La barra di scorrimento dei quattro video (riportati nel prosieguo dell’articolo) indica complessivamente una ventina di minuti. Il tempo che invece viene evocato compie un tuffo all’indietro profondo settant’anni. Sulla tv web della Treccani, dal 14 dicembre scorso e con cadenza settimanale, sono stati pubblicati in tutto quattro video. Monologhi della durata di circa cinque minuti ciascuno, realizzati con una finalità divulgativa e raccolti dietro il marchio ‘Voci di R-esistenza’. Quattro brevi e intense interpretazioni, affidate ad altrettanti attori, che pescano negli anni della seconda guerra mondiale. A ideare, scrivere e dirigere il progetto prodotto dalla Treccani, l’insegnante e documentarista tresigallese Giuseppe Muroni. Giorgio Colangeli, Nastro d’argento nel 1999 e David di Donatello nel 2007, presta voce e volto nell’episodio ‘I senza terra’, ispirato al contributo dei soldati polacchi del generale Wladyslaw Anders alla liberazione dell’Italia. ‘Sul monte non batte il sole’ è invece il titolo del monologo di Francesca Valtorta, attrice proveniente dal Centro sperimentale di cinematografia. Nella cornice, le stragi di Marzabotto. Stella Egitto, attrice teatrale e allieva di Luca Ronconi, interpreta il monologo ‘Il maggio del peccato’, sulle vicende degli stupri in Ciociaria. Infine Stefano Muroni, fratello di Giuseppe e Telesio d’argento nel 2015 come attore rivelazione dell’anno, recita nell’episodio ‘Io partigiano’, richiamando le azioni di Alba. Delle origini e degli sviluppi dell’iniziativa ‘Voci di Resistenza’ abbiamo dialogato con Giuseppe Muroni.

Come è nata e come si è articolata l’idea del progetto?

«Volevo sperimentare e sperimentarmi. Alla storia della Campagna d’Italia associamo di norma il documentario storico, la fotografia, la testimonianza orale, l’intervista al reduce o il solito racconto del partigiano. Quasi mai la rappresentazione teatrale, per di più se questa esce dal suo contesto istituzionale e viene diffusa esclusivamente sul web. Ho cercato poi storie emblematiche di quel periodo: l’Italia soffre di problemi di memoria e di identità. È frammentata in tante storie individuali e collettive, in narrazioni pubbliche e private, in tante memorie contese e poche condivise. È un grande mosaico dal quale ho estratto quattro tessere».

Quanto lavoro di documentazione ha richiesto?

«Il lavoro di ricerca è stato abbastanza lungo, non saprei quantificarlo ma le vicende prese in analisi sono state studiate per diversi mesi. Considera, poi, che non partivo da zero, è da anni che mi occupo di alcuni aspetti della storia d’Italia durante il fascismo. All’indagine “classica” ho affiancato un percorso on the road: il viaggio della memoria è stato anche un itinerario reale, a tappe. Volevo vivere e vedere i luoghi testimoni del passato: la Valle del Liri, i Monti Aurunci, il monumento alla Mamma Ciociara di Castro dei Volsci, il cimitero polacco a Montecassino; Osimo, Filottrano e il percorso compiuto dai polacchi per arrivare ad Ancona; il Parco Storico di Monte Sole. Luoghi tanto suggestivi e ricchi di storie quanto dimenticati. Documentarsi significa anche questo per me, vivere lo spazio, studiarne la vegetazione e vedere se ci sono stati cambiamenti antropici; sembrano cose scontate ma sono fondamentali nel momento in cui ci si accinge a scrivere».

A quali e quante fonti hai fatto riferimento per realizzarlo?

«Reputo sufficiente la bibliografia essenziale stilata alla fine del lavoro, principalmente monografie. Voglio ricordare i volumi di Giuseppe Campana, massimo studioso della battaglia di Ancona scomparso di recente; Memorie 1939-1946. La storia del II corpo polacco di Władysław Anders; Il massacro. Guerra ai civili di Monte Sole di Luca Baldissara e Paolo Pezzino; Storie di Resistenza. Personaggi, luoghi, eventi della guerra partigiana in Piemonte di Rolando Claudio e Avondo G. Vittorio; Storia dell’Italia partigiana di Bocca; Il corpo di spedizione francese in Italia, 1943-44 di Fabrizio Carloni ecc. Non solo: tante testimonianze orali già edite, la grande letteratura di Fenoglio e Moravia, il cinema di De Sica, Scola, Diritti, Lizzani. L’intenzione era di avere a disposizione fonti provenienti da ambiti disciplinari diversi ma dialoganti tra loro. Ringrazio l’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara che ha collaborato al progetto nella persona di Anna Maria Quarzi, ne è nato un dialogo importante».

Perché è stato scelto il monologo come strumento di racconto?

«Credo che fosse una forma espressiva adatta per divulgare una storia: il contenuto prima della forma e la parola prima dell’immagine. Diciamo anche che non ho le competenze né le velleità per pensare ad un prodotto di fiction, tantomeno avevamo un budget che ci potesse permettere scelte azzardate».

C’è un elemento che accomuna i singoli episodi?

