Qualche mese fa ha iniziato a girare sui vari social network un piccolo ma significativo cortometraggio girato appena fuori Ferrara, si chiama “Die Krise”, la crisi. É secco e preciso, rappresentativo del tempo tragicomico che stiamo vivendo, racconta un suicidio fallito, ma di più non si può dire. L’ha ideato e realizzato Alberto Gigante, detto Gigo, videomaker nato e cresciuto in terra estense, 50 anni compiuti da poco, carattere schivo e poco propenso all’autopromozione. Tra pochi giorni lo aspettano a Salerno per ritirare il primo premio del Giffoni Experience per il cortometraggio “Sabrina”, realizzato tra aprile e maggio assieme agli studenti della Città del Ragazzo. Listone Mag ha provato a vincere la sua riservatezza e a farsi raccontare qualcosa del suo lavoro.

Cominciamo dall’inizio. Come sei entrato nel mondo della produzione audiovisiva?

Ho sempre avuto passione per il cinema, ho iniziato a far video nel 1998 a livello amatoriale. All’epoca lavoravo con un’orchestra di liscio e guadagnavo abbastanza bene, potevo permettermi una telecamera. Niente di professionale, giusto per fare dei corti con gli amici. Giravamo coi primi minidv. Ho collaborato in tanti video. Mi chiamavano per fare le riprese. Conosci tizio che ti chiede di fare una cosa, poi un’altra. Poi arriva il momento in cui intravedi che questa attività extra può diventare qualcosa di cui vivere. É successo nel 2000, ho provato e rischiato. Un’esperienza determinante è stata poi quella di seguire Fabrizio Lazzaretti in Colombia, dove abbiamo vissuto momenti abbastanza critici, c’è ancora la guerra civile. Non sono Robert Capa ma quel genere di esperienza mi interessa in modo particolare. In generale mi interessa lavorare su tematiche di carattere sociale. Siamo andati là per raccontare la storia di Giacomo Turra, ragazzo padovano morto a Cartagena nel 1995, un caso simile a quello di Federico Aldrovandi. Facevo le riprese e mi occupavo del suono. Non avevo funzione autoriale, questo è importante sottolinearlo perché non voglio vendermi per quello che non sono.

Qual è stato il primo video che hai girato? 

Un filmato fatto assieme a Pippo Parma, ma era stato pensato e diretto male, ho preferito non farlo circolare. Il primo lavoro presentato in pubblico è stato “La Terribile Alluvione d’Ottobre”, realizzato assieme a Filippo Landini – all’epoca abitavamo assieme. Un bellissimo esperimento di cinema. Al di là del risultato ottenuto, un cortometraggio nato alla rovescia. Prima ho documentato una situazione che accadeva nella realtà, nell’ottobre del 2000, la piena del Po. Girai del materiale nei due giorni di maggiore emergenza, senza sapere esattamente cosa ne avrei fatto. Poi, pensandoci assieme a Filippo, è nata l’idea di inserire un personaggio – una specie di disadattato mitomane simile a certi bruciati che giravano dalle nostre parti – per legare il tutto. Alla storia abbiamo lavorato di notte, mischiando messa in scena e documentario nella sceneggiatura. Il giorno seguente siamo tornati insieme sulla riva del fiume per far interagire il nostro personaggio con le persone che assistevano alla piena. Il lavoro può piacere o meno, sicuramente è stata un’esperienza di costruzione cinematografica che in parte ritrovo anche negli ultimi due lavori che ho fatto, “Die Krisie” e “Sabrina”. Quel periodo fu veramente interessante, molto fluido, per quanto riguarda la produzione underground ferrarese

Come mai? Cosa successe?

Si era sviluppato e aggregato un bel sottobosco di persone che collaboravano assieme in tanti progetti, gente come Andrea Amaducci, Max Czertok, Andrea Forlani e tanti altri. La casa dove abitavo assieme a Filippo e altri amici è stata la location di tantissimi video. É stato un bel momento creativo, eravamo molto in contatto.

La trama del cortometraggio “Die Krise” è molto italiana. Come mai hai scelto un titolo in tedesco?

