Eravamo nel 1939 e alla scuola Polederelli venne spiegato cento volte che tutti i ragazzi di ogni scuola ferrarese avrebbero preparato una manifestazione in onore della Principessa di Piemonte, Maria Josè, consorte del Principe ereditario Umberto di Savoia.
La Principessa, già madre di Vittorio Emanuele di Savoia dal 1937, si prodigava nei ruoli di crocerossina e spesso in quello di madrina durante manifestazioni sociali, alle inaugurazioni di ospedali, scuole, nuove sedi di enti e non so cos’altro ancora. Avremmo dovuto essere impeccabili nelle nostre divise, marziali e disciplinati al massimo (io era da poco un Balilla) come dimostrazione dell’addestramento preciso ricevuto. Eravamo la generazione dell’avvenire, che doveva rispecchiare la suprema volontà del popolo italiano con perfetta organizzazione.

Si cominciò con l’imparare ad allinearci in riga e salutare romanamente tutti insieme. Fino alla nausea. Ci insegnarono anche a marciare e ci fecero provare il passo romano di parata (il passo dell’oca che facevano i tedeschi sfilando davanti a Hitler). Ci facevamo un sacco di domande e nessuno sapeva niente.

– Ma poi che cosa dovremo fare noi, dove e quando, lo sai tu?
– Io no, qualcuno ha provato a chiederlo al capo istruttore, ma non sa niente nemmeno lui. Ha risposto che al momento opportuno sapremo ogni cosa, vedremo!

Non passò molto tempo che il Direttore didattico ci radunò negli ampi corridoi e ci disse finalmente qual era l’avvenimento così importante che avrebbe coinvolto tutta la città a breve termine.
Il suo discorsetto suonava circa così:

Cari ragazzi vi ho qui riunito per comunicarvi ufficialmente che la prossima settimana sarà inaugurata la nuova struttura della “Casa della madre e del fanciullo”, sita in via Rampari di S. Paolo, di fronte a via Succi.
Pensate, ad inaugurarla verrà la Principessa di Piemonte, in persona. Sarà accompagnata da tutto il seguito e la sua scorta, e dopo l’incontro con le autorità cittadine, si recherà insieme con loro, presso la struttura citata per dar luogo alla cerimonia d’inaugurazione. Il percorso del corteo sarà fiancheggiato da tutti noi insieme agli alunni di tutte le altre scuole della città. Alla nostra è stato assegnato il tratto di via Piangipane: prego i signori insegnanti di recarsi al più presto nel tratto indicato per prendere visione della zona. Lascio a loro, con la collaborazione dei Gruppi rionali con cui prenderanno contatto, la più ampia libertà di organizzare le adunate e la disposizione degli alunni lungo il tracciato. Tutti dobbiamo essere pronti a ricevere la Principessa con largo anticipo, perché l’orario del passaggio del corteo non è certo ma solo orientativo. Vi ringrazio e buon lavoro.

Impossibile descrivere quello che si mise in moto da quel momento. Tutti i maestri, i capi manipolo, i “piccoli e i grandi” gerarchi si davano un gran daffare per discutere i piani organizzativi; quasi si trattasse di mettere a punto un’offensiva militare!
Nessuno si occupava di noi poveri bambini. Pensavamo di essere importanti, invece considerando le cose a distanza di settanta e più anni, ci consideravano come riempitivo di una stupida scenografia che andava prendendo forma.
Una cosa però risuonava nella nostra mente: vedere la Principessa! Accadesse oggi non mi scomporrei più di tanto, ma un bambino vede quell’evento come un’apparizione unica. Tutti dicevano che non era molto bella, ma aveva un grande fascino. Che cosa è il fascino? Chiesi ingenuamente una volta alla mia mamma. Lei mi rispose che il fascino è qualcosa che ha una persona anche se non è bella, e piace alle altre attirandole con simpatia.

Passarono i giorni e ci si avvicinava sempre più a quello cerchiato in rosso sul grande calendario appeso in classe a fianco della lavagna.
Per noi erano prove estenuanti di allineamento e di tempismo per sventolare le bandierine, tutti insieme, ad un ordine ben preciso, il quale sarebbe stato dato al momento giusto.

Il giorno venne. Il programma era di fare adunata a mezzogiorno presso il cortile della scuola, classe per classe, in divisa. Di li, inquadrati, in fila per tre e guidati dai rispettivi insegnanti, ci mettemmo in marcia per prendere le posizioni assegnate ai margini del percorso.
Tutti avevamo mangiato molto presto, scombussolando i programmi casalinghi. Quasi tutti avevamo in tasca una piccola bottiglietta di acqua (una “gazosa”) perché faceva molto caldo e il sole sembrava un martello.
Ci disposero secondo quanto stabilito, e ci rendemmo subito conto che avremmo dovuto star fermi in quel luogo parecchio tempo. Le nostre camicie nere cominciavano a bagnarsi di sudore, il fez pesava due quintali e faceva l’effetto di un coperchio sopra la testa con i capelli, seppur corti, incollati dopo un’ora appena. Eravamo già stanchi, in piedi da un bel pezzo con l’impazienza che cresceva a dismisura.
Erano ormai le quindici e della Principessa ancora nessuna notizia. Molte bambine (le Piccole italiane) furono accompagnate a casa perché si sentivano sfinite, alcune di esse si erano pure fatte la pipì addosso. Noi alla spicciolata ci siamo coperti l’un l’altro e abbiamo risolto il problema sul posto. Nessuno dei sorveglianti se ne accorse, ma a fare la spia furono i rigagnoli che scendevano ai margini dell’asfalto. “Non vi vergognate a fare queste cose che deve passare la Principessa?”, ci ammonirono.

Finalmente si avvertì un vociare provenire dalla nostra sinistra. Arriva, finalmente! Passarono velocemente alcune motociclette vicinissime per farci stare indietro il più possibile, poi macchine del corteo che precedeva l’ospite, suonando clacson festosi. Ecco apparire dal fondo della strada il muso della grossa Fiat 2800 Torpedo a sei posti, però occupata solamente da quattro persone, due davanti e dietro. Sull’ultimo sedile la Principessa con a fianco un accompagnatore sconosciuto in divisa. Ordine perentorio: bandierine al vento. Tutti insieme con inizio quasi sincrono, iniziammo a sventolare le bandierine tricolore con lo stemma sabaudo. Passò molto rapidamente ma riuscii egualmente a cogliere la sua figura. Indossava un vestito avorio e un cappello di paglia di Firenze, che teneva stretto con garbo con la mano destra, mentre la sinistra era leggermente alzata in segno di saluto.

Ripensando a quel momento, vedo la scena come un filmato al rallentatore e in effetti tutto si svolse in un batter d’occhio. Eppure la mente, a volte, riesce a fissare le immagini con chiarezza pressoché assoluta. Sicuramente possediamo capacità sconosciute!
Passata l’ultima automobile restammo a guardarci reciprocamente in faccia, increduli. La Principessa non c’è già più, è stata un’apparizione, tanto che moltissimi amici non hanno visto nemmeno su quale macchina sedeva.

Io, tra i tanti difetti che mi riconosco, ne ho uno che mi dà soddisfazione: la curiosità. Ho interesse per le cose che accadono attorno, per quello che mi coinvolge direttamente, quel qualcosa lo voglio conoscere. Tutto questo pandemonio è per la Principessa? Allora la voglio vedere, cascasse il mondo!
Ci hanno tormentato per un sacco di tempo, imponendoci anche sacrifici fisici, per rendere omaggio a una donna che è la moglie di uno che è figlio di uno che è Re. Beh allora io la voglio vedere. Desidero sapere per chi abbiamo penato tanto.

È ovvio che gli ho mandato molti accidenti, ma solo raggiunta l’età della ragione ho capito che lei non aveva nessuna colpa! Era quella pletora di deficienti al comando che in nome di un’idea, anziché farci sentire tutti partecipi come dicevano, non tenevano conto che molti, io in prima fila, ci sentivamo solo dei sudditi. Un suddito che non poteva far niente e che obbediva soltanto.
Bisognava dimostrare che esisteva l’inimmaginabile organizzazione fascista, capace di mostrare le sue risorse perfino negli scolari festanti e plaudenti. Così la Principessa avrà notato soltanto che viaggiava tra due siepi di bambini in divisa che sventolavano il tricolore, niente di più.

