I Bank sono tre. Tre è il numero perfetto. Il tre nella cabala è il gatto. E Domenico Loparco ha suonato il gatto nel basso di Doraemon, cioè, ha suonato il basso nel gatto di Doraemon. Certo, ha collaborato con Billy Cobham, John Patitucci, Enrico Rava, The Coors, Ivan Graziani, Lucio Dalla, Vasco Rossi, Paolo Conte, Giorgio Conte, Gianni Morandi, Ron. Ma è il basso in Macho Man dei Village People e nelle sigle di Doraemon e Goldrake, non so se mi spiego.

Un trio è qualcosa di semplice e sobrio.  E sobrietà sta per efficienza. Domenico Loparco, occhi blu acciaio, basso di altissimo livello, ha un curriculum quasi imbarazzante. Gli altri non sono proprio da meno. Francesco Brini, alla batteria, è il produttore di The Bank e un dj house sotto gli pseudonimi Frank Agrario & Pinktronix, le sue collaborazioni con Pete Doherty, Robert Smith, Lee Coombs e Jeff Jones parlano da sole. Emanuele Zullo, alla chitarra elettrica, insegnante di chitarra di Vasco Brondi, è il ferrarese del gruppo, ha lavorato nelle migliori scuole del mondo, tra cui la L A Music Academy e suonato nella band irlandese “Eve Of Mind” e con il bluesman Jeff Jones.

Insomma, percentuale di banalità pari a zero. Che di questi tempi non è poco. Ma saranno anche simpatici? I tre arrivano al Grisù dopo essersi persi nel labirinto post-industriale della caserma. Non sono a mani vuote. Sottobraccio, CD e vinili per tutti. L’ultimo album profuma di Berlino, lo annuso a distanza. Lì dentro c’è la Deutsche Vita, in tracce come “Prenzlauer Berg am Sonntag” e “Berliner”.

“Sì, l’abbiamo registrato a Berlino, in uno studio di registrazione a Wedding” dice Emanuele. “Siamo entrati in studio senza nessun pezzo pronto, della serie vediamo che succede”.

Europa Center, il secondo album, è groove, disco, funk e afro. In copertina un’Europa a forma di teschio sullo sfondo di un muro di sangue in liquefazione. Impossibile non leggerlo in chiave politica.

Foto di Giacomo Brini

Che genere di musica è la vostra? Rock it parla di “stile africano nella musica italiana

Domenico: Ognuno di noi viene da scuole diverse. Io vengo da un mondo jazz e funk rock, Emanuele forse è più blues, rock e funk, Francesco è un fantastico dj house e disco.

Che cos’è l’afrobeat?

Francesco: L’Afro-beat funk è la versione africana del funk, con temi e sonorità tutte africane. Nasce in Nigeria negli anni ’70. Per me Tony Allen, padre dell’Afro-beat negli anni ’70-’80, è stato una rivelazione.

Emanuele: Il nostro primo album si chiama Upperclass A Lagos, in Nigeria, le Band africane suonavano negli hotel per i ricchi, gli upperclass appunto. Andava di moda la disco music in versione africana.

Come è nato il nome The Bank?

Emanuele: Ci sono due versioni della storia. Nella prima eravamo in California, in tournée con Jeff Jones, nel 2011. Un giorno una tempesta di neve di dimensioni bibliche ci ha bloccati in casa per tre giorni. Li abbiamo passati a tavola con amici americani e tra una birra e una vodka abbiamo lanciato tutti i nomi in inglese che conoscevamo. Arrivati a The Bank i nostri amici made in usa hanno alzato il pollice.

Francesco: Nella seconda versione della storia c’entra la politica finanziaria dei nostri tempi. Europe Center è quello che è diventato ora Berlino.

Ma torniamo a Ferrara. Emanuele l’ha lasciata la prima volta a 19 anni. 

Emanuele: Volevo studiare musica sul serio.  Finito ragioneria, a 19 anni, parto insieme a un amico ferrarese per studiare alla Scuola di Musica di Roma, un’esperienza unica. Sono tornato a Ferrara per il servizio civile. Ma volevo continuare a studiare e all’epoca a Ferrara non c’era una scuola abbastanza buona. Così sono arrivato alla Music Academy di Bologna. L’ambiente era stimolante, sono rimasto, da allievo sono diventato insegnante. Un giorno conosco Domenico che mi dice “Sto facendo un disco, vieni a suonare?”. E io rispondo: “Vengo senza neanche sapere cosa devo fare”. E siamo finiti nello studio di registrazione di Francesco, era il 2004.

Da lì è nato il primo disco, dall’ottica commerciale pari a zero. 

Domenico: “Poi abbiamo cambiato strategia: più groove e meno assoli”.

I The Bank però non erano ancora nati. Galeotta fu l’America. O meglio, la California. Le tournée in California, grazie ai contatti di Francesco, che ha vissuto un anno ad Atlanta, sono un tour nei locali, nei festival estivi, nei ristoranti, nei matrimoni della West Coast. E l’America ricambia. Jeff Jones presta la sua voce blues in Zombie Nation: https://www.youtube.com/watch?v=8ntgHA3r93c, il video è un collage del film della Notte dei Morti Viventi di Romero. Al ritorno in Italia li aspetta Babylon Radio 2, la puntata è andata in onda il 16 dicembre 2014.

Foto di Giacomo Brini

Un musicista ferrarese di talento deve per forza spostarsi a Bologna per suonare?

Emanuele: Guarda, io a 19 anni  (si parla di fine ’90-2000) mi ero rotto. E sai perché? Qui a Ferrara c’è tanta gente che suona, ci sono anche dei veri talenti. Tanta voglia di fare ma poca concretezza, tutti a dire bellobello ma poi se si deve partire per delle date ah no, io non posso. Io volevo fare della musica un lavoro. E qui a Ferrara non potevo condividerlo con nessuno. Non trovavo persone che volessero portare a termine un progetto musicale serio.

E’ innegabile che a Ferrara i posti del centro storico siano sempre quelli. Conosciamo tutti l’alternativa  Zuni/Bolognesi con qualche strappo alla Resistenza.

Emanuele: Dagli anni ’80 a oggi che scene musicali sono nate a Ferrara? Prima c’erano i Natural. Al Renfe avevo visto perfino Subsonica, Africa Unite. Al centro sociale, il Dazdramir, (ora Ferrara Off ndr), i 99 Posse!

Oggi però è un altro giorno: Zuni ha telefonato per confermare la data del 1 marzo. E’ il terzo concerto a Ferrara in tre anni.

A Ferrara manca la scintilla? Non si direbbe a vedere progetti come Ferrara Sotto le Stelle. 

Emanuele: Certo, non mi piace il mantra dei ferraresi quinonc’èmaiuncazz. Non è vero. Quando sono in California mi tengo aggiornato, leggo gli eventi, vediamo cosa succede a casa, penso. Sono fiero di essere ferrarese. Però, se sei un giovane musicista, guardi a Bologna. E oltre.

Francesco: Il problema è che i giovani pensano che funzioni ancora come una volta. Pensano di registrare un demo e di mandarlo a un’etichetta. Non funziona più così. La musica è cambiata, prima forse chi ti produceva lo trovavi. Invece ora il lavoro è calato, gli studi costano. Chi vuole fare musica oggi pensa ancora che esista quel mondo dove il manager ti scopre a un concerto ed è fatta.

Cosa dovrebbero fare le nuove band?

Francesco: Autoprodursi sul web. Stare 24 ore su 24 sul web a promuovere l’album.

Vero è che Ferrara attira tante eccellenze anche non ferraresi. Perché la gente viene a Ferrara?

Francesco: Te lo dico io. Perché si vive bene, l’affitto costa poco, l’architettura è interessante, si gira tutta in bici. E nelle osterie vengono più idee che a una serata al Covo.

Emanuele: Però Bologna è la città dalle mille band. A Ferrara pensi: tanto qui non ce la faccio.

Anche Bologna non è più la stessa, si sente dire in giro.

Francesco: Bologna è piena di eventi, quasi come negli anni ’80. Ma ci sono centinaia di cose che non mi piacciono.

Domenico mi fissa serio e dice: “Vuoi sapere cosa ha rovinato Bologna, cosa ha rovinato la scena musicale?” Io sposto il peso da una gamba all’altra e aspetto la risposta. Domenica suona da trent’anni e qualcosa l’avrà pur notato. “L’aperitivo. E’ cambiato il modo di vivere la musica. Ora i locali preferiscono gli aperitivi, hanno abolito musica dal vivo, io un tempo suonavo tantissimo nei locali, anche a Ferrara”.

La chiacchierata è finita ma non il nostro pomeriggio. Ora è il tempo di saltare su e giù da banchi divorati dalla ruggine, di posare con i dischi alla Minnie e di un bel selfie finale, quello che una volta si chiamava autoscatto. Troppo poco cool.

Siete curiosi? Non perdete i The Bank il 1 marzo da Zuni!

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