Conoscete Jean Bruhnes? Studioso francese vissuto a cavallo tra Ottocento e primi decenni del Novecento, si occupava di geografia umana. Poco noto al pubblico non accademico, lo cito oggi perché a lui si deve un concetto semplicissimo e complicato allo stesso tempo: “Mangiare è incorporare un territorio”. Non significa solo assumere calorie, proteine, fibre e quant’altro da un alimento che a tutti gli effetti è frutto tangibile di un paese, ma anche integrare sé stessi in una comunità, utilizzare il cibo per cambiare un piccolo tassello di sé stessi e avvicinarsi agli altri.

Ho in testa questo pensiero mentre mescolo la besciamella per la pasta al forno che porterò alla cena di quartiere in via Carlo Mayr. È da sei anni che a metà settembre l’associazione Basso Profilo organizza questo evento, “Ricette Urbane”, e da sei anni non manco all’appuntamento. Come mai? Certo la strada apparecchiata di lunghe tavolate affollate di gente è un bel vedere, e per una persona golosa l’occasione è letteralmente ghiotta: spendendo poco (in questo caso il tempo di preparare una teglia di pasta al forno) si può assaggiare di tutto. Dai cannelloni alla frittata di verdure, dalla tenerina alla macedonia. Basta questo per affezionarsi così tanto ad una festa?

Due anni fa avevo intervistato Maria Giovanna Govoni, coordinatrice dell’evento, per farmi spiegare da dove era nata l’idea della cena e quale tipo di funzione avrebbe dovuto assolvere: facilitare il dialogo tra gli abitanti e i commercianti della zona, spesso alle prese con esigenze molto diverse. Il suo racconto si concludeva con una speranza: “sarebbe bello riproporre lo stesso dispositivo in altre zone cittadine, dove c’è bisogno di facilitare la coesione tra realtà diverse, in modo itinerante e pensato di volta in volta su misura”.

Detto fatto.

Le cene di quartiere negli ultimi tempi si sono moltiplicate, coinvolgendo soprattutto i vicinati più popolosi e socialmente compositi, dove la convivenza non di rado produce lamentele e malumori. Sono state organizzate in via Vittorio Veneto, dal Comitato Zona Stadio assieme alla Contrada di San Luca e Anolf, in zona Krasnodar, nel Parco dell’Amicizia intitolato ad Andrea Bui, “l’uomo che piantava gli alberi”, in via Pitteri  – dove è attiva una delle prime social street italiane – con tanto di concertino buskers e biblioteca aperta al libero scambio. E ancora, sempre in zona Gad, nel verde di piazzale Giordano Bruno, e al Doro, nei giardini di via Medini. Infine l’ultima arrivata: la Cena attorno all’Acquedotto che si è svolta poche settimane fa, inserita all’interno della manifestazione Estate Bambini, per festeggiare niente meno che la ventiduesima edizione della festa.

Foto di Giulia Paratelli

Le motivazioni di chi decide di impegnarsi in questi progetti sono diverse, c’è chi “lotta contro il degrado” e tra una forchettata e l’altra raccoglie firme per la chiusura notturna delle aree verdi frequentate dagli spacciatori; chi invece vuole semplicemente ristabilire le buone prassi dimenticate qualche decennio fa, quando ci si aiutava badando ai figli del vicino, prestando la farina alla dirimpettaia, mettendo ciascuno a disposizione un po’del proprio tempo e del proprio saper fare.

La risposta ad alcune delle domande che mi frullano in testa me le suggerisce Alida Nepa, promotrice della social street di via Pitteri: “dopo queste iniziative ci si guarda con occhi diversi, cambia proprio la percezione che si ha delle altre persone. La signora elegante che ti salutava a malapena scopri che è stata a scuola con tua sorella e inizia a darti del tu. Il signore che brontolava perché il tuo cane abbaia troppo condivide con te l’hobby di lavorare il legno. La vicina di casa che nemmeno conosci si rivela essere una famosa truccatrice e per il compleanno ti regala un trucco meraviglioso. Sono cose queste che danno un grande senso di sicurezza”. Continua Alida: “negli ultimi trent’anni l’isolamento è diventato un valore. Tutti hanno iniziato a volere la villa indipendente, l’ingresso indipendente, il cortile-museo dove nessuno può giocare, la siepe divisoria alta tre metri. Tutto ciò che è esterno alla porta di casa è stato considerato un nemico, ma adesso ci siamo accorti che ci manca qualcosa. Il senso di appartenenza”.

Mangiare non è solo incorporare ma anche farsi incorporare da un territorio, assimilarsi ai suoi abitanti da un punto di vista fisiologico. Il cibo costruisce muscoli e ossa, e dopo la cena di quartiere di via Carlo Mayr so che parte della mia carne è uguale, esattamente uguale, a quella delle tante persone – conosciute e sconosciute – che hanno assaggiato la stessa torta salata, le stesse crocchette di patate.

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