Secondo il Guardian lo scorso 1 luglio è stato il giorno più caldo nel Regno Unito. In Gran Bretagna non sono abituati a soffrire, d’estate, così il giornale inglese più cool ha fatto una “diretta” della giornata, raccontando come gli inglesi avrebbero vissuto la giornata più tremenda dell’estate. Dicono che tra oggi e domani anche a Ferrara si raggiungerà il picco di questa ondata di calore. Non c’è nulla di così strano, è luglio, è estate appunto, e 37, 38 gradi li abbiamo già provati in passato. Però abbiamo comunque deciso di provare a raccontare anche noi, che siamo molto meno cool del Guardian, la giornata (una delle) più calda dell’estate a Ferrara. Proveremo a evitare di chiamare l’Arpa, l’Hera, l’Enel, la Protezione Civile, l’Asl, Cona, gli assessori, i volontari, Dio, la frutta e la verdura, tre ore dopo i pasti. Il caldo è quella cosa invisibile che ti pressa a terra e ti schiaccia come un tubetto di dentifricio (e non dalla fine, ma a metà, ché da più fastidio), e sull’asfalto ci rimane un po’ di te.

arpa-ore900Ore 9 – E’ iniziato il giorno più caldo dell’anno, finora, a Ferrara. Ne verranno altri, domani, forse ancora più in là. Ma io so fare i conti solo con il presente, il passato sbiadisce, il futuro mi fa il solletico: ed è oggi, che a Ferrara fa caldo. L’unico sito meteo da considerare attendibile riporta per le ore 9 temperature non rassicuranti: nella Bassa siamo sui 26 gradi, ed è solo l’inizio. Prendo la macchina e vado ad ascoltare il rumore delle cicale, incessante, esco dalla città e mi inoltro nella periferia, senza avvertire la differenza, senza discontinuità. Il frinire si fa più regolare, nei pressi della centrale elettrica di Focomorto le cicale diventano elettriche, gli accumulatori di energia stridono emettendo anche loro una cantilena estiva. Gli androidi d’estate sognano cicale elettriche? Lungo il canale che costeggia la strada per Baura un pescatore a petto nudo fissa la sua canna da pesca, seduto su una di quelle sedie di plastica bianche da mare, circondato da bauletti contententi mille tipi di esche, fili, piombini, tenaglie, forbici. Nessun ombrellone o cappello a coprirlo, sono le 9 e qualcosa e lui sta fermo sotto il sole nel giorno più caldo dell’anno a pescare. Mi viene in mente il libro di Paolo Cognetti, quello dove per imparare a scrivere storie decide di imparare a pescare, perché in fondo raccontare è aspettare, aspettare, aspettare prima che il pesce, la storia, abbocchi all’amo. Ci sono giorni dove non si prende nulla. Nicola Lagioia poi, quello che ha vinto lo Strega, ha detto anche l’altro giorno che forse è pure meglio così, che il pesce nei canali di irrigazione delle nostre città altro non sono che traumi e quando vengono sviscerati perdono d’incanto la loro natura. Poco più in là, sempre lungo il canale, due bambini, un fratello maggiore insegna alla sorellina come si solleva il bilancione. Non devono aver letto Lagioia, o Cognetti, e devono sapere molte più cose di noi sull’estate e i giorni più caldi. Inizia la ciclabile, percorsa soltanto da ex politici locali di passate legislature che corrono sudati e appesantiti.