«Ho cercato vicende che potessero essere universali e che ne riassumessero in sé tante altre. Il monologo ‘Io partigiano’ ad esempio, interpretato da Stefano Muroni, sebbene risenta dell’eco di Fenoglio, è la storia di migliaia di partigiani; è nello stesso tempo il racconto di un partigiano del Delta del Po o di uno della Stella Rossa. Tutto ruota, difatti, attorno alla dimensione psicologica del protagonista, all’attesa e alla fuga, ai suoni e ai silenzi, ai dubbi e alle speranze. È presente quel sentimento di umanità che si ritrova in Lussu così come nei racconti di mio nonno».

Ce ne è uno che è stato più difficoltoso scrivere?

«Sicuramente quello di Stella Egitto. Raccontare uno stupro nei minimi dettagli significa viverlo; costruire un personaggio di invenzione sapendo di narrare un episodio accaduto a migliaia di donne. È stato come spiare la Storia dal buco della serratura: diventi testimone di un’intimità violata, tragica. In questo caso la testimonianza orale è stata importante ma volevo andare oltre: il testimone molte volte si autocensura».

Come si è arrivati alla scelta degli attori?

«Devo ringraziare molto mio fratello, se il lavoro è andato a buon fine lo devo principalmente a lui: essendo attore ha contattato direttamente i protagonisti del progetto. Francesca Valtorta e Stella Egitto sono grandi professioniste, sicuramente tra i volti giovani del cinema italiano che più si son fatti apprezzare. Giorgio Colangeli non ha bisogno di presentazioni, ha vinto un David di Donatello e un Nastro d’argento, una persona molto umana e sensibile. Oltre agli attori voglio ricordare chi ha collaborato: Elena Chiappa, Luca Desiderato, Elisa Leoncini, Andrea Arlotti».

Dietro il protagonista di ogni monologo c’è uno sfondo scuro. Quanta esigenza c’è di rincorrere un’idea di essenzialità?

«Credo che la rappresentazione essenziale, scarna, sia l’anima del progetto. Non c’è bisogno di musica, di movimenti di macchina da presa o di registrazioni in studio. Tutto è affidato alla parola e al singolo momento. Mi piaceva l’idea di trovarsi in un teatro vuoto, semibuio, nel quale si sentisse il rumore del silenzio e che apparissero, ad un certo punto, dall’aldilà delle ombre per raccontarci una storia: è l’eco della Storia che talvolta ci rifiutiamo di ascoltare. In una realtà in cui tutto è finzione, artefatto, credo che si debba recuperare il potere della parola; spesso le narrazioni storiche peccano in questo, utilizzano un linguaggio mitigato, spersonalizzante, concentrandosi più sui numeri, sulla quantità. Ho cercato, quindi, di creare immagini forti, evocative, vere, cinematografiche».

Fare interagire elemento cinematografico ed elemento storico è più efficace o più rischioso?

«È più efficace nel momento in cui si ha presente sin dall’inizio il pubblico di riferimento, gli obiettivi e il media-canale che si sta utilizzando. La fruizione del video va preceduta ed affiancata dalla didascalia di approfondimento presente sul portale Treccani; ecco che il monologo diventa il punto di partenza per compiere un ulteriore approfondimento. L’intenzione è, infatti, di intercettare l’attenzione del pubblico che naviga abitualmente su internet, il mondo accademico non è l’interlocutore principale di ‘Voci di R-esistenza’. Credo che questa peculiarità abbia spinto la Treccani a produrre il progetto».

Tu sei un insegnante. Che reazione hanno avuto i tuoi alunni a questo progetto?

«Alcuni hanno mostrato molto interesse, soprattutto per le vicende di Marzabotto e della Ciociaria; mi rendo conto che alcune tematiche potrebbero essere complesse ma i ragazzi sono molto curiosi e ricettivi».

Ultima domanda. Cosa rappresenta per te la memoria?

«La parola memoria negli ultimi anni ha assunto un significato ambiguo, spesso è interscambiabile e sostituibile, erroneamente, con storia; il tema della memoria si sta sovrapponendo alla riflessione storica e storiografica sul passato e questo mi lascia perplesso. Siamo di fronte, inoltre, ad un uso politico della memoria: la definizione per via giuridica e normativa di ciò che deve essere ricordato ci pone di fronte ad un problema di questa natura. Cosa ricordare? Come? Perché? Cosa dimenticare? È un tema complesso che ci rimanda indietro nel tempo, all’Atene del V secolo, dopo il regime dei Trenta Tiranni, dove venne imposto il Patto dell’oblio il quale vietava, appunto, di rinvangare il passato. Basti pensare al clamore che han suscitato di recente i film di Antonello Belluco, Il segreto d’Italia (ITA, 2014), sull’eccidio partigiano di Codevigo o Katyn di Andrzej Wajda (2007). La questione della memoria ci pone il problema della percezione del passato: l’eccesso di discorsi sulla memoria, di ricorso alla memoria, di commemorazioni, è l’altra faccia del “presente permanente” di Hobsbwam, c’è la percezione, cioè, di viver in un presente che non ha un passato perché questo passato viene di volta in volta, in base alle esigenze del presente, reinventato, ridefinito. Viviamo nell’era del testimone, come ha affermato Annette Wieviorka, dove la memoria è l’unica via d’accesso al passato».

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