C’è l’ingrediente solido dell’episodio storico, che rappresenta la base alla quale aggrapparsi per partire. E c’è quello ‘liquido’ della prospettiva comica, attraverso cui costruire l’intera narrazione. Il cantiere messo su da Davide Tonioli, giovane illustratore ferrarese, è un volume di settanta pagine che, pur affondando le sue radici su un lavoro di documentazione, raggiunge l’esito di non voler prendersi sul serio. La sua ‘Storia di Ferrara a fumetti’, gioca infatti sul terreno degli aneddoti e degli stereotipi. E propone un affresco colorato e pungente di alcune vicende che hanno marcato il tempo della città estense. Proprio con Davide abbiamo scambiato quattro chiacchiere sulla sua opera illustrata.

Come è nata l’idea di realizzare questo progetto?

«L’idea è nata qualche anno fa quando, per esigenze familiari, sono tornato a Ferrara dopo un certo periodo fuori sede per motivi di studio e lavoro. Come talvolta accade, sono rientrato con un approccio totalmente diverso nei confronti della mia città, la cui storia e la cui cultura non avevo mai approfondito attentamente. Probabilmente uno dei fattori scatenanti di questo rinnovato interesse per Ferrara è da rintracciare nel fatto che, per diversi mesi, ho collaborato con alcuni dei principali quotidiani cittadini, avendo modo di scoprire numerose sfaccettature del passato e del presente della mia città che davvero non sospettavo».

Quanto tempo hai impiegato per renderlo concreto?

«Ho scritto la sceneggiatura in tempi relativamente brevi, scarabocchiando le vignette in vari fogli e taccuini, magari durante estenuanti conferenze stampe, o nel corso dei viaggi in treno, o insomma in tutti i ritagli di tempo possibili e sui supporti più improvvisati. Una volta terminata la storia, si trattava di metterla in forma con carta, matita e china. Tuttavia, la nascita della prima e poi della seconda bimba, nonché le varie incombenze lavorative, hanno a lungo congelato l’impresa. La svolta devo dire che è avvenuta quando ho scoperto le potenzialità e comodità della tavoletta grafica, che mi ha permesso di realizzare l’opera in pochi mesi».

Quale formula hai scelto per raccontare la storia di Ferrara?

«La formula è quella ben consolidata del viaggio nel tempo, con tutte le varie peripezie per ritornare al proprio presente e con chiaramente più finali possibili. Molto brevemente, il fumetto inizia con Ludovico Ariosto che ha appena terminato di scrivere l’Orlando furioso e corre a presentarlo agli Estensi. Questi, tuttavia, accolgono l’opera piuttosto freddamente (come è del resto realmente avvenuto). Scoraggiato, Ariosto ascolta i consigli della sinuosa Lucrezia Borgia, che gli propone una pozione speciale per potenziare al massimo le sue capacità creative e comporre così una storia in grado di conquistare gli Estensi.
Inizierà così per Ariosto un viaggio avventuroso lungo la storia di Ferrara, dagli Etruschi ai Bizantini, dagli Estensi a Napoleone, da Garibaldi ai giorni nostri… fino ai tentativi disperati di ritornare nel suo Cinquecento».

A quali personaggi hai preferito dedicare spazio?

«Mi serviva un narratore eccezionale, che fosse specchio della città e che si prestasse ad essere maltrattato dai vari potenti e prepotenti di turno. Ho subito pensato a Ludovico Ariosto, a cui ho affiancato l’Ippogrifo un po’ come spalla narrante, un po’ come accompagnatore cinico e sarcastico. Dopodiché, il cliché di Lucrezia Borgia come avvelenatrice e femme fatale era troppo irresistibile per non inserirlo in un fumetto ambientato ai tempi dell’Ariosto».

