Nella soffusa penombra dello studio, un nudo corpo femminile deve ancora venire pienamente alla luce, risplendere nella pienezza delle sue forme. Ai suoi piedi, un tappeto di scaglie di legno sembrano petali. Le asperità delle lignee curve aspettano d’esser levigate, accarezzate da maschi scalpelli, a loro volta guidati da forti mani femminili.

Vigore e delicatezza, attesa che pare perpetua, reminiscenze scolpite eppur sempre in divenire. Seni rotondi e delicati, gambe incrociate, ventre giovane.

Siamo nel Carmelino, piccolo tempio del fare artistico, luogo consacrato ad arcaici odori, a feticci e impressