Inizio a inquadrare meglio la situazione quando mi fanno notare quanto sono belli quelli vestiti da steampunk: sono personaggi futuristici corredati però da aggeggi meccanici, arrugginiti, provenienti da un futuro che sembra invecchiare più in fretta del presente. Ecco, mi chiedo, ma chi o cosa diavolo sono gli steampunk? E allora inizio a serrare di più le palpebre, escludendo dal mio campo visivo tutti gli esseri umani che stanno interpretando altro da se stessi. Cosa rimane?

Robot, personaggi della Marvel, zombie, Ghostbusters, Superman, Capitan America, Lamù, Guybrush Threepwood, Jack Sparrow, militari americani. Rimane abbastanza, e molta di questa messiscena mi getta addosso riferimenti che non so cogliere. Il mio immaginario dei fumetti è abbastanza limitato, e credo che questo valga per i tanti ferraresi che hanno girato il centro sabato e domenica scorsi, tra lo stupore e la perplessità di osservare qualcosa di talmente “altro” da loro. Così inizio a mettere più a fuoco le cose: sono al FEcomics & games, la prima edizione del festival dedicato al mondo dei fumetti, dei videogame e dei cosplayer. I cosplayer, soprattutto, sono quelli che rubano la scena dei fotoamatori in assetto da guerra e più in generale dei passanti, dei curiosi, degli annoiati e degli incuriositi: di noi che siamo vestiti soltanto da noi stessi, insomma, e non veniamo da un fumetto ma da quella bolla che si chiama realtà. Eppure, cogliere le citazioni dei travestimenti diventa presto un fattore secondario. C’era nell’aria, sabato e domenica in centro a Ferrara, una sostanza molto più invisibile dei raggi cosmici e più corrosiva della criptonite: l’indulgenza.

Foto di Giulia Paratelli

Una domenica iniziata al mattino presto anche per noi di Listone Mag, presenti con un piccolo gazebo in Piazza Municipale. Al bar i cappuccini e i caffè non sono mai abbastanza, e la nostra colazione viene interrotta da un signore alle prese con il suo portatile. «Ho un problema con il computer, non è che voi potreste aiutarmi?», ci chiede, e inizia a vaticinare di un dvd del suo matrimonio, che non è ancora riuscito a vedere, ahilui: balli, canti, baci, tutti ancora imprigionati in un dischetto di plastica apparentemente inaccessibile. Galvanizzati dalla richiesta, mandiamo giù l’ultimo sorso di caffè e proviamo ad armeggiare insieme al computer. E salta fuori che questo signore potrebbe benissimo essere anche lui stesso, un personaggio dei fumetti. E ci racconta del suo matrimonio in Ucraina, «iniziato al pomeriggio alle 3 e finito alla notte, alle 3», e della gente che in Ucraina per salutarsi si bacia sulla bocca, «tutti quanti, eh, è una cosa bellissima», e dei canti e dei balli e delle riprese video che sono finite su quel maledetto dvd che proprio non vuole sapere di mostrarsi. Non sappiamo come si chiama, ma la faccia arrossata dal sole dei lidi potrebbe benissimo rientrare nella schiera dei cosplayer: «quando ho smesso di disossare, sai, io facevo prosciutti prima, ho iniziato un corso di psicologia», ci spiega, mentre ci mostra la foto di uno sconosciuto bagnante che ha parcheggiato la bici sul bagnasciuga a Porto Garibaldi (?). C’è qualcosa che probabilmente lega assieme tutto questo, il dvd, la fronte stempiata arrossata, i prosciutti disossati e i matrimoni in Ucraina, ma è domenica mattina e ancora non siamo riusciti ad afferrarla.