Courtesy Davide Tonioli

A cosa ti sei ispirato per disegnarne le sembianze?
«Ludovico Ariosto è venuto fuori così, con il nasone, la tunica, il sorriso traballante e l’aria tra l’ingenuo e il sottomesso. L’Ippogrifo non poteva che avere quell’espressione sorniona, mentre per Lucrezia Borgia devo riconoscere che mi sono ispirato profondamente alla mia compagna, per quanto concerne l’aspetto, un po’ anche nel vestiario ma soprattutto per le innegabili doti ammaliatrici…

Per quanto concerne gli altri personaggi ho cercato di ispirarmi alle loro immagini reali, per quanto non sempre facili da rintracciare».

Ce ne è uno a cui ti sei affezionato in corso d’opera?

«Sicuramente si può dire che Ludovico a casa mia è ormai una figura familiare, mia figlia di quattro anni lo riconosce al volo e lo chiama per nome anche quando passiamo per piazza Ariostea. Tuttavia, il protagonista del fumetto a cui forse più mi sono affezionato non è esattamente un personaggio quanto un’entità silenziosa: si tratta del Castello Estense, che compare in numerose scene, come una sorta di spettatore discreto di fronte ai vari eventi della storia. Così effettivamente mi piace immaginarlo, passandoci davanti, qualcosa che rimane costante davanti alle epoche che scorrono, con le mura impregnate di storia».

Quanto c’è di reale e quanto d’immaginario nella città che hai raccontato?

«Ho cercato di documentarmi abbastanza, relativamente alla storia di Ferrara, per dare una certa verosimiglianza storica agli avvenimenti che ho narrato nel fumetto. Ciò premesso, è bene sottolineare come il fumetto sia straripante di bestialità dal punto di vista storico, di forzature e assurdità temporali: in gran parte si tratta di libertà che mi sono preso per il carattere comico dell’opera, in altri casi sicuramente si tratta di errori involontari e sviste clamorose. Comunque sia, pur nella volontà di creare qualcosa di giocoso, ho mantenuto il filo degli eventi e presentato in chiave caricaturale, spesso stereotipata, alcuni dei personaggi più noti delle varie epoche. Magari, leggendo queste vignette irriverenti, a qualcuno verrà voglia di approfondire gli eventi attraverso una vera storia di Ferrara».

Che effetto suscita combinare elemento storico ed elemento comico?

«Senza cercare profondità che non ci sono, credo comunque che questo fumetto, nella sua spensieratezza, possa avere come tutte le cose creative più chiavi di lettura: la prima, immediata, relativa alla semplice narrazione comica di alcuni eventi, e la seconda, incentrata sull’elemento storico, piena di allusioni e rimandi che soprattutto chi conosce un po’ meglio la storia di Ferrara potrà cogliere. Il rischio di giocare su questo doppio piano è di creare qualcosa di poco comprensibile e conseguentemente di poco comico: mi auguro di averlo evitato il più possibile».

Uno dei due elementi alla fine prevale?

«Sicuramente quello comico, non v’è dubbio».

Cosa seduce della storia di Ferrara?

«Il fatto che, a lato di episodi decisamente noti, come ad esempio il dramma di Ugo e Parisina, vi siano una quantità di micro-narrazioni piene di fascino storico, eppure meno conosciute: mi riferisco ad avvenimenti come lo sbarco di Garibaldi a Magnavacca, o alle intense rivolte popolari, o ancora il rapimento di Marchesella degli Adelardi da parte degli Estensi. È chiaro che gran parte del fascino della storia di Ferrara è relativo al periodo della signoria estense, che ha condensato tanta ricchezza storica in pochi secoli: tuttavia, anche momenti più bui o più ‘appartati’ della nostra storia hanno avuto i loro piccoli splendori che val la pena raccontare».

Il tuo progetto si rivolge a un pubblico solo ferrarese?

«Anche qua forse si possono immaginare più chiavi di lettura. Inevitabilmente un ferrarese capirà immediatamente i rimandi ai luoghi comuni della ferraresità, che rimarranno oscuri ai restanti lettori. Credo comunque che, anche un estraneo, magari un turista, potrà apprezzare questa modalità abbastanza inusuale di narrare una città nel suo passato e nel suo presente».


Leggi online le prime pagine del libro (formato .PDF 17 MB)

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