Nonna Bikini, la chiameremo così, ha più di ottant’anni e una vera passione per i bikini. Ne ha uno per ogni giorno della settimana, rosa, pesca o verde militare. Ma il suo primo amore è il topless. «Sai quante volte mi hanno detto signora, certo che alla sua età potrebbe anche coprirsi, ma a me piace così» dice, lo sguardo accigliato dietro gli occhiali da sole. «Il mio corpo non è un ornamento fatto per piacere al pubblico. Io non sono qui per intrattenere. E queste tette ne hanno di storie da raccontare». Nonna Bikini era la mia vicina di ombrellone, in un’epoca in cui anch’io andavo al mare. Lei avrebbe partecipato di sicuro alla mostra alla Porta degli Angeli, Gelosia di Giacomo Brini. Nel primo weekend di apertura ha registrato qualcosa come 450 visite, attirando l’attenzione di tutine affannate sulle Mura, turisti a braccetto e scolaresche in libera uscita.

Gelosia è un’esposizione di fotografie. Trentasei ritratti a figura intera, misura 50 x 75.  I modelli hanno dai venti ai sessantasette anni con un’età media compresa tra i 30 e i 35. Ventidue donne e quattordici uomini. Tutti nudi. C’è un uomo di Vitruvio con fili elettrici, una donna al settimo mese di gravidanza dietro una collana di perle e un ragazzo con lo sguardo perso nel vuoto con una ruota di bicicletta. Ci sono cicatrici, seni su e seni giù, pance e depilazioni che spaziano dagli anni Ottanta ai Duemila. C’è chi sembra aspettare il proprio turno alle poste con aria scocciata e chi ammicca con il dito in una posa plastica. C’è chi si fa vedere e chi si copre come in una foto segnaletica.

Ad attirare l’attenzione è lo sguardo. Quello sguardo che dice “Io sono così”. E quel nudo imperfetto e normale che non siamo più abituati a vedere. Niente corpi lucidi e photoshoppati ma peli e smagliature. La Gelosia è il filtro, nel doppio significato emotivo e architettonico, un elemento divisore, diverso per ogni ritratto che crea un effetto di vedo e non vedo. Le foto non sono nemmeno post prodotte ma legate alla naturalezza della situazione, è tutto rudimentale, così come la Gelosia, costruita con fiori, perle, spaghi colorati e altri mezzi di fortuna.

All’inaugurazione, il 10 aprile, oltre ai curiosi, c’erano due tipi principali di persone: i modelli e gli amici dei modelli. Modelli per modo di dire. Di ragazza immagine ce n’è una sola, gli altri sono tutto tranne che professionisti. Ci sono bibliotecari, avvocati, liberi professionisti, studenti, insegnanti, gente normale, soprattutto normale. Il giorno dell’inaugurazione i modelli sono a proprio agio, girano per la Porta, bicchiere di vino in mano, curiosi e rilassati. Gli amici e i conoscenti, invece, non sanno chi e come guardare. Alcuni si attardano a chiacchierare prima di varcare la Porta. Sembrano imbarazzati. Perché?

Non ero preparata, mi aspettavo meno nudo.

Non mi dà fastidio, no (che evoca molto “io non sono razzista ma” ndr) ma che coraggio!

Gli amici non dovrebbero vedere certe cose.

Ma è un’esposizione porno o di foto?

Io vengo da una famiglia religiosa dove la nudità è tabù, avrei voluto partecipare anch’io, così mi liberavo di questo peso.

Mi sento in imbarazzo di fronte a un corpo nudo. Per me sarebbe imbarazzante farsi fotografare anche da vestita. Per questo piacciono i selfie, si ha il controllo sulla propria immagine.

Un atto di grande coraggio, di grande sincerità verso il mondo. Obbliga anche persone pudiche come me a restare un’ora sulla soglia prima di entrare. Al posto dei modelli sarei in paranoia. Anche solo a guardare queste foto mi sento messa a nudo anch’o.

Secondo me è anormale essere svestiti, per questo il porno è roba da professionisti

Strano commento dato che essere nudi è la situazione naturale per eccellenza, c’entra la libertà e non certo il sesso. Per La Clos è quando le donne cominciarono a vestirsi che iniziò il gioco della seduzione.

La parola più gettonata tra i visitatori è coraggio. «Che coraggio. Far vedere tutto, così, insomma, alla sua età» dice un uomo sui cinquant’anni di fronte al ritratto di una sua coetanea. Non sono i seni attratti dalla forza di gravità a turbare ma lo sguardo. La donna ride, lei non è minimamente imbarazzata. Se abbassasse lo sguardo, almeno, e si coprisse almeno un po’. Invece se la ride.

