Proseguendo la mia passeggiata immaginando di essere ancora tra il 1939 e il 1942, cerco di ricostruire nella mente l’immagine di Corso Isonzo di come era in quel tempo. Il Palazzo Panfilio rappresentava, e rappresenta tutt’oggi, il vertice Nord di questa bellissima strada. Anomalo nelle sue forme, strano rispetto a ciò che lo circonda, amato e odiato nello stesso tempo. Ma di questo sappiamo ormai tutto. Mi avvio dunque verso Sud.

La Farmacia del Dott. Lodi occupava le prime due vetrine, con tanto di scritta verticale rossa, che di sera mi dava l’idea della festa, forse per l’allegra luce vermiglia e splendente che diffondeva. Di seguito poi c’era l’autorimessa della polizia, che alle volte dal portone spalancato si vedevano uscire i mezzi degli agenti a tutta velocità per andare chissà dove! Nel dopoguerra quella grande autorimessa ospitò l’officina dei fratelli Rizzieri, poi ancora adibita a officina e autorimessa dei fratelli Frigato. Più avanti rivedo con chiarezza quello che era un negozio “chic”: oggi sarebbe Boutique della Sig.ra Bernagozzi, che vendeva golfini e giacche di lana alle signore che desideravano qualcosa per distinguersi.

Sull’angolo di Vicolo Sguazzadori c’era un sarto. Non ricordo come si chiamava, ma era bravissimo. Meridionale, non molto alto, piazzatello, sempre ben vestito, e con una Vespa GS (il cosiddetto vespone) che lui faceva andare sempre a tutto gas per Corso Isonzo! Con lui sopra, la Vespa sembrava ancor più grande di quanto fosse in realtà. A onor del vero, posso dire che la portava molto bene. Sono un appassionato di motori, e se qualcuno manca loro di rispetto, qualcosa mi si rivolta dentro! Più avanti ancora c’era il complesso della Famiglia Fontana/Melica; Osteria, salumeria e forno, tutto insomma, quasi un centro di gravità per la zona! Conoscevo tutti e sento una grande malinconia passando su questo marciapiede. Se chiudo gli occhi, li rivedo ancora, anche se non so più nulla di loro, intenti nel loro lavoro mi guardano sorridendo chiedendomi: Florio, ma cosa fai qui dopo tanto tempo?

Procedendo sempre verso Sud, ora identificabile con l’angolo tra Via Sardi e Belriguardo, rivedo la cantina del sig. Gambetti, che vendeva il vino all’ingrosso. Pur non potendolo fare, lo distribuiva ugualmente anche ai privati, osservando però la precauzione di andare a comprarlo quando era buio, perché le guardie del dazio gli erano sempre addosso. Una sera che ero andato a prendere un fiasco di vino si era raccomandato:

– St’atenti ai du’ gemeli, (perché andavano sempre in due a fare le multe) s’it trova, dig acsì che al vin mi at l’ho regalà, at capì ben?

Manco a dirlo apposta, fatti pochi passi, mi trovo di fronte a due signori con la bicicletta a mano che fermandomi mi intimano severamente di consegnargli il fiasco di vino.

– Dam subit c’la fiasca lì.
– Perché? Ma chi siete voi?
– Nu a sen dò guardi. A sen in burghes, ma a sen dò guardi dal dazi, e po fa poc ciacar, dam chi c’ la fiasca!

Nell’atto di allungare loro il fiasco, a pochi centimetri dalla loro presa lo mollo volutamente per terra. Mistifico il dispiacere per l’accaduto, saluto, perché io sempre saluto, e me ne torno tranquillamente a casa. Il giorno dopo il sig. Gambetti ci fece recapitare due fiaschi di vino buonissimo, migliore di quello che avevo comprato.

Davanti a Gambetti c’era solo la villa, di colore azzurro chiaro, allora molto bella, dell’ing. Di Chiara, faceva angolo con Corso Isonzo. Le case che ora determinano via Belriguardo non esistevano, al loro posto faceva mostra di bellezza un grandissimo prato in lieve declivio, coperto da un’erba verdissima. Una meraviglia! Cammino ancora e arrivo, dove ora sono in vendita ricambi auto e moto di una nota marca. Poco dopo vi è un cancello con la tabella Provincia di Ferrara, Urbanistica. Nell’immediato dopoguerra l’area verde al suo interno era coperta e adibita ad Autorimessa con Officina, il cui titolare, proprietario anche dello stabile che si affaccia in Via Lucchesi, era amico di mio padre e i suoi figli amici miei. Erano impegnati nell’autorimessa, ed io nel tempo libero ero sempre con loro, per andare alla scoperta della Ferrara a noi sconosciuta. Ora che non ci siete più mi sembra ancora di rivedervi in mezzo alle Topolino e alle 1100 con i cofani alzati e le mani sporche di olio!

Alzo lo sguardo: in fronte a me c’è Corso Piave. Attraverso Corso Isonzo, sulle strisce pedonali s’intende, e imbocco la strada. Mi fermo e guardo a sinistra: c’è il cancello dell’Autorimessa Provinciale. Chiudo gli occhi, e di colpo mi ritrovo nel maggio 1945. Il cancello è spalancato, c’è pieno di ragazze con le calzettine bianche corte e i sandali ortopedici di sughero, vestite con abiti larghissimi a fiori, tutte strette a braccetto tra loro che guardano dentro il cancello aperto. Si ode un’orchestra suonare una musica indiavolata mai sentita prima: è il Boogie Woogie. Dentro l’autorimessa è pieno di soldati inglesi e di colore che ballano con altre ragazze, che hanno già imparato ogni mossa. Quelle all’esterno si affollano all’entrata per veder meglio, magari per partecipare pure loro a questa festa, che per me festa non è in fondo. I nostri pochi giovanotti sembrano intimiditi e non hanno il coraggio di lanciarsi nella mischia, tanto che gli inglesi sembrano occupare ogni ragazza disponibile.

Ricordo di essere rimasto molto colpito da quel comportamento esageratamente confidenziale instauratosi tra gli occupanti e le nostre donne. Compivano vere acrobazie guidate dagli esperti ballerini che le facevano roteare a gambe all’aria. Spettacolo assicurato ma sicuro non edificante. Me ne sono tornato a casa abbastanza schifato quel giorno, avevo solo poco più di 13 anni, ma che fastidio vedere le nostre donne buttarsi letteralmente in braccio a quegli ubriaconi  sporchi e puzzolenti! Se ci penso, mi viene il nervoso ancora oggi.

Florio Piva

2 Commenti

  1. COPRISEDILI scrive:

    Bell’articolo, grazie mille.  Elda

  2. Alessandra scrive:

    Buongiorno Florio complimenti per l articolo bellissimo mi sembra di vivere in quei momenti da come l hai descritti…

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