testo e foto di Sandro Chiozzi

La Pietas si paga, Hic et Nunc.

Oasi: “Luogo o ambiente che presenta caratteristiche migliori, più gradevoli rispetto a quelli che lo circondano o gli si possono paragonare”

Questa almeno è una delle definizioni del dizionario Garzanti.

La strada per arrivare all’Oasi Felina di Porto Garibaldi è deserta, difficile da trovare se non sei della zona, ed è costellata da costruzioni tirate su con mezzi di fortuna, qualche foglio di prefabbricato e porte fatte di assi e chiuse con un mattone, onduline in pastica sui tetti. Ma di strada c’è solo quella e cento metri prima di arrenderti all’evidenza di aver sbagliato strada ti accorgi che una di quelle costruzioni abbonda di gatti.

La prima volta che vedi l’Oasi Felina hai la sensazione di essere stato catapultato nel Kosovo del ‘95.
La terra vomita pozzanghere di vari colori, perché la zona una volta era una discarica abusiva e sa Dio cosa c’è sepolto. O lo sa il Diavolo. Oggi poi la scena è ancora differente, e differente sta a significare “peggiore”.


La strada per arrivare è un torrente di venti centimetri d’acqua sotto un cielo livido come la faccia di un pugile, in alcuni punti non capisci più dove finisce la strada e dove inizia la valle. La pioggia e la Bora gonfiano le acque, che esondano nella valle, tracimano e invadono la zona. Case e baracche comprese. Molte galline di proprietà di due ragazzi del posto sono morte ieri, quando la situazione era così critica che un paio di stivali di gomma non bastavano per arrivare.

Ma torniamo all’Oasi. L’Oasi è sostanzialmente un’enorme colonia felina, che conta circa un centinaio gatti. Un centinaio meno uno, trovato annegato oggi pomeriggio nel cortile dell’Oasi. Forse non ha fatto in tempo a tornare, forse l’acqua freddissima di febbraio ha avuto pietà di lui addormentandolo prima, una piccola vittoria in una piccola vita che ha sopportato mille piccole sofferenze. Il gatto si chiamava Tuffo, perché salvato da un fiume, tempo fa. L’ironia colpisce dove sa che viene il livido.

E’ importante questa definizione di “colonia felina”, perché i gatti delle colonie feline tecnicamente sono di proprietà del Sindaco e del Comune, che se ne deve prendere cura.

E’ stata costruita inizialmente secondo la normativa del posto: la tiri su e basta, i permessi semmai li chiederai un giorno, quando e se ne avrai bisogno. Così infatti è stato fatto, ed è stata fondata l’associazione A-mici del Delta, che ha un contratto di comodato d’uso e che quindi in quella zona si può fregiare dell’insolito titolo di “non abusivi”.

Anzi “aveva” sarebbe più corretto, perché non gli è stato rinnovato. C’è da dire che il Sindaco di Comacchio è insediato da un anno e mezzo mentre il contratto di comodato d’uso è stato stipulato quattro anni fa, ed essendo il Sindaco piuttosto giovane c’è da credere che si adopererà quanto prima a cercare una soluzione.


Lara, la volontaria che oggi ha passato la giornata insieme ai volontari di ENPA a buttare fuori l’acqua dalle baracche coibentate dice: “Si, ogni anno capita di allagarsi, la situazione non è nuova, è già successa tante volte, ma non è mai stato come quest’anno. Ieri tutta la roba dentro l’Oasi galleggiava.”

Quindi il problema è strutturale, ogni anno la situazione si ripete, e che l’acqua sia due dita o mezzo metro è un dettaglio in mano alla Rosa dei Venti. Fuori dal cancello una catasta di oggetti da buttare via a causa dell’acqua: sacchi di cibo, ghiaia, mobilio marcito, tessuti, cartoni con il loro contenuto. Le vittime silenziose e imbarcate di quei 30 centimetri d’acqua che ieri è riuscita ad entrare nella struttura ora stanno lì, una fossa comune di vecchi oggetti che sarebbero stati utili.

Gli ospiti di questa colonia sono gatti abbandonati, incidentati, malati, maltrattati. Sono gli ultimi. Se come c’è una gerarchia nella sfiga umana c’è anche in quella animale beh, signori, qui siamo in odore di medaglia.
“Al momento ci sono prospettive di miglioramento o di spostamento?” Chiedo a Lara. La risposta arriva secca: “No. Se anche facessero un bando per una struttura che comunque non c’è, si giocherebbe al ribasso, come sempre”.

C’è da considerare che il Comune si accolla le spese entro i 12.500 euro annui per 400 gatti (30 euro l’anno l’uno), il resto i volontari lo devono mettere a volte di tasca propria e prima dei rimborsi.

Lara è una guerriera sorridente sui sessanta, insieme ad altre persone gestisce tutto, dai mercatini con cui si autosostentano ai rapporti con l’amministrazione. Di suo per questi animali non ci ha messo solo l’impegno, ma anche quello che economicamente poteva fare.

Perché la Pietas si paga, Hic et Nunc.

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