É stata un’idea di una amica che mi era piaciuta perché la “crisi”, presentata a noi mortali come se si trattasse di una catastrofe naturale e non di un fenomeno umano, sembra proprio parlare tedesco. I diktat che ci chiedono di sacrificare la nostra sovranità popolare, insieme all’intera evoluzione sociale conquistata negli ultimi cento anni, di sicuro lo parlano. Sarebbe poi interessante sapere da dove partono esattamente tali direttive, ma questo non c’entra con il mio film. Sul fatto che la trama del cortometraggio sia “molto italiana”, non sono d’accordo. Il cannibalismo sociale è la vera trama del film, e questo a qualunque livello è un fenomeno tipicamente umano. La crisi è solamente l’alibi del momento. Domani probabilmente ce ne inventeremo uno nuovo. Il cortometraggio ironizza su questo aspetto. Quando lavoro sul documentario tendo ad essere anche eccessivamente rigoroso ma nella fiction preferisco cinismo e ironia. ll cliché del suicidio legato alla perdita del lavoro è molto attuale ma volendo lo si può pure leggere in chiave antropologica anche se, in fin dei conti, “Die Krise” altro non è che una semplice gag in cui ognuno è libero di vedere ciò che preferisce.

Da dove nasce “Sabrina”, il cortometraggio realizzato assieme agli studenti della Città del Ragazzo, che ha meritato il primo premio al Giffoni Experience?

Sono stato contattato dal preside della scuola, Giusepppe Sarti, che avrebbe voluto coinvolgere i suoi studenti e farli partecipare al concorso video organizzato a Copparo dall’associazione Oltre i muri. Ad aprile ho conosciuto i ragazzi con cui avrei lavorato, tra i sedici e i diciassette anni. Non avevano mai avuto esperienze di cinema ma avevano seguito il laboratorio teatrale organizzato da Cosquillas presso l’istituto, esperienza che li ha facilitati molto a intraprendere questo nuovo progetto. Erano abituati a lavorare col corpo e anche a far parte di un gruppo. Abbiamo fatto una serie di incontri a ritmo veramente serrato. All’inizio ci siamo soprattutto conosciuti e confrontati sul tema del concorso, il cosiddetto cyberbullismo. Abbiamo parlato a lungo, chiacchierando del più e del meno siamo entrati nell’argomento, con racconti di storie vissute direttamente o indirettamente. Da queste abbiamo preso dei frammenti e abbiamo iniziato a costruire il nostro plot, non una vera e propria sceneggiatura perché il tempo che avevamo era molto stretto. Poi siamo passati ad assegnare i ruoli e a organizzare le riprese. Alla fine il video è risultato un mix di messa in scena e realtà, parti recitate e parti girate durante gli incontri. Loro sembrano attori consumati, funzionano bene. Questo risultato probabilmente non si sarebbe ottenuto se avessimo avuto un testo al quale attenerci per forza. Il filmato è quasi muto, prevale l’azione, lo sguardo.

Courtesy Alberto Gigante

Com’è andato il lavoro con gli adolescenti?

Per me è stata una bellissima esperienza, loro hanno lavorato veramente molto bene. Parliamoci chiaro, spesso la Città del Ragazzo viene considerata la scuola dove si iscrive chi non riesce a concludere nulla altrove, ma la maggior parte delle volte chi ha difficoltà ad adattarsi a certi ambienti, oppure a interagire coi professori, ha dentro di sé molta diffidenza – mai immotivata – ma anche un grandissimo potenziale. I ragazzi che inizialmente tenevano un atteggiamento più conflittuale sono quelli che poi si sono dimostrati i più attivi, presenti e propositivi. Mi ha colpito molto come si sono comportati a Copparo, alla premiazione, dove sono saliti sul palco per parlare a un pubblico più giovane, alunni delle scuole medie e di quinta elementare. Hanno dato indicazioni e suggerimenti utili, se la sono cavata alla grande.

Foto di Alberto Gigante

E i professori come hanno reagito a questa iniziativa?

Il corto è stato ispirato da tanti episodi, rappresenta una realtà. La prima volta che l’abbiamo proiettato a scuola è stato venerdì 26 giugno, molti alunni ancora non l’avevano visto perché dopo le riprese avevano gli stage da fare. Alla fine c’è stato un dibattito molto interessante, tra ragazzi e professori, dove non si è parlato di bullismo quanto del contesto in cui vivono le nuove generazioni, e in cui si sviluppano certi episodi. La domanda che si sono fatti gli adulti, guardando il video, è stata fondamentalmente una: ma noi dove siamo? Nessuno punta il dito ovviamente, la risposta arrivata dai ragazzi è stata questa: questo è il mondo che vediamo noi.

2 Commenti

  1. Blizzard scrive:

    Dove si può vedere?

  2. Licia scrive:

    Dice Alberto Gigante che il video dovrebbe essere a disposizione sul sito del Festival Giffoni.

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