Al Boldini, a vedere Perfidia, di Bonifacio Angius, mercoledì scorso. Film attuale, reale, che fa domande importanti sulla vita. Scomodo, anche troppo, coraggioso. Peccato che c’era davvero poca gente, in sala. Poca pubblicità, forse, oppure sarà l’eterno ostacolo del film d’essai: il non riuscire a raggiungere molti e subito. Film che davvero vale la pena, che si capisce come a Locarno l’abbiano premiato, giuria dei giovani critici. Nella landa desolata di provincia, Sassari ma potrebbe essere una qualsiasi altra, lo spaesamento di una generazione apatica e senza desiderio, quella dei giovani adulti di oggi, senza un lavoro nè un obiettivo, senza quasi un interesse verso il mondo, o verso se stessi ancora prima, ma solo il pensiero di passare la giornata indenni, non protagonisti, parte di un contesto che li ha voluti così, li ha cresciuti figli dipendenti, con padri assenti, attenti a portare a casa i soldi, e il resto alle madri. Ma se la madre è psicotica, il figlio poi? E se la madre muore, cosa succede? E quando il figlio non è particolarmente sveglio? Che a 35 anni passa la maggior parte della giornata al bar? Padri che non conoscono i figli, ma che li amano a prescindere, e vogliono dargli, consapevoli che non potranno esserci per sempre a mantenerli, una possibilità di futuro. Padri che sono vincitori perchè amano, più di se stessi e nonostante se stessi, quei figli che non conoscono ma che vogliono che sopravvivano, dignitosamente, in un mondo in cambiamento. Cosa ti piace? Chiede il padre al figlio. Angelino dice Non so. In questo Non so c’è tutto un mondo, il presente, il futuro, Io e gli Altri, il cosa voglio fare e con cosa ho a che fare. Angelino che non ha coscienza delle conseguenze, dei sentimenti, vive tutto come se fosse di qualcun’altro, come un pesce nella corrente. Angelino che all’inizio del film è la voce del suo ricordo di un funerale di un suo amico di scuola, morto sotto un tram, nel suo sguardo in chiesa verso l’alto. Vede il diavolo, e vede Gesù. Il diavolo guarda male Gesù, che guarda male il ragazzo. Come se il diavolo dicesse con gli occhi a Gesù che è roba sua, è lui che ha creato l’uomo, e la responsabilità del dolore in terra è sua, ma Gesù guarda in basso, e guarda l’uomo, sguardo che vuol dire colpa, responsabilità personale. Io non c’entro, sembra dire Gesù, sei tu, uomo, il responsabile delle tue azioni. Sull’orlo dell’abisso della fine, aleggia forse la pietas dell’Accabadora, leggenda sarda, in un rosario di preghiere, atto di dolore, padre nostro. Un eterno riposo. Ma un rosario di qualcun’altro, che scivola nell’aria solo, è di qualcun’altro la voce che prega. Chissà se figlio ascolta, o se pensa ad una vita ingiusta, inutile, che non può più essere d’aiuto, e che chiede responsabilità. Angelino guarda in giù, ed è nel nome di un Padre.

È l’attore co-protagonista, il bravissimo Mario Olivieri, che a fine film ci incontra, come mai così pochi, si chiede anche lui. Tra questi pochi, tanti sardi. Che sono venuti a vedere un pezzo della loro terra, quei posti che dicono di aver riconosciuto così bene nel film, la loro Sardegna. Non quella luminosa e ricca da cartolina dell’estate, ma la Sardegna di chi la abita tutto l’anno, che è solitudine e spazi arresi, lunghe file di lampioni e strade veloci, cielo grigio, stinto, giorni tutti uguali. E’ la struggente e dolorosa altezza delle scogliere sul mare, onde che si infrangono sul muro di roccia, è aria di piombo. Luce fredda e uniforme, opaca, quella che avvolge gli spazi e la vita delle persone, dice Olivieri, voluta così perchè non solo esterna, ma perchè è anche gli occhi e le azioni di chi vive nell’abitudine di mancanza di stimoli, di orizzonti. E’ inverno dell’anima. Il titolo scelto, Perfidia, chiarisce l’attore, non è quella dei personaggi, che non sono nè buoni nè cattivi, loro si lasciano scivolare la vita addosso, ma è la perfidia nella società e nelle cose, nel contesto. Film che tratta temi universali, prosegue, che parla del rapporto tra padri e figli, nella distanza generazionale che è comunicativa, di valori, di impegno. Sono molto soddisfatti, continua, perchè stati riconosciuti in un festival così importante, quello di Locarno, soprattutto per un film a basso budget, ora in programmazione a Londra e in altre capitali europee. Poi racconta il successo di critica e pubblico. Pur rimanendo un film drammatico, è capace anche di momenti di sorriso. Acrobazie dell’intelligenza: queste sì che sono soddisfazioni. Nel nome della bravura.

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.