“Senti che bella musica”, commenta un signore a passeggio con la moglie. E’ sabato pomeriggio, in via Carlo Mayr. La “bella musica” passa attraverso le vetrate del pub Rosafante e si infila nella strada. All’interno del locale gli Strike registrano unplugged per Bobos Breakfast Club (vedi video in calce all’articolo). Presentano “Havana–Kingston–Ferrara-New York”, nuovo album di inediti. Il video del primo singolo, “A mio modesto parere”, ha già iniziato a girare.

Il gruppo originario di Mirabello, nato nel 1986, ha alle spalle centinaia di concerti, un curriculum che non finisce più, e che passa dall’aver insegnato agli italiani il significato della parola patchanka, ai live assieme a Manu Chao, alla più recente e divertente sigla di “90′ minuto”. Come mai ha deciso, dopo un lungo periodo di inattività, di tornare in studio? Per saperne qualcosa di più Listone Mag ha approfittato dell’appuntamento in via Carlo Mayr e, prima che venissero accese le telecamere, ha fatto due chiacchiere con Antonio Dondi, cantante carismatico e – per l’occasione – portavoce della band.

Da dov’è nata l’esigenza o la voglia di tornare in sala di registrazione?

Come gruppo venivamo da un periodo non molto positivo, eravamo praticamente sciolti. Determinante è stato, nel luglio 2013, l’invito a partecipare al Joe Strummer Festival, a Bologna. Ci ha portato tantissimo entusiasmo. Abbiamo iniziato a scrivere il giorno che ci siamo ritrovati nel bunker dell’amico Afghan (il bunker è lo studio di registrazione della Soulove Records ndr). Stavamo sbobinando delle vecchie registrazioni del 1995, le abbiamo ascoltate ma non abbiamo trovato niente. In compenso abbiamo cominciato a creare ex novo, è scattata la molla.

L’ultimo vostro disco, “La grande anima. Baraonda”, è del 1992. Com’è stato ritrovarsi per comporre musica assieme dopo così tanti anni?

Sicuramente ci siamo sentiti più liberi, prima eravamo un po’ frenati dall’obbligo di “essere gli Strike”. La scrittura è stata fluida, un pezzo dietro l’altro, arrangiando tutto in modo molto veloce, sempre in studio. Il tutto è durato un annetto, qualcosa meno.

Cosa ha portato la collaborazione con Soulove Records?

Afghan è stato un ottimo produttore, ha fatto da collante. Inoltre ha coinvolto in questo progetto degli artisti straordinari, che lavorano con lui già da qualche anno. Persone di grande spessore come Denis Bovell, chitarrista che ha lavorato con Linton Kwesy Johnson, un sessantenne che fuma solo purini di ganja, elegantissimo. Nuovi talenti come Alfredo Puglia, aka Forelock, ventiquattrenne, astro nascente del reggae italiano ma non solo. Quando vedo ragazzi con il suo talento evitare i reality show sono contento, penso che questo Paese ancora respira.

Foto di Davide Prato

Avete realizzato il disco attraverso Music Raiser, una piattaforma di crowdfunding. Come mai questa scelta? Come è andata quest’esperienza?

Preso atto che il mondo della promozione è cambiato, ci sembrava la formula migliore per restare indipendenti. L’avevamo sperimentata indirettamente questa estate, supportando Borderline, il festival che si è tenuto lo scorso settembre alla Casona di Ponticelli. La scelta è stata azzeccata, la raccolta è andata benissimo. Abbiamo raggiunto la cifra prefissata in meno di un mese, e poi l’abbiamo superata di parecchio. Ci hanno sostenuto circa 200 raiser, e sei sponsor che verranno ringraziati all’interno del doppio cd.

Il primo singolo che avete pubblicato, “A mio modesto parere”, non è esattamente un inno alla gioia. La vivacità della musica si accompagna ad un testo molto duro, senza sconti. Cosa bisogna aspettarsi dal resto dell’album?

Arrivati alla soglia dei 50 anni da parte nostra c’è sicuramente voglia di leggerezza, ma la consapevolezza non si può mettere da parte. Sicuramente stiamo cercando altri colori. Una volta volevamo spingere ed essere spinti dalla gente, adesso l’abbracciamo e vorremmo esserne abbracciati. Credo sia questo di cui oggi la società intera avrebbe bisogno.

Ci sono concerti in vista?

Considerato che il supporto quasi non esiste più, che i dischi vendono molto meno e che anche il mondo dei concerti si sta trasformando, vorremmo sperimentare forme nuove anche nel live. Non ci opponiamo al cambiamento. Vorremmo provare a suonare alla londinese, in acustico, alle sette di sera. Fare un tour nei locali, nei pub. Così chi ha lavorato tutto il giorno ed è stanco può tornarsene a casa a un’ora decente. Chi invece ha energia, soldi e la nottata da perdere resta in giro. E’ una scelta fatta per raggiungere tutti.

Prima citavi Borderline, uno dei primi festival in Italia ad aver invitato esclusivamente artisti non iscritti alla Siae. Cosa ne pensate di questa scelta?

Io mi sono reiscritto dopo vent’anni, perché sembrava dovessi realizzare la colonna sonora per un film, della quale avrei voluto avere i diritti. Il progetto non è mai andato in porto. La Siae è una questione spinosa, per noi ma anche per tanti amici. È un limite.

Il festival era stato organizzato da vari partner, tra cui Radiostrike, la webradio nata all’interno del centro sociale La Resistenza grazie al vostro supporto. Che relazione c’è oggi tra voi e quel progetto che porta, in parte, il vostro nome?

Il nostro contributo all’inizio è stato importante, poi ci siamo fatti da parte. La radio è gestita da ragazzi di vent’anni, non avremmo voluto inquinare la purezza della loro inesperienza. Ultimamente l’età media di chi frequenta il centro si è ulteriormente abbassata, per me questo è un orgoglio, la strada è giusta.

Chiudiamo l’intervista commentando la rassegna stampa ferrarese? Tre temi di attualità. Primo: le numerose e discusse dichiarazioni del vescovo Negri, pubblicate addirittura dal Washington Post.

Ben vengano I Monsignor Negri! Che almeno scoprono le carte in tavola e i fedeli si rendono conto di chi hanno davanti.

Mercato sì, mercato no, polemica sull’utilizzo del listone.

Il mercato è il simbolo di come chi deve risolvere i reali problemi di questo territorio preferisca spostare l’attenzione dei cittadini su delle cagate. Abbiamo la Carife sfasciata, nessuno ha ancora dato una giustificazione alla comparsa del Palazzo degli Specchi, alla Coopcostruttori in tribunale il pm ha appena chiesto 120 anni di carcere. Ma per tutti il problema è appendere o no le mutande davanti al duomo.

Prostizione, c’è chi vorrebbe importare a Ferrara la “zona rossa”.

La proposta è veramente gretta e ipocrita. Spero personalmente che le prostitute vadano a battere in centro, vicino al mercato.

1 Commento

  1. Blizzard scrive:

    Bello al Rosafante in acustico!!

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