Alcuni filmati, che la televisione mostra in qualche trasmissione rievocativa dei tempi passati, mi rituffano nell’epoca. Le grandi parate, le oceaniche adunate e i discorsi invitanti all’onore e alla disciplina per il bene della Patria, mi rinfrescano la memoria di quanto mi sia costato partecipare forzatamente a qualche manifestazione del genere.
Meno male che delle Principesse, in Italia, non ce ne sono più!

8 Commenti

  1. Filippo Bonazzi scrive:

    Leggendo il suo post mi è venuto in mente un episodio di cui sono stato co-protagonista, assieme a tanti altri bambini delle scuole elementari Poledrelli, negli anni settanta.
    Visita del Presidente della Repubblica Leone a Ferrara. Stesse prove estenuanti, maestre in subbuglio, toni perentori del Preside, e stessa parata (quella volta in viale Cavour) tutti inquadrati con grembiulino blu (i maschi, e bianco le femmine) e fiocco a quadretti bianchi e rossi. Anche in quell’occasione noi bambini eravamo più affaticati che incuriositi, ma gli ordini perentori non si discutevano: sventolare la bandiera con il tricolore (assegnata a ciascuno) al passaggio dell’auto presidenziale. L’obiettivo era sempre il medesimo: onorare l’Autorita’ (un’Autorità’ che, come sappiamo, di lì a poco avrebbe fatto parecchio parlare di se’). In fondo non era cambiato granché a trent’anni di distanza.
    E oggi? Oggi si impone ai bambini delle elementari di partecipare agli scioperi dei grandi, sfilando nei cortei per fare numero e per manifestare a favore di cause che non capiscono e che, forse, quando saranno adulti non condivideranno neppure.

  2. Florio Piva scrive:

    Signor. Bonazzi, quanto mi dispiace che pure lei e i suoi amichetti abbiate dovuto subire quelle pantomine estenuanti, sia psichicamente che fisicamente. Evidentemente i concetti di utilizzare i bambini nelle manifestazioni sono rimasti tali e quali! Onestamente pensavo che fossero “disposizioni” di quel del “Regime”, che come si sa non si potevano discutere, mentre mi rendo conto che non si discutono nemmeno ora; purtroppo!
    Un cordiale saluto

  3. giorgio nnci scrive:

    Gentile signor Florio Piva, mi è parsa un po’ forzata l’immagine dei ” ballilini” che marciano al passo dell’oca come quello dei nazisti tedeschi; ho visto parecchi film luce del periodo che riprendono degli scolastici “balilla in divisa” ma non li ho mai visto marciare al passo dell’oca ( forse a quello dei pulcini ( evito di scrivere dei polli). Scusi, né. Cordiali saluti

  4. Florio Piva scrive:

    Signor Giorgio, guardi che in questo racconto di forzato non c’è assolutamente nulla, se lei mi crede bene, se no fa lo stesso, io non sono permaloso assolutamente.Prima o poi vedrà di certo qualche filmato che mostrerà quanto eravamo ridicoli,
    allora penserà a me, Balilla moschettiere, capo squadra, per giunta!

  5. giorgio nnci scrive:

    Gentile Signor Piva, se Lei ricorda di essere stato un ridicolo “ballilla moschettiere” bisogna che Lei abbia minimo 90 anni ( io sono del 1938, e non ricordo se sono stato “Balilla”o” figlio della lupa”, quello che so che sono sempre stato figlio di mia madre, che aveva, altri 4 figli). Essendo mia sorella la primogenita nata nel 1934,non mi pare avesse imparato “il passo dell’oca”, che penso sia stato molto faticoso per un bambino attuarlo. Proverò a vedere se i miei nipotini riescono ad alzare le gambe a passo in quel modo…..poi Le dirò. Cordiali saluti. Giorgio Nenci

  6. giorgio nenci scrive:

    Passo dell’oca
    Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

    Cambio della guardia, Alexander Park, Mosca, 2005. Le guardie imbracciano la Simonov SKS.
    Il passo dell’oca è un modello di passo marziale in uso nelle parate militari. Si tratta di una forma particolare di passo cadenzato e prevede che soldati elevino la gamba distesa fino a farle raggiungere una posizione più o meno orizzontale. Al momento di posare contemporaneamente lo stivale a terra, i soldati in marcia producono un caratteristico e forte rumore.