ore10-nuovaOre 10 – Nel mio peregrinare inizio ad avvertire vertigini. In via Modena è allestito nel parcheggio della Coop il mercato settimanale: camion bianchi come il latte stazionano sull’asfalto. Tra scarpe, tende, oggetti per la casa, gli ambulanti siedono sulle loro sedie pieghevoli fissando il vuoto. La temperatura sta salendo, mi rifugio allora al McDonald’s per fare un’abbondante (?) colazione. E’ deserto, a quest’ora, ci sono solo io che ascolto i Chemical in cuffia, l’aria condizionata altera la mia percezione della realtà e trovo gradevole persino la brioche al cacao del menu colazione. Poi lentamente il locale inizia a riempirsi, di fronte a me, in due tavoli separati, si siedono un rappresentante con la camicia sbottonata, e un signore con il cappellino su una sedia a rotelle. Inevitabile scatta il dialogo: il rappresentante (romagnolo) chiede lumi sulla città e il signore con il cappellino, scocciato per l’intollerabile ritardo nella consegna del panino, gli spiega i giorni utili per raggiungere i nostri lidi. Fa caldo, dicono, «fa caldo» diventa il mantra di qualsiasi conversazione tra sconosciuti e conosciuti. «Fuori non si può stare» lo dice la cameriera del Mc che svuota i cestini fuori, lo dicono altre due ragazze in pausa venute a prendersi un caffè. Ogni persona all’interno del locale sta parlando del caldo. Il rappresentante si stringe il nodo della cravatta, si richiude la camicia, risale in auto. Il caldo, o la banalità, riesce a unire le persone? Sulla Nuova in prima pagina c’è un trafiletto, di spalla, con un sole con gli occhiali-da-sole che ride. Fuori, nel nuovo negozio di arredamento danese, due commesse stanno allestendo mobili da esporre. Il segno delle scapole sudate disegna sulla camicia quelle che sembrano due ali. Sorridono, mentre ripetono anche loro il mantra: «fuori non ci si può stare».

Foto di Fabio Zecchi

caldo04skyOre 11 – Ferrara è una città dove la campagna infila un piede nello stipite della porta, che non riesce a chiudersi: i campi coltivati arrivano a lambire le Mura, il centro, rimangono sul ciglio della porta come un amante tradito che non se ne vuole andare. L’estate a Ferrara sono le rotoballe, rotoballe ovunque, quelle rettangolari che sembrano mattoncini Lego di fieno, quelle enormi, rotonde, che quando ci passi di fianco lungo l’A13 ti verrebbe voglia di abbandonare l’auto sulla corsia di emergenza e correre a spingerle. Il giorno più caldo a Ferrara scorre placido come tutti gli altri giorni, perché si sa, la nostra città sembra perennemente immersa in una gelatina invisibile ma tangibile: e non è umidità, non sono i 50 gradi percepiti che richiamano in Corso Martiri la troupe di Sky (ferma a farsi un caffè al bar), e poi quella della Rai. Dove sta allora la differenza? Tutto è leggermente più fermo, leggermente più lento, leggermente più macchinoso. C’è quella tacita solidarietà reciproca, tra sconosciuti, che si sviluppa solo per gli eventi di massa. Il caldo non è un fenomeno della natura, è percepito come un collante, una festa, una mattanza, dove bisogna presenziare. Si aprono ombrelli non soltanto in via Mazzini, ma alle fermate dell’autobus, nella ciclabile di via Pomposa, ne vedo uno, inatteso, anche sul cavalcavia della Rivana, in via Wagner, territorio esclusivo di automobili, dove un’eroica anziana signora sta scalando le pendenze da Galibier del ponte sulla ferrovia. Regge il suo ombrello senza sponsor, in modo composto e dignitoso, lo sguardo appena preoccupato, una borsa di color fucsia sotto braccio.