Poi, durante le ore in cui siamo stati nel gazebo con il nostro striscione che si piegava in avanti inesorabilmente e tenuto appeso con il nastro adesivo, questa cosa è iniziata ad emergere, tra l’odore di hamburger e quello di acrilico mescolato con la pioggia del pomeriggio. Ad un certo punto arriva Capitan America in persona e io che al massimo leggo Gipi o l’Eternauta o Nathan Never, mi fiondo verso il suo scudo stellato e lo incito a salire su una bicicletta. La composizione risulta molto pacchiana e scontata, e mentre sono inginocchiato a scattargli una foto con il telefonino me ne rendo conto, mi chiedo «ma che cosa sto facendo?». E poi mentre i nostri illustratori disegnano sopra alle foto scattate poco prima dai fotografi, gettando colori sopra al bianco e nero dei cosplayer stampati con una laser di fortuna, sempre quella sensazione impercettibile. E i passanti che ci chiedono Goleador (alla liquirizia), e ringraziano perché «sapete, siamo in giro da questa mattina», e gli adesivi e le cartoline che volano via per il vento, e quella coppietta di anziani che si trascina dietro le bancarelle dei libri, sempre in piazza Municipale, sembrano cosplayer anche loro: lei indossa colori improbabili, dove l’acido sbiadito lascia scoperto solo le braccia che cingono quelle del suo compagno. Lui invece appare molto più provato dall’umidità cambogiana delle risaie in asfalto della nostra città: appesa al collo una reflex molto più pesante del suo corpo esile, il capo è leggermente piegato in avanti e lo sguardo è irremidiabilmente perso verso via Garibaldi e forse oltre, verso lo spazio interstellare. E la bocca semi aperta, per il caldo, o lo stupore, vallo a capire.

Foto di Giacomo Brini

Mi scaccio via dal viso, come fossero zanzare (cambogiane), i bagliori di quella sensazione che diventa poi tangibile sul fare della sera, quando ormai ho gli occhi intasati di citazioni che non ho colto, e le orecchie piene di commenti di ogni tipo su tutti i generi di abbigliamento incrociati: «ma non avranno caldo là sotto?», «quella ha il culo scoperto», «ti immagini il freddo che sente?», «guarda le ali che si aprono e chiudono», «per me questi sono tutti esibizionisti e narcisisti». In generale, pochi capiscono davvero il senso di tutto questo. Giusto in tempo prima di smontare il gazebo listoniano, c’è un’ultima immagine che me lo svela, il mio, di senso, del FEcomics & games e di questa domenica di metà giugno. Una ragazzina, sui 15 anni probabilmente, sta pedalando verso Garibaldi quando inchioda la bici. Ha incrociato Capitan America, ed è stupita quasi fosse davvero, Capitan America, e non un ragazzo dall’accento toscano che lunedì mattina probabilmente starà timbrando il cartellino in fabbrica, mentre lei dormirà fino alle undici perché sono iniziate le vacanze scolastiche. E’ agitatissima, imbarazzata, scende arruffata dalla bici quasi cadendo. Gli chiede sommessamente se può fargli una foto, e Capitan America serra le mandibole annuendo fermo e convinto. Arriva il resto della famiglia, sempre in bici, intanto, e il padre le prende il telefono e scatta la foto: Capitan America stringe fiero il pugno, mostrandolo a favore di camera, la ragazzina non osa stringerli i fianchi e ne rimane a lato, il padre, poco prima dello scatto, alza lo sguardo e le sopracciglia, per un secondo, per gustarsi la figlia che ha appena fermato uno sconosciuto in calzamaglia. Capitan America saluta, se ne va, la ragazzina cerca di risalire sulla bici, e se ne va anche lei, in direzione opposta. Ieri in piazza Municipale e per le strade di Ferrara, ecco, c’era quella cosa invisibile che si chiama indulgenza: verso le passioni degli altri, verso le manie degli altri che non capiamo, condividiamo, verso quelle persone vestite in modo così strano, e non si capisce perché lo facciano, se siano maniache o complessate o solamente si stiano divertendo un mondo (molto di più di noi che guardiamo), verso tutte le nostre più improbabili espressioni. Indulgenza, semplice come una parola dentro il balloon di un fumetto, verso tutto ciò che riteniamo assurdo, come i racconti di uno sconosciuto sui matrimoni ucraini.

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