“The dust has come to stay. You may stay or pass on through or whatever.”

Finalmente mercoledì ho avuto una nuova occasione per guidare verso quella Parigi lontana. Da due settimane aspettavo di rivedere quelle immagini nel buio e nel silenzio di una sala. Ci sarebbe stato da vedere Dino Fumaretto al barazzo in via del Pratello o la proiezione di “Senza Lucio” in Cineteca e invece, son ritornato nel deserto texano.

Nella mente avevo scolpita ogni singola fottuta nota della cosmica colonna sonora di Ry Cooder. L’altra volta che l’avevo visto, mi avevano regalato uno scatolone di videocassette con il dorso rosso dell’Espresso. Mi ricordo, la prima cassetta che avevo estratto e spolverato con il palmo della mano, aveva sulla copertina questa foto incredibile di Nastassja Kinski girata di spalle, sì, la figlia di Klaus. Maglioncino morbido fucsia shocking, scollatura a v sulla schiena e occhi come lune incastonate nel biondo a fissarti dal deserto dello sfondo.
In coda al cinema Apollo, poco davanti a me, ci sono tre coglionazzi­ferraresi­epici, so già per quale film stanno aspettando solo guardandoli scimmiottare rancide battute di Tarantino ricordate male e rivolte ai ragazzi che li precedono nella fila.
Sorvoliamo.

Nella terza sala sta per essere proiettato uno dei film più belli della storia del cinema, girato nell’ottantaquattro da Wenders, regista legato a doppio filo a questa Ferrara, lembo di deserto emiliano.
Nel rivederlo, mi rendo conto che potrebbe far parte di un filone preciso questa pellicola: quello dei fratelli che attraversano gli spazi indeterminati e interminabili del continente americano per raggiungersi, con quei tempi languidi e diluitissimi della calma che possono essere accompagnati solamente da onde sonore a dissolvenza lunga.

Anche a me è capitato di trovarmi di fronte agli occhi di mia sorella all’improvviso, in mezzo al nulla. Dopo un lungo periodo di mutismo, silenzio assoluto e luoghi irriconoscibili agli affetti: BAM! te le trovi li davanti, con quelle pupille familiari che ti fissano dall’altro lato di Liverpool Street, o di una strada di Riga, o di una vecchia ferrovia texana. E sono li e basta, senza chiedervi immediatamente il perché delle cose. Non credo vi sarebbe stato luogo migliore al mondo per questo incontro di quell’arido deserto ai confini con il Messico.

Ci troviamo di fronte ad una struttura narrativa lineare che si srotola piano piano, mostrando per gradi ogni singolo sviluppo.
Ad esempio il vuoto in cui si piomba all’improvviso nella vita, per via di un unico episodio inaspettato, che muta tutto. Funziona così: di colpo, non si ha più la forza di raccontare, sottratta com’è dal sequestro emozionale. Fino a quando un giorno non si raggiunge una protezione sufficiente dietro al vetro giusto, filtrati dalla fioca luce che ci mostra e ci nasconde. E’ una storia di padri, persi, provvisori e ritrovati, “i padri tuoi… si vestono più o meno come voi, sono padri colorati” e si riflettono specularmente a voi dall’altra parte di una strada californiana mentre saltellano e fanno smorfie­con­cappello che ti ricordano Gaber.

E’ una storia di colori sparatissimi, rosso, blu e deserto, principalmente.
Come rosso e blu sono i colori della targa di Paris, Texas usati anche nelle grafiche di locandina. Come rosso e blu a luce diffusa, ancora dopo trentanni, ti colpiscono direttamente con riverbero emozionale come fossero due facce della stessa medaglia, l’amore e il dolore. E in questa versione restaurata digitalmente ancor di più.
Per via dell’omaggio a Wenders della 65esima Berlinale e dei relativi restauri alle sue pellicole è stata fatta quest’unica proiezione unificata in diverse sale d’Italia. Come il mercoledì precedente, quando era stato riproiettato l’altro capolavoro assoluto: Il cielo sopra Berlino, con il tenente Colombo che si sfrega le mani ed insegna a farlo anche agli altri angeli e Nick Cave che non riesce a trattenere le parole sulla ragaz​za ​della quale non vi voleva parlare prima dell’attacco di From Her to Eternity.

Se non vi ci siete mai imbattuti prima, dovete assolutamente fermare per un attimo la vostra vita e guardarli/ascoltarli per bene. A Ferrara è stato possibile fare questa cosa, se non altro e qui trovate tutta la s​ceneggiatura originale​ di “Paris, Texas” per chi ha voglia di leggere.
La sua fotografia è letteralmente immensa, te ne rimane un’immagine da cartolina impressa al contrario nel nervo ottico, vibrante e impolverata da quel pezzo di deserto texano comprato a distanza, come un punto di origine nell’orizzonte irraggiungibile. Fino all’ultimo, quando Ry Cooder con una sferzata finale di slide sulla chitarra stacca in due parti nette, esatte e millimetriche il tuo cuore e nel riverbero, in dissolvenza, ti lascia attonito, al buio, incapace di sentire altro.

This is it? This is Paris? Looks just like Texas to me.

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