calore50Ore 14 – Il famigerato indice di Calore recita 49°, alle 13.50, a Ferrara. Riprendere dopo la pausa pranzo diventa complicato, al mercato nero dell’entusiasmo le quotazioni raggiungono cifre mai viste prima e non se ne trova più. Al supermercato la gente entra sbuffando, al telefono le persone ti rispondono sbuffando, e anche i messaggi, le chat, sembrano sudare. Io non ci credo ai coefficienti di calore percepito, i gradi sono oggettivi e le percezioni sono soggettive, è come pretendere di misurare i cibi, i gusti, gli umori. Oggi sono incazzato come una iena ma la rabbia percepita è a livello belva divina? Con il caldo si finisce per inciampare, si trangugiano sguazzoni scambiandoli per acqua fresca, e invece per metà sono vino, e i nervi cedono sui gradoni delle chiese ancora chiuse dal terremoto. Passo per San Domenico e su quei gradoni vanno in scena litigi al telefono, la voce si alza, fa troppo caldo per litigare figuriamoci per fare pace, penso, mentre dalle finestre e dai balconi compaiono occhi fluorescenti a osservare la scena. Il caldo è come il debito greco, spauracchio usato dal nostro metabolismo per assaltare i bar e richiedere creme di caffè, persino in luoghi sacri come la Torrefazione Penazzi, viene brandito come arma per misure di austerità alimentare o comportamentale. E allora i cardiopatici che indicono personali referendum e mangiamo a tavola per pranzo, nel giorno più caldo dell’estate, svizzere riscaldate della sera prima, o anziani che se ne infischiano della Troika caldo-afa-ozono ed escono per le vie del centro esattamente nelle ore più calda, che sfalciano il prato proprio alle due del pomeriggio, e non prima, e non dopo, che vanno a fare i giri in bici quando persino gli alberi sembrano sciogliersi, gli anziani che espongono fieri addomi gonfissimi quando tutto attorno è silente, diventano bellissimi paladini della democrazia di fare un po’ come cazzo ci pare.

Ore 16 – Se c’è un posto dove osservare Ferrara, e osservarla quando la temperatura sale, è la linea 11 del trasporto su gomma locale. La attraversa da sud a nord, addirittura espatriando oltre il Po, e contiene sui suoi sedili tutte le possibile etnie di una Ferrara molto più contemporanea di quanto si pensa essere: pensionati, ovviamente, ma anche tanti stranieri, tanti giovani, ci sono mamme islamiche che fanno alzare adolescenti ferraresi per far sedere stanche donne ucraine. La linea 11 ti porta là dove il caldo diventa più sciatto e genuino, impersonificato dagli orridi palazzoni del Barco, di via Marconi, il caldo sembra davvero più caldo mentre cola dalle pareti dei capannoni di via Padova. A Ferrara il caldo lo si vive davvero in periferia, non diventa occasione per aperitivi all’aperto o cene a lume di candele nelle vie del ghetto, il caldo è una condizione esistenziale, è architettura, è urbanistica, è stato d’animo di chi ci vive. La linea 11 mi porta lontano dai giovani che non sanno dove andare di piazza Ariostea, dalle televisioni sintonizzate sulla diretta del Tour per provare ad addormentarsi, dall’aria condizionata che falsifica la realtà.

Ore 17 – La linea 11 mi porta al capolinea di Santa Maria, all’estero, che poi è sempre e comunque Ferrara. C’è una signora che si guarda attorno spaurita, sta cercando il cambio per Occhiobello, non trova la fermata. Indossa svariati braccialetti, un orologio di metallo, un taieuller lungo poliedrico frammentato in scacchi colorati, la giacca sopra una canottiera verde brillante. I capelli sono biondi e mossi come il suo lessico. La aiuto, chiedo indicazioni anche io, in fondo siamo entrambi stranieri, oltre Po, lei mi ringrazia. Le chiedo banalmente, per sopravvivere, se non soffra così tanto il caldo, lei dice che teme soltanto il freddo, al caldo ci è abituata, lei, è stata persino in Australia. Così, nel giorno più caldo per Ferrara, c’è ancora la forza per ascoltare la storia di un’altra vita, e non mi interessa se sia tutto inventato o meno, se enfatizzi certi dettagli, se si ricordi male. Al mercato nero della fiducia ci sono quotazioni ancora più alte, e decido di spendere tutto quello che mi è rimasto dopo una giornata a peregrinare sotto 50 gradi percepiti. E’ una scrittrice, la signora che attende l’autobus per Occhiobello, «scrivo per beneficienza» e penso, da volontario quale sono, di fare più o meno lo stesso, mi racconta dei suoi nipoti australiani che sentono la nostalgia dell’Italia pur senza averci mai vissuto, di Metiu, di Catrina, nomi anglofoni teneramente italianizzati, che la prima volta vennero nel paese del sole non volevano più ripartire e rimasero a piangere sul marciapiede di Pontelagoscuro tutta la notte. E poi di quando andò in Grecia, delle interviste alla tv di stato, degli errori che ha commesso, di quanto fosse bella l’Italia. Le dico che sono in giro dalla mattina per provare a raccontare il caldo di questa città, lei sorride, mi lancia una profezia già scaduta, «diventerai giornalista, te», e mi ammonisce, «e allora poi dovrai iniziare a dire le bugie», ed è proprio per questo che non lo diventerò mai. Sto aspettando una cosa bella, le dico, e ci salutiamo alla fermata del bus.