    Fu portato a uso sistematico in Prussia all’inizio del XIX secolo in accordo al concetto di rigida disciplina che caratterizzava le truppe di quello stato. In precedenza era stato anche adottato da Eugenio di Savoia per ritmare il passo delle sue truppe. Ebbe comunque un successo internazionale abbastanza duraturo, anche se adottò nomi sempre nuovi, comparendo in forme leggermente diverse tra di loro.

    Venne adottato nella Russia zarista, per essere conservato dal regime sovietico, per esempio nelle celebrazioni annuali della rivoluzione d’Ottobre.
    In funzione dei suoi connotati di ostentata virilità e di prestigio, il passo dell’oca esercitò un fascino non indifferente sul fascismo in genere, tanto che venne usato prima nella Wehrmacht nazista e poi nelle truppe italiane, contro la volontà del re. Infatti, Mussolini lo introdusse nel 1938 ribattezzandolo con il nome di “passo romano”. Si giustificava all’epoca l’inedita denominazione rifacendosi al “militaris gradus” (doppio del passus e con cadenza di 120 passi al minuto) citato nel IV secolo da Vegezio, e al plenus gradus, cioè l’andatura più fiera che le legioni usavano utilizzare nelle sfilate cui assisteva l’Imperatore, tendendo le gambe e facendo battere poderosamente sul terreno i talloni dei calzari. Esso dunque si presentava più solenne ancorché più pesante e faticoso di quanto non fosse il passo dell’oca propriamente detto (100 passi al minuto, scanditi dai tamburi mentre risuonavano le note della marcia “Principe Eugenio”).
    Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il passo dell’oca venne conservato in forma ridotta nella Repubblica Democratica Tedesca: infatti, la punta del piede arrivava soltanto fino all’altezza del ginocchio e per questo tipo di esecuzione fu trovato il nome di Exerzierschritt.
    Come accennato, lo scopo di questo passo è quello di ostentare potere e disciplina di massima precisione, tanto che viene usato di solito in stati dal regime totalitario. Fu oggetto di aspra critica da parte di diversi intellettuali come George Orwell. Nella raccolta di saggi Il leone e l’unicorno, Orwell proponeva l’interpretazione metaforica dello stivale di un soldato nell’atto di calpestare il viso di una persona.

    Il suo uso è oggi limitato a poche occasioni di particolare prestigio, rivolte al grande pubblico ed eseguite in alta uniforme. È tuttora in uso nei paesi più disparati. Per cominciare dalla Federazione Russa e dalla Bielorussia, si ricordino altri paesi storicamente legati all’influsso sovietico come il Vietnam, Cuba, la Cina e la Corea del Nord. Si ritrova infine in alcuni stati del Sudamerica come il Cile.

    Dato che si tratta di una pratica difficile da eseguire, richiede un addestramento speciale, spesso eseguito in piccoli gruppi affinché i soldati non si feriscan

  7. Florio Piva scrive:

    Signor Giorgio, stiamo diventando amici per corrispondenza! Io di anni ne ho 84, sono nato nel 1931 e nel 1939/40 avevo 8/9 anni, ed ero un Balilla. Mi spiego meglio:
    Prima e seconda elementare 6/7 anni Figli della lupa o Figlie della lupa.
    Terza, quarta e quinta elementare 8/9/10/ anni Balilla o Piccole italiane
    Scuole medie, comunque fino a 16 anni Avanguardisti o Giovani italiane
    Se Lei è del 1938 non è stato sicuramente e fortunatamente inquadrato nelle file sopracitate.
    Adesso può capire perché ero un Balilla che faceva il “passo romano di parata”detto passo dell’oca da coloro che scimiottavano i tedeschi. Mi creda era una faticaccia! Comunque grazie per le notizie di wikipedia, ma delle origine di quel sistema di marciare non m’importa molto. Io ho fatto quel passo (100 passi al minuto) e le assicuro che non era per tutti, perché c’era bisogno di un lungo e costante allenamento! La saluto cordialmente con i miei 84 anni che fortunatamente (non per bravitù) porto benissimo, almeno fino a ora.

  8. giorgio nnci scrive:

    leggendo wikipedia era ( ed è )”una fatica” in più vissuta nei regimi totalitari, non solo del fascismo, ma anche del comunismo. Cordiali saluti e grazie per l’amicizia.

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