Foto di Maria Chiara Bonora

La parola chiave dei modelli, invece, è spontaneo. Quando ho ricevuto la mail di Giacomo, la Call for Gelosia, ho accettato subito. Un corpo nudo mi evoca le gite al lago dei tedeschi, tutti con i sederi e le pance all’aria e il cappellino da baseball tra le gambe per non ustionarsi al sole. Un corpo fasciato in una gonna stretta come una guaina, invece, può essere esplosivo come una bomba al Napalm. Quindi accetto, raggiungo il set dal fascino rudimentale e guardo Giacomo costruire la Gelosia con i fiori del mio compleanno. La cornice è pronta e le gerbere sono montate. Mi posiziono, completamente vestita, al centro esatto dell’impalcatura. La macchina e l’occhio sono ad almeno quattro metri da me, una distanza psicologica importante. Provo le prime due pose che mi vengono in mente e mi spoglio con la stessa grazia di un camionista serbo che ha finalmente trovato l’uscita per l’autogrill e se la sta facendo addosso. Alzo un braccio, clic, stop. Nessuna tensione, nessun imbarazzo. L’atmosfera è erotica quanto una riunione del consiglio direttivo della BCE. Il problema, però, viene dopo. «Adesso facciamo un primo piano». Come un primo piano? La macchina è a un palmo dal naso e ora sì che devo venire bene, è la mia faccia. E ora vengono i drammi: se sorrido sembro una velina, se faccio il broncio sembro la brutta copia di una modella eroinomane degli anni ’90, se alzo troppo la faccia viene fuori la mia sbessola (mento alla veneziana). Opto per il mio solito ghigno da Vecchio West. Chissà agli altri modelli com’è andata.

Com’è stata l’esperienza, com’è stato posare senza vestiti addosso?

All’inizio ero un po’ in imbarazzo ma è passato subito. Guarda, io ho partorito da poco, in ospedale ti spogliano e ti trattano come una mucca, quello sì che è imbarazzante. Questo è il mio corpo. Mi sono vergognata più della faccia. È la faccia, non il corpo, a dire quello che sei, la tua storia, le balle che ti girano quel giorno.

E’ stato tutto molto spontaneo, tutto tranquillo.

All’inizio non ero sicura di farlo, sono timida, poi ho accettato ed è andato tutto bene. Ero tranquilla, a mio agio.

E com’è vedersi appesi lì, sotto gli occhi di tutti?

Sai cosa? Quella sono io. E io non mi vedo mai di solito, non mi guardo molto allo specchio.

Quello sono io, io sono così. Sono trasparente.

Se fossimo in una puntata dei Simpsons ci chiederemmo e i bambini, perché nessuno pensa ai bambini? Sabato pomeriggio una bambina di sei anni, peluche di Peppa Pig stretto sul petto, è entrata decisa nella Porta. «Mi ha portato lei» ansima la madre che ha dovuto correrle dietro «ha detto vieni mamma, vieni a vedere, lì sono tutti nudi». Un’altra donna ha portato i bambini a vedere la mostra. Appena entrata ha pensato di aver sbagliato e invece no, «loro non hanno ancora il senso del pudore e dell’imbarazzo». Meglio così, prima che scoprano quelle immagini di sederi luccicanti e senza smagliature, meglio esporli a qualcosa di più autentico.

«Sfido chiunque» dice Giacomo «a trovare qualcosa di erotico, eppure son tutti nudi. Mentre nelle pubblicità suggeriscono il sesso ma il sesso non c’è. Ci sono più commenti a doppio senso in una serata in discoteca, dove siamo tutti vestiti».

Giacomo Brini, che cos’è per te la gelosia?

Io non sono geloso e non ho nessun problema a mettermi a nudo.

Perché, per rappresentare il concetto di gelosia, hai voluto che i modelli posassero nudi?

Perché essere nudi è naturale e essere gelosi no. Cosa avrebbe comunicato il ritratto di un uomo elegante e ben vestito? L’abito è artificiale, il corpo nudo è essenziale. La gelosia è imposta dalla società in cui viviamo, nelle società primitive (e matriarcali ndr) non esisteva questo concetto, è venuto dopo.

Il nudismo è una pratica perfettamente normale in Nord Europa. Essere nudi non è sinonimo di erotismo ma di libertà. Perché, secondo te, il nudo in Italia suscita ancora imbarazzo? C’entra la religione?

