Quando da piazza Savonarola vedo sbucare millecinquecento persone vestite di rosa tutte sorridenti, che corrono passando proprio sotto la Torre dell’Orologio che indica un’inequivocabile “5.30” come orario, e mi guardo accovacciato tra le bici legate intento a fotografarli, penso che davvero sono tempi strani. Italo Svevo li definirebbe “originali”, probabilmente, io penso che c’è qualcosa di inspiegabile che non mi torna, in questa Run 5.30 che tira giù dal letto milleecinquecento ferraresi per vestirsi di fucsia e correre per il centro storico deserto della mattina presto. Mi viene in mente il nuovo pezzo di Beck, si chiama Dreams, e dentro racchiude quell’energia un po’ cool e un po’ no che sprigiona questa mattina surreale a Ferrara. Ascoltatelo, e capirete cosa hanno provato i millecinquecento partecipanti.

Insisto quasi ossessivamente su questo numero perché è in quella cifra che si nasconde l’insondabile mistero della riuscita di questo evento. Io sono stato uno di questi. Uno di quelli che con soltanto tre ore di sonno ha deciso di alzarsi alle cinque comunque, morsicato da quel siero velenoso che si chiama “curiosità”. E ho pigiato sulla sveglia il tasto per rimandarla tante volte quante le volte in cui ho preso l’antidoto a quel veleno. Stamattina no, per una volta ho ceduto, mi sono stropicciato gli occhi, mi sono infilato la prima maglietta che ho trovato nell’armadio, pantaloncini, scarpe d’ordinanza, e sono salito in macchina in direzione centro. Ho alzato il volume dell’autoradio sentendomi più figlio della notte che del giorno, con la bocca ancora impastata dal resto della settimana pesante, un sapore che non se ne vuole andare. Il cielo su Giovecca color latte macchiato, i bar ancora chiusi, e un parcheggio che non si trova, un incubo che si perpetua anche all’alba di un giorno feriale e che scompagina i miei piani di parcheggiare praticamente dietro l’angolo. Nemmeno alle cinque del mattino in centro si riesce a parcheggiare, ed è la prima secchiata gelida di realtà che mi fa riconoscere la mia città: buongiorno, Ferrara, buongiorno strisce blu.

Sono già in ritardo, mancano pochi minuti alla partenza e tocca correre già da via Palestro, quando la partenza è invece in piazza Castello. Dalle strade secondarie del centro sbucano come folletti personaggi che indossano magliette fucsia, sono le uniche presenze delle cinque e venti del mattino, e sembra tutto un filo surreale. Sono residui dei miei sogni di un’estate lontana da qui, abitata soltanto da colori e cieli morbidi e strade deserte? Poi arrivo sotto al Savonarola e un muro rosa mi impedisce l’accesso in piazza Castello. Ci sono millecinquecento motivi per essere lì, ognuno diverso o forse sempre uguale. Si parte, si gira per Corso Martiri, poi 4s, dai Teatini sento già gocce di sudore, Giovecca è invasa da gente che corre, gente che cammina, gente che si defila sui marciapiedi, gente che taglia la strada sui marciapiedi, gente che si fotografa, gente che si saluta, che grida, che ride, che borbotta, che sentenzia, gente che corre con una reflex in mano, gente che posta su facebook correndo, gente che sbuffa, gente che saltella. Gente. Perché funziona un evento come la Run 5.30?

