in questo caso, il “progetto di recupero e conservazione delle opere di street art” non è altro che un operazione commerciale, una delle tante operazioni che la nostra deludente società è in grado di mettere in atto.

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