Vi è mai capitato di ascoltare dal vivo un’orchestra jazz? Non è una cosa che capita tutti i giorni, per lo meno a Ferrara, ma se l’idea vi incuriosisce – dovrebbe! – sappiate che capita oggi. Alle 21.30 al Torrione suonerà The Tower Jazz Composer Orchestra, la big band di venti elementi che ha esordito a fine gennaio, diretta da Alfonso Santimone e Pietro Bittolo Bon, colonne imprescindibili della scena locale e nazionale.

Listone Mag li ha incontrati per farsi raccontare meglio l’esperimento che stanno portando avanti, una formazione residente che può rappresentare per la città e i suoi musicisti molto più di qualche bella serata in compagnia.

Com’è nata l’idea di creare un’orchestra?

Pietro: L’anno scorso sono stati realizzati due progetti didattici al Torrione: The Tower Jazz Workshop Orchestra e The Unreal Book. Dall’ensamble di musicisti che si è formato in quelle occasioni abbiamo pensato di partire per costruire qualcosa di più strutturato e organico, anche nell’ottica di suonare in altri posti e di registrare, cosa che se tutto va bene avverrà tra qualche mese. Ogni componente contribuirà all’orchestra con le proprie produzioni e i propri arrangiamenti.

Alfonso: Quello che stiamo cercando di realizzare è un laboratorio di scrittura e pratica orchestrale, non sarà un’esperienza unidirezionale ma collettiva.

A che esigenze risponde questa iniziativa? Qual è la peculiarità di un’orchestra fatta da e per compositori?

P: Riuscire a trovare uno stesso spazio e uno stesso momento per misurarsi collettivamente con la scrittura e l’arrangiamento non è cosa da poco. Anche perché un conto è come ti immagini la musica mentre la scrivi, un conto è trovartela immediatamente davanti. Con l’elettronica, nel tuo studio, qualcosa puoi fare… ma certo non è lo stesso. I componenti dell’orchestra potranno sottoporre al gruppo le loro creazioni, provarle assieme, aggiustarle, capire cosa funziona e cosa no. L’orchestra è una grande opportunità per i musicisti e per il Jazz Club, ma anche per la città. Sarebbe bello infatti, col tempo, poter invitare a Ferrara i compositori che scrivono per molti elementi, pensare a delle collaborazioni ma anche solamente proporre un organico a chi ne ha bisogno.

A: Mettiamo a disposizione un laboratorio di scrittura non comune, per i compositori è sempre stato difficile costruire delle occasioni lavorative dove sperimentare. Quello che stiamo facendo è complicato ma anche elettrizzante. Proveremo pezzi nuovi, ma tireremo fuori dai cassetti anche cose scritte tempo fa, mai arrangiate, si porterà tutto nel calderone.

Contattare e coordinare i musicisti è stato facile?

A: Dal punto di vista logistico siamo stati fortunati: di tutti quelli che abbiamo chiamato solo uno non poteva venire la sera del primo concerto. Non abbiamo fatto esattamente 13 al Totocalcio, ma dodici, ecco. Abbiamo trovato tanto entusiasmo e grande disponibilità. Ma forse vale la pena considerare anche la mancanza di lavoro. Sicuramente servirà del tempo per rodarci ma è andata bene. Abbiamo mandato le parti qualche giorno prima e siamo riusciti a fare una prova tutti assieme, non avevamo grandi margini di tempo per organizzarci ma ce l’abbiamo fatta.

Foto di Luca Malaguti

Chi è stato coinvolto?

P: I musicisti coinvolti sono persone che conosciamo da lungo tempo o che abbiamo incontrato lo scorso anno, attraverso i progetti The Tower Jazz Workshop Orchestra e Unreal Book. Una decina abitano a Ferrara, anche se solo cinque più o meno sono ferraresi d’origine, gli altri cinque sono “oriundi”. Quelli che non abitano qua arrivano comunque da zone vicine, dal Veneto e dalla Romagna. In generale la costa adriatica è ben rappresentata. Si erano offerto persone anche dal Friuli, Udine e Trieste.

Età media?

P: Il più vecchio di tutto il gruppo è Alfonso, direi, che ha 42 anni. Il più giovane credo Fede, che è tra i tromboni. Ecco, nel suo caso proprio non si può parlare di “vecchio trombone”, ha 24 o 25 anni. In generale l’età media è sulla trentina. C’è anche una componente didattica in questo progetto, per chi ha meno esperienza è una bella occasione. La ritmica è centrata, è coperta da musicisti esperti, e questo è fondamentale.

Com’è andato il primo live? La reazione del pubblico?

A: Il pubblico più agée ogni tanto può essere tentato di storcere il naso di fronte ad alcuni pezzi abbastanza particolari, ma la ricchezza dell’orchestra riesce a coinvolgere anche loro. Ha un fascino grandissimo, sensoriale anche visivo, è una massa sonora.

Che repertorio avete suonato e vorrete suonare?

A: In generale ci muoveremo tra le composizioni originali e nuovi arrangiamenti di brani storici. Il linguaggio della classica big band si è consolidato dagli anni Trenta ad oggi. Il nostro obiettivo sarà trovare sound diversi dentro la tradizione. L’orchestra è un esperimento: cercherà di far collidere la cultura jazz con altre influenze, altri timbri, altre ritmiche, organizzate su diversi piani sonori, con diversi colori. Sarà un territorio di prova molto stimolante. Ovviamente siamo distanti dall’orchestra sinfonica classica, la nostra è più limitata ma anche più interessante: comprende l’elettronica, ci sono due tastiere, due chitarre… una grande varietà timbrica. Ne vedremo delle belle.

P: C’è da dire che le big band classiche hanno dei repertori molto consistenti, portano avanti degli spettacoli da un’ora e mezza. Noi per adesso non abbiamo ancora così tanti pezzi e anche nell’improvvisazione dobbiamo imparare a oliare il meccanismo, per questo abbiamo deciso di aprire i live con un set di apertura, coinvolgendo altre formazioni.

(ndr: questa sera venerdì 26 febbraio saranno i giovani talenti del Venice Connection Quartet a introdurre la serata, intervallata tra l’altro dalla lettura dei Monologhi della vagina, curata dal gruppo V-day Ferrara: info qui).

Come si mantiene questa attività?

A: Nessuno ci guadagna niente, chiediamo un’offerta libera all’ingresso che servirà, assieme ai mille euro messi a disposizione dal Jazz Club, unicamente a pagare le trasferte dei componenti. L’attività si mantiene così, perché ci crediamo e perché lo consideriamo un investimento. Riuscire a trasformare il Torrione in un luogo di produzione consoliderebbe ulteriormente la comunità dei musicisti che lo frequentano e rafforzerebbe anche la fedeltà del pubblico. Vorremmo che Ferrara diventasse un fulcro del jazz a livello nazionale ma non solo, questo è un passo in più in quella direzione.

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