Foto di Giacomo Brini

C’è una sorta di invisibile trama sottile, che lega tutti i presenti, e che credo esuli dal semplice discorso podistico o sportivo. E’ vero, ce ne sono molti, di corridori più o meno abituali, ma la maggioranza sono improvvisati, improbabili, imprevisti. E infatti il serpentone fucsia si allunga inverosibilmente, si sgrana, e si ricongiunge soltanto nelle strettoie per entrare nel sottomura, come una fisarmonica che si ripiega per prendere e incamerare fiato. Non siamo qui per correre, perché correre si può fare a qualsiasi ora del giorno. Forse siamo qui per il fucsia acceso, per questa dominante rosa che ci rende identificabili, accomunati dalla stessa battaglia ideologica, sventolanti il vessillo “Esserci”. La trama invisibile che ci lega tutti e porta millecinquecento persone alla Run 5.30 è forse l’altro siero dell’umanità, il bisogno di condivisione e di farne parte, qualunque cosa essa sia. Conosciamo Ferrara, conosciamo i ferraresi, e lo stesso organizzatore Sergio Bezzanti mi dirà poi: «Mi avevano detto che siete refrattari alla novità e allo spostamento, e invece siete la città, tra quelle del circuito Run 5.30, che ha triplicato le presenze da un anno all’altro, con numeri alla pari di Milano». Eppure i ferraresi hanno questa capacità quasi mistica di spiazzare, anche, di creare aspettative granitiche e poi basta una toccata di rosa per sgretolarle all’alba di un venerdì di giugno. Perché c’è una cosa che i ferraresi adorano essere, oltre che abitudinari, ed è appunto quella di “esserci”: se la Spal inizia a vincere, aumentano i tifosi allo stadio e aumentano quelli che vogliono esserci, per esempio, e fu così con il basket e la pallavolo in Serie A, ed è così anche per i locali che aprono, da un anno all’altro magari, e quando ne funziona uno, tutti vogliono contribuire a farlo funzionare ancora di più. Perché “sono tutti lì”, ed è qualcosa di più sottile, io credo, di una semplice dinamica pastorale. E’ accorgersi che qualcosa sta accadendo, e se ne vuole fare parte. Un’affermazione, prima ancora che un inseguire.

L’erba bagnata del sottomura viene svegliata dalle scarpe di chi vuole superare o fermarsi a fotografare. La città è di qua e al di là del sentiero sterrato, e mi sembra lontanissima, sembriamo tutti finiti in una terra di mezzo felicemente condannati a girarci intorno, a questa città, senza mai poterci entrare dentro. Il sacrilegio si compie all’altezza di Architettura, quando rientriamo nel centro storico, passando davanti a botteghe ancora chiuse. Si tratta pur sempre ancora della notte, sebbene sia sorto il sole ormai, e siamo ancora irremediabilmente intrappolati nel sogno di riprendersi le strade della propria città. Sembra sia possibile farlo solo impazzendo, o con ordinanze comunali (il confine è comunque sottile): solo alzandosi quando le auto dormono ancora, possiamo riappropriarci delle nostre vie, solo quando la civiltà è distratta, possiamo calpestare le nostre strade come bambini, solo quando arriva una decisione dall’alto i ferraresi si riprendono spazi altrimenti condonati al traffico. Non si tratta di fare un inno all’ecologia e al verde, perché ho ben presente gli sguardi degli automobilisti fermi al passaggio pedonale, alle sei del mattino, appena svegli e già scocciati per dover andare a lavorare, costretti a un’attesa non prevista per farmi sgambettare in braghette. Ho ben presente quegli sguardi che mi fanno sentire in colpa, per sognare fino al mattino, e li comprendo e sono gli stessi miei. Sono quelle riflessioni che si fanno quando muore qualcuno, o a Natale, o quando si è bevuto un po’ troppo: estemporanee, che durano lo spazio di un’alba, il gorgoglio di una moka, la nuvola di zucchero a velo di una pasta all’Europa mentre si deposita sul pavimento. Sono le consapevolezze, quelle frasi quasi di circostanza, «sarebbe bello avere una città sempre così», e ne ho sentite diverse, lungo quei cinque km e mezzo, stamattina, e anche all’arrivo in piazza Castello, con il fucsia che si disperdeva sui ciottoli e nei bar come petali di rosa: «bisognerebbe svegliarsi tutti i giorni così».

E invece non lo facciamo, non lo possiamo fare e forse nemmeno lo vogliamo veramente. Il segreto del successo della Run 5.30 forse consiste proprio nella sua unicità: “impazziamo tutti quanti, alziamoci all’alba a correre a perdifiato, e facciamolo tutti assieme” (legate tutto assieme, se no non funziona) va bene, ma solo una mattina all’anno. Abbiamo una cartuccia a disposizione, per impazzire, e vogliamo usarla soltanto una volta. Altrimenti dove starebbe il piacere?

