È un tranquillo venerdì pomeriggio d’autunno, adatto per incontrare la compagnia di “Calendar Girls” al Ridotto del Comunale. Dopo una breve introduzione del Centro Documentazione Donna di Ferrara, organizzatore dell’evento, arrivano gli attori con le loro facce distrutte dalle prove. Sembra di fare quattro chiacchiere tra vecchie amiche: Angela Finocchiaro è raffreddata, una signora del pubblico le chiede come sta… se l’atmosfera dello spettacolo sarà questa, così leggera e rilassante, non vedo l’ora di assistervi. Anche perché, oltre al lato divertente, ci sarà anche quello “umano”: il ricavato dello spettacolo andrà infatti in beneficenza per AIL (Associazione Italiana contro la Leucemia). Un’occasione da non perdere assolutamente.

Sabato sera, manca poco all’inizio dello spettacolo. Moleskine e penna in mano per qualche appunto. Mi trovo seduta tra due coppie di ferraresi sulla cinquantina: da una parte, moglie gasatissima e marito imbronciato che andrebbe a letto alle 10, ma vabbè, per stasera può fare uno sforzo; dall’altra parte, due soggetti silenziosi e dalla faccia critica che, sono sicura, non applaudiranno neanche a una battuta. In realtà, “Calendar Girls” è uno spettacolo assolutamente delizioso (per usare un termine very british): non può che infondere contemporaneamente risate e riflessioni, anche in quei mariti venuti ad assistervi controvoglia.

Tratta da un film del 2003 di Nigel Cole e sceneggiata da Tim Firth, la storia narra di un fatto realmente accaduto: un gruppo di annoiate donne inglesi dello Yorkshire (per intenderci, quelle con piega perfetta, tazzina di tè sempre in mano e rossetto color English Rose) trascorrono il loro tempo, chi per noia, chi per dedizione, al Women’s Institute e non ne possono più di inutili conferenze su broccoli e tovagliette da té; a seguito di un tragico avvenimento, a Chris (interpretata da Angela Finocchiaro) viene l’idea del secolo: un calendario di beneficienza che conterrà “vedute panoramiche dell’associazione al posto di vedute dei cimiteri nebbiosi di campagna”, il cui ricavato servirà per comprare un divano per la sala d’attesa dell’ospedale di Skipton. Dopo vari e giustificati tentennamenti, le sei protagoniste, dalla più giovane alla più anziana, riescono a spogliarsi, per combattere il finto moralismo che contraddistingue la provincia inglese. Da qua in poi, in sala ci sarà una risata dietro l’altra, grazie alle varie e continue gag dal gusto british.

Angela Finocchiaro, una delle protagoniste, è come la ci si immagina: scaltra, divertente e, persino un po’ raffreddata, infonde una naturale simpatia. Insieme alle altre attrici forma un gruppo che sul palco pare affiatato e senza peli sulla lingua, proprio come i personaggi interpretati. La ciliegina sulla torta poi, è l’attrice Ariella Reggio, che impersona Jessie: la più agée di tutte, ex maestra con un piglio da Wonder Woman, è la mascotte del gruppo, che invoglia pure Ruth, la più “puritana,” a spogliarsi.

Sembra quasi di ritornare nelle desolate lande inglesi del Signore degli Anelli (citato durante lo spettacolo): c’è una profondità che viene raccontata con leggerezza, come solo gli inglesi sono capaci, ponendo sarcasmo e raffinatezza insieme. Anche la scenografia rappresenta quest’essenzialità di fondo: senza fronzoli, con colori poco sgargianti, rende appieno l’atmosfera ovattata e sobria di un’Inghilterra di fine anni ’90.

Un uomo a questo punto penserà: ah bè certo, solito spettacolo fatto da donne, che piace alle donne, pro donne, e bla bla bla… Forse, dico io, anche se sicuramente non può lasciare un soggetto maschile indifferente di fronte ad un gruppo così “powerful”. Anzi, è proprio il marito di Annie, una delle due presenze maschili sul palco (insieme al timido e giovane fotografo che aiuta le Calendar Girls) a tirare fuori una perla di saggezza più unica che rara: come per i girasoli, che sono i suoi fiori preferiti, anche la fase finale di una donna è quella più radiosa. Dunque, perché nascondersi? Bisogna lasciarsi andare, rompere gli schemi, soprattutto quando il tempo disponibile è sempre meno. E come dice Jessie: “In fondo, nudo è bello!”.

La scena finale poi, non può che suscitare sorpresa da parte di entrambi i sessi. Basti dire che, finito lo spettacolo, calato il sipario e accese tutte le luci, ho visto quei sorrisini compiaciuti dei miei vicini che stavano pensando, quasi sicuramente: “Questo spettacolo s’avea da fare e… da vedere”.

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