Ivano Fabbri, in arte Fabbriano, nasce a Ferrara nel 1936. Amico di famiglia da quando ne ho memoria, sono cresciuta circondata dai suoi quadri. Suo uno dei complimenti più belli che io abbia mai ricevuto “Sembri un quadro di Modigliani” mi disse, quando diciassettenne avevo i capelli rosso fuoco e, in verità, non erano in molti ad apprezzare questa mia scelta.

Fabbriano è un pittore, e se fossi ancora una bambina vi direi che è un pittore vero per sottolineare il concetto. Ad averlo accanto si respira un’aria di eternità, come se le ore rimanessero sospese e perdessero di significato. Con il pennello cavalca il tempo e lo colora con vigore, con tinte incredibili che brillano di una luce propria.

La settimana scorsa sono andata all’inaugurazione dell’esposizione di suoi quadri presso la Banca Mediolanum di via Saraceno: non pensavo che in un’ora sarei andata in bici per Parigi nel primi del ‘900, mi sarei innamorata (non ricambiata) di un signore con i baffi la cui compagna di tela volge lo sguardo altrove. Ho bevuto un calice di vino con Picasso e De Chirico su un viale al tramonto, ho consolato Marlene dai capelli rossi che aveva lo sguardo basso e un velo di malinconia tutt’attorno, e nella sua tristezza ho visto riflessi di me… poi sono tornata all’hic et nunc, con un fiore immaginario tra i capelli. Se dovessi dire qual è la cosa che apprezzo di più di Fabbriano, direi senza dubbio la sua capacità di trasportare chi osserva le sue opere in un viaggio nello spazio e nel tempo irripetibile.

Qualche tempo fa ho avuto l’occasione e il privilegio di fargli qualche domanda sull’arte e su sé stesso, davanti a una tisana fumante. Sempre delicato e profondo, a tratti sfuggente, la sua mente vaga in luoghi che a volte le sue parole dimenticano di segnalare. Per chi ha modo di interagire con lui, il dialogo è un sentiero fantastico che si snoda lungo un ruscello, lucente come lo sguardo di Fabbriano.

Quando è cominciato tutto?

La prima cosa che mi ha colpito nell’arte è stato il segno. Già da quando avevo sette/otto anni avevo questa vocazione per l’arte, e ho iniziato dipingendo con la spatola. Dai dieci anni poi interessavo già perché con la spatola davo un segno deciso e materico.

Io non sapevo molto di arte, conoscevo l’impressionismo e l’espressionismo. In particolare quest’ultimo l’ho percorso piano piano negli anni, leggendo e documentandomi in ogni occasione che mi capitasse. La mia passione per la pittura mi ha sempre dato anche un senso musicale, un senso universale dell’arte: non solo dipingevo, ma “scolpivo”, incidevo con il colore. Quando poi il segno diventava troppo regolare, troppo ovvio, io “rompevo” col segno. Cercavo drammaticità.

C’è stata qualche persona o qualche avvenimento che l’ha influenzata o ispirata?

Una figura di certo molto importante per me è stato Emilio Vedova. Uno dei ricordi più belli ed emozionanti poi è stato quando ho conosciuto Franco Francese, un artista che era all’Accademia di Milano. Purtroppo devo dire “era” perché è venuto a mancare. È mancato l’uomo, ma per me qualcosa di più grande. La sua persona, i suoi lavori mi commuovono. Anche con Ennio Calabria ho avuto una grande amicizia

A 18 anni sono andato per la prima volta in Germania, a Monaco, e lì la passione per la pittura è cresciuta sempre di più. Ho avuto l’occasione di vedere dal vivo le opere dei grandi espressionisti, che mi hanno commosso. È stata un’esperienza molto forte, mi sono sentito come un musicista contemporaneo che avesse trovato il senso della linea di espressione musicale. Quando sono andato in Francia e Spagna poi ho assorbito il movimento, però sono sempre rimasto molto fedele all’espressionismo, seppur con influenze dallo stile classico.

Recentemente i miei quadri sono stati in mostra a Copparo a Villa Bighi grazie anche a Marco Zavagli, che per me è come un nipote ed è una persona meravigliosa.