Nell’euforia generale dell’arrivo, tra una merendina Kinder ai cinque cereali (che non mangiavo da anni) e bicchieri colmi di ciliegie troppo sani per i miei bioritmi, chiedo al modenese Sergio Bezzanti come è nato tutto questo: «Tutti dicono che è un’idea meravigliosa, ma in realtà nasce da un episodio di bullismo: per evitare i bulli a 10 anni durante i miei giri in bici e a piedi negli isolati della mia città, io mi alzavo presto. Al pomeriggio era pericoloso, al mattino presto non c’era nessuno e io potevo così sfogare la mia voglia di andare in giro in bici senza più paura. Poi è diventata un’abitudine di vita, e incontrando la nutrizionista Sabrina Severi abbiamo innescato la scintilla della corsa. Dopo il primo anno a Modena, nel 2007, siamo sbarcati a Milano e poi è diventata virale e si è sparsa in tutta Italia. Da quest’anno iniziamo a esportarla all’estero, a Nottingham».

Foto di Fabio Zecchi

Poco distante c’è una ragazza dagli occhiali rossi che sta aprendo la sua bici. Indossa anche lei la famigerata maglia fucsia, e un paio di cuffione le cingono il volto. Sta ancheggiando a ritmo di una musica che solo lei sente, con un’energia e una determinazione quasi fuori luogo, per essere le sei del mattino. Sembra un’alba di Kreuzberg o di Soho, non di piazza Castello. «I ferraresi – dice Sergio – si devono ricredere della percezione che hanno di loro, è una magia che c’è già, la mattina ha già in sé questa magia, noi l’abbiamo solo fatta emergere». Ritorno al parcheggio mentre sul Listone si inizia a montare le bancarelle del mercato di venerdì mattina, con i furgoni che tanto stanno facendo discutere in questi giorni. Gente che di albe ne ha viste molte di più di me e dei millecinquecento partecipanti della Run 5.30, gente che a proposito di magie e di ferraresi ne avrebbe probabilmente molto da dire. Folletti fucsia passano accanto ai tendoni che vengono issati, e mi chiedo da dove la tiriamo fuori, tutta questa energia, per alzarci presto una mattina, per alzarci presto tutte le mattine. Che si debba correre per cinque km e mezzo, o vendere vestiti al mercato, per entrambe le fazioni dell’alba che per una volta all’anno si mescolano si tratta di una scelta, di uno sforzo che richiede energia. E davvero, mentre sbadiglio, non mi capacito da dove arrivi, questa energia, questo siero positivo che riesce a tenerti sveglio di notte senza per forza assomigliare a un incubo. Qualcosa cui è difficile abituarsi.

5 Commenti

  1. Monica scrive:

    Ciao un Bell articolo veramente.
    Anche i miei figli di 20 e 21 anni vi hanno partecipato ed erano elettrizzaati da questo..
    la nostra città è una gran bella città ed ha innata in se una gran voglia di vita bisogna solo riuscire a farla esternare..
    peccato io non sia a Fe ora ma se ero a casa avrei partecipato anche io da camminatrice. .per l orgoglio di poter dire anche io contribuisco a far sentire viva la mia città.

  2. lorenza scrive:

    Ero tra quei 1500 e quest’articolo mi ha davvero emozionato!!! Come stamattina… E’ stata bellissima… Oltre che adrenalinica, energica e tutto il resto e’ stata davvero MOLTO MOLTO emozionante!!!

  3. Fabio Zecchi scrive:

    Complimenti mio omonimo! Un bell’articolo comprese le foto!
    Che bello vedere Ferrara sotto questo aspetto di pace, amicizia e sport…

  4. eravamo tra i 1500, sì, la città estense, le sue strade, le sue case e le sue mura sono state invase da una fantastica potenziale forza rosa-fucsia in cui è racchiuso il misterioso nesso Volere-Potere. Alè!

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