Ore 18 – La cosa bella poi è il gabbiotto dell’edicola lungo via Padova, senza aria condizionata, con le insegne che reclamizzano aquiloni che cadono a terra. E’ il parcheggio della Basell semi deserto, un campo di pannelli solari su cui crescono automobili roventi, e i turnisti che stanno per tornare a casa sembrano bagnanti di qualche Lido comacchiese al contrario, mentre passeggiano con lo sfondo del petrolchimico alle spalle. Maglie che cambiano colore per il sudore acido, perché i condizionatori magari saltano, gli interventi sugli impianti esterni da effettuare rigorosamente dentro lo scafandro, per le norme di sicurezza da rispettare. La cosa bella è il campo da basket del Barco, deserto, e il concerto di cicale che sembrano ormai nevrotiche, nel loro incedere musicale. La cosa bella è il cane con le rotelle che si avvicina alla ringhiera del canile ormai chiuso, impedendomi di chiedere un parere a quattro zampe sull’ondata di calore in corso. La cosa bella è il bocciodromo di via Goretti, abbandonato, quando nelle sere d’inverno invece è pieno di arzilli giocatori del gioco delle bocce. Sulla lavagna c’è un avviso scritto col gesso, “domani uscita sui bastioni (senza ombrello). Partecipate”, la cosa bella è la polvere lungo le coppe della bacheca, la postazione della giuria, i tabelloni segnapunti, l’ordine ludico del luogo, quasi infantile nel suo prendersi giustamente così sul serio, e quell’imperativo, “partecipate”, che non è un invito, un suggerimento, un consiglio o una proposta, e nemmeno un ordine. E’ volersi bene, credo, al presente, anche se si è sciolti, si è consumati, si è invisibili in una città che poteva essere Ferrara, oggi, come tutte le altre d’Italia, come tutte le altre del mondo in cui fa caldo, non c’è nulla di strano, ma comunque domani si esce senza ombrello, anche se farà ancora più caldo. Più che un imperativo, un abbraccio, anche e soprattutto se si è sudati.

1 Commento

  1. Florio Piva scrive:

    Sig. Zecchi, questo racconto mi è piaciuto per due motivi, il primo perché è scritto bene, il secondo invece per una sottile nostalgia che sempre di me s’impadronisce e mi riporta indietro nel tempo. Anche in passato a Ferrara il caldo è stato spesso da record, “un cald da matt”, ma nessuno lo sapeva. Pure qui a Concesio non si scherza affatto con i gradi, ma a Ferrara il caldo io lo sopporterei certo con più disinvoltura!
    Descrivere fatti, situazioni, abitudini, ambienti e clima (caldo, freddo, nebbia …) relativi alla mia città, risveglia in me l’attaccamento alle mie radici che pareva sopito. La ringrazio per avermi dato un attimo di tutto questo.

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