I suoi quadri sono molto intensi. Io ricordo quando ho visto il quadro “Dietro le stelle” mi sono commossa, è incredibile come col colore, col segno, si possano toccare corde così profonde, un po’ come fa la musica. Lei quando dipinge ascolta qualcosa?

La musica ha sempre accompagnato la mia vita. Ho conosciuto Ellade Bandini, mio amico, batterista di De Andrè, e mi ha portato durante le prove del concerto che c’è stato qui a Ferrara a conoscere il cantautore. È stata un’esperienza che mi ha preso il cuore, mi ha quasi “traumatizzato”, sono salito sul palco e ho conosciuto Fabrizio, il figlio e tutti i musicisti. È stata un’emozione molto forte. C’era un’amicizia vera con Ellade Bandini, sono stato molto fortunato. Adesso c’è molta crisi nell’arte, anche da questo punto di vista.

Foto di Linda Morini

 

La cultura e le forme d’arte portano l’essere umano a crescere, mentre nei momenti di crisi l’arte viene un po’ messa da parte, viene data la priorità ad altro e non è facile forse in un periodo come questo fare dell’arte un lavoro.

Sì forse manca un supporto, però vivere d’arte è una scelta. Io amo il mio lavoro, veramente tanto, l’arte mi ha portato in Germania, in Austria, dove ho esposto in diverse gallerie. Purtroppo ora anche le gallerie sono in crisi.

Lei quando dipinge che cosa prova?

Io non potrei svegliarmi al mattino o addormentarmi alla sera senza dipingere, sarei terrorizzato e mi sentirei abbandonato. C’è una spiritualità che rimane interna sempre, che completa il sentimento. Non so come esprimermi: questa spiritualità forma l’assoluto in tutto. Se mancasse l’arte, mancherebbe la memoria del passato: l’arte mantiene l’equilibrio, ti fa aprire gli occhi e capire che sei nell’esistenza.

La mia arte è un lavoro di ricerca sul segno, che è come un suono. Devo cambiare sempre pagina nel suo movimento, nella sua vibrazione, anche quando disegno. Deve esserci sempre uno studio innovativo, anche fine a sé stesso. Poi magari mi aiuta a comporre, ma è comunque la prima cosa. Anche lo strascico del segno, del tratto, è musica nel silenzio.
Ricordo lo studio in via Mentessi, sono stati 40 anni in un mondo magico: lì ho vissuto moltissimi momenti belli, ho conosciuto tante persone, sono venuti molti amici, avuto dialoghi importanti… ho voluto bene a quei muri. Il fatto che esistesse questo appoggio mi faceva piacere. Ora lavoro a Bologna, Venezia, a volte ho la possibilità di andare in alcuni laboratori con altri colleghi…viaggio molto.

Adoro ciò che faccio, lavoro tanto e mi auguro che ci sia sempre un po’ di luce per riuscire ad andare avanti. Nel mio lavoro non vado mai indietro, non faccio mai un’immagine ripetibile, un quadro uguale all’altro.

Ho fatto una mostra di recente dove sono stati esposti quadri che hanno un’innovazione nella materia e nel segno, ma con il mio taglio: la materia si è evoluta. È come se ci fossero delle maree che creano delle metamorfosi anche nel fondo del mare, non solo delle increspature sulla superficie.

Credo che si abbia una sensibilità molto profonda quando si ama la propria arte, mi piacerebbe aprirmi su argomenti e protagonisti dell’informale astratto. Lo studio dell’autoritratto di Carl Harp, che conosco storicamente da quando avevo 20 anni e dal suo autoritratto sono riuscito a dipingerlo anche io. La pittura è così: se mi avessero detto di provare a fare quel ritratto non avrei mai pensato di riuscirci. Mi dà emozioni che rimangono dentro, come certe canzoni di Lucio Dalla…La musica a volte ti prende dentro e non finisce mai di andare in profondità.
La cultura fatta di sentimenti si forma con la sensibilità, che è una dote innata nelle persone, ma si può certamente sviluppare e arricchire: io studio per capire e sentire.

Alcune opere di Fabbriano sono ora esposte alla Banca Mediolanum, Via Saraceno 16 – Ferrara.
La mostra è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13. Per maggiori informazioni telefonare al numero 0532 243065.

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