Sicuramente la religione gioca un ruolo ma non è l’unico punto. Siamo una società devota al culto della perfezione. Se non sei perfetto vai in crisi. Per questo la gente è complessata. Molte persone che ho contattato per le foto mi hanno detto no, non me la sento, perché ho la pancia, ho la cellulite. E a molti dà fastidio vedere una persona sovrappeso o con il seno cadente. Soprattutto quando il modello naturale e imperfetto guarda lo spettatore dritto negli occhi e ride. Ma come, non si vergogna, non ha dignità? Lo sguardo è importante. Il destinatario della gelosia è emotivo, non ha bisogno di erotizzarsi. La realtà è negli occhi, gli occhi parlano allo spettatore.

La nostra società è diventata così ossessionata dal sesso nell’ultimo secolo? Sembra che venga censurato non tanto il sesso e l’erotismo ma il vero e il genuino, come le foto delle mamme che allattano su facebook.

Siamo una società ad alto tasso d’erotismo. Siamo tutti su youporn ma poi ci scandalizziamo per una foto su facebook con un capezzolo. Dà fastidio che per ogni cosa ci sia bisogno dell’allusione erotica, anche una pubblicità di un dentifricio deve giocare sul doppio senso.

Com’è stata quest’esperienza per te?

Una bellissima esperienza umana. Mi ha dato una grande gratificazione vedere quante persone hanno avuto fiducia in me. Senza secondi fini. Viviamo in una società di secondi fini. Molti modelli ritratti li conoscevo, alcuni li ho visti per la prima e ultima volta sul set. Qualcuno si è portato pure la Gelosia da casa, in altri casi l’abbiamo scelta insieme.

Erano in imbarazzo?

Direi di no, la cosa buffa è che è stato il ritratto del primo piano a mettere in crisi la gente. Un ragazzo che non conoscevo si è spogliato subito senza nessun problema ma al momento del primo piano si è agitato, non so che faccia fare, continuava a dire.

La gente continua ad arrivare. Una coppia di sessant’anni scende le scale a chioccola e sorride.

«È originale. Però non sono convinto. Finché un corpo è giovane e ben fatto va bene, ma così, non so».

«Perché?» chiede la moglie.

«Non è piacevole a vedersi».

«Ma i modelli non sono qui per dar piacere. Non sono esibizionisti» risponde lei. «Siamo troppo abituati a vedere i corpi perfetti della pubblicità».

È difficile sentirsi a proprio agio in questa cultura tossica della bellezza. Finché brutta e grassa sarà la cosa peggiore che si potrà dire di una persona continueremo a perdere tempo e denaro nel tentativo di somigliare ai canoni di bellezza predeterminati dal mercato.

Avere il coraggio di essere veri: è questa la vera bellezza.

Foto di Giacomo Brini

Once you are real you can’t be ugly, except to people who don’t understand
Margery Williams, The Velveteen Rabbit

 

Gelosia di Giacomo Brini
Porta degli Angeli in via Rampari di Belfiore, 1 a Ferrara
Orari: Sab e Dom 10.30-12.30 e 16-19
Mar, merc, giov, ven 16-19
Lun chiuso
Visibile fino al 3 maggio

1 Commento

  1. Matteo scrive:

    Ho avuto il piacere di visitare la mostra del fotografo e artista Brini. Trentasei scintille fotografiche di pura realtà. La nudità raffigurata non è sinonimo di erotismo bensì di smascheramento. L’ arte sta nell’ imperfezione (imperfezione secondo i canoni inventati dalla moda conditi da grandi quantità di Photoshop) e non nell’ idealità cieca e stupida di una perfezione artificiale inventata per proiettare l’ umanità verso “dogmi estetici” inarrivabili o difficilmente mantenibili. Le fotografie di Brini insegnano non solo ad osservare la “gelosia” attraverso corpi nudi ma un metodo per accorgersi che esistiamo al di là delle maschere che indossiamo o che ci fanno indossare (in fondo i vestiti sono sempre abiti di scena). Mentre osservavo l’ interessante mostra alcuni versi hanno iniziato a squillare nella mia mente. Una volta rincasato mi sono gettato sui libri alla ricerca di quella poesia percepita o avvertita durante la visita…e, dopo un’ oretta di disperate ricerche e grande spremitura di meningi, l’ ho trovata! La riporto…

    Da “Tre vecchie poesie” di Umberto Saba,

    3. Foglia

    Io sono come quella foglia – guarda –
    sul nudo ramo, che un prodigio ancora
    tiene attaccata.

    Negami dunque. Non ne sia attristata
    la bella età che a un’ ansia ti colora,
    e per me a slanci infantili s’ attarda.

    Dimmi tu addio, se a me dirlo non riesce.
    Morire è nulla; perderti è difficile.

    Un grazie a Brini e a Sara Macchi.

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