La parabola del giocatore, vittima della dipendenza da sostanze immateriali

Il peso di una moneta di un euro è di oltre sette grammi. Quello di un bene come la libertà è più complesso da quantificare. Eppure alcune storie di cronaca ci raccontano che il lasciapassare per la cessione della propria libertà a favore di una dipendenza, si nutra di un gesto semplice, come appunto quello di puntare una moneta. Fra le iniziative per combattere il fenomeno delle ludopatie, è nata l’associazione nazionale ‘Giocatori Anonimi’ (www.giocatorianonimi.org). Attualmente in Emilia Romagna sono nove i gruppi presenti. Manca ancora Ferrara, dove comunque è attiva l’associazione ‘Fuoridalgioco’ (www.fuoridalgioco.org). Caratteristica degli incontri periodici organizzati da ‘Giocatori Anonimi’ è la metodologia dei dodici passi. Un percorso di recupero, cioè, che si muove per tappe.

E a proposito di dipendenza dal gioco, lo scorso 17 dicembre, a Bologna, ha avuto luogo la premiazione del concorso ‘Con l’azzardo non si vince… Scommetti sulla tua creatività!’, rivolto a giovani videomaker dell’Emilia Romagna, e promosso da ‘Associati con chiarezza’. Al secondo posto si è classificato ‘All in’, un documentario realizzato dalla psicologa Chiara Pracucci e dalla giornalista Annalisa Bertasi. Un estratto (visibile online sopra l’articolo) di una decina di minuti di un lavoro più lungo che verrà presentato all’inizio del prossimo anno. Ne abbiamo parlato con Annalisa.

Come è nata l’idea di realizzare questo progetto?

«Il progetto è nato nel 2012, quando ho incontrato la mia futura socia Chiara Pracucci. Lei, che è psicologa, aveva scritto nel 2010 il libro ‘All in’. Un piccolo saggio per la casa editrice Alimat, che racconta il gioco d’azzardo patologico. Ci siamo conosciute tramite il suo libro e poi è nata un’amicizia. Insieme abbiamo pensato di realizzare un progetto audiovisivo per dare maggiore pregnanza all’argomento».

In quanto tempo e dove è stato realizzato?

«Tre anni. È partito nel gennaio del 2012 e si concluderà nel gennaio del 2015. Ci siamo mosse in Emilia Romagna, da Rimini a Reggio Emilia a Forlì, e siamo entrate in contatto con psicologi, psicoterapeuti, operatori del SerT, gruppi di auto-aiuto ed ex giocatori. Da questo punto di vista l’Emilia Romagna rappresenta una regione all’avanguardia in materia di dipendenze da sostanze immateriali».

Quale è la durata del documentario e in che maniera avete deciso di articolarlo?

«Il documentario integrale dura circa quaranta minuti. La durata dell’estratto per il concorso ‘Con l’azzardo non si vince… Scommetti sulla tua creatività’, invece, è di dieci minuti. Nei quaranta minuti del documentario si ripercorrono le dinamiche della patologia. C’è l’origine della dipendenza, c’è la caduta e c’è la risalita del giocatore. Una parabola che presenta tratti comuni con l’esperienza di chi è dipendente da droghe».

Che cosa ti ha colpito delle testimonianze raccolte?

«Mi ha colpito l’esperienza di un giocatore anonimo, in una condizione di comorbilità con la dipendenza da eroina. E l’analogia fra la crisi di astinenza del giocatore e quella del tossicodipendente. Il paradosso è che lo Stato ti dice di giocare, ma non ti fornisce gli strumenti che invece, per esempio, dà al tabagista. Il costo è alto per il Sistema sanitario nazionale, e gli psicologi del SerT sono costretti a barcamenarsi».

Fatta salva la loro riservatezza, è stato complesso vincere la diffidenza degli ex giocatori?

«Io sono stata facilitata dal lavoro della mia socia. Le persone che abbiamo contattato ci hanno aperto le loro porte. Peraltro il dodicesimo passo previsto da ‘Giocatori anonimi’ è la divulgazione».

Quale valore danno oggi gli ex giocatori alla parola ‘libertà’?

«Quando i giocatori entrano nella patologia della dipendenza, perdono la loro libertà soggiacendo a regole imposte da altri. Il percorso di recupero prevede la riconquista di un’autonomia di giudizio. La libertà – ti raccontano – è allora la vita di tutti i giorni. Riacquistare il proprio tempo. Perfino investire i propri soldi in vestiti».

Dalle testimonianze emerge un legame, suggerito o evidenziato, fra gioco e droga. C’è un confine netto fra questi due mondi?

«In un certo senso, sono la stessa cosa. Come se l’essere umano avesse la possibilità di scegliere, fra le tante, di quale malattia ammalarsi».

A un certo punto del documentario, un ex giocatore afferma che la speranza è una droga potentissima. Con quale chiave leggi questa affermazione?

«C’è una duplice chiave. Da un lato, il messaggio è che da questa patologia si può uscire. Per colui che la pronuncia è esemplificativa: io sostituisco la mia dipendenza con la speranza. C’è la luce, ma il buio è dietro l’angolo».

Ci sono argomenti sui quali gli operatori del Servizio dipendenze patologiche fanno leva per aiutare gli ex giocatori a non ritornare a essere vittime del gioco?

«Il problema di ogni giocatore viene alla luce quando non ha più soldi. Dopo, sta alla singola persona tentare di risalire secondo un percorso a sé stante. C’è un senso di colpa familiare. C’è una presa di coscienza della propria vita. C’è anche chi decide di andare alla riunioni di auto-aiuto, pur continuando a giocare».

E quali strumenti usano gli stessi ex giocatori per provare ad archiviare l’esperienza della dipendenza?

«È sempre un percorso a sé stante. Tendenzialmente fanno leva sui propri affetti. Peraltro, c’è l’associazione ‘Gam-anon’ (www.gamanonitalia.org), che si occupa di aiutare i familiari e le persone coinvolte dal problema di dipendenza di un giocatore compulsivo».

Ultima domanda. Quando e dove sarà possibile assistere al documentario integrale?

«Il prossimo appuntamento, aperto a tutti, è previsto a Ravenna, nel mese di febbraio».

Gioco d'azzardo

1 Commento

  1. vinny scrive:

    Articolo interessante. Complimenti al Magazine che spazia da un argomento all’altro offrendo sempre spunti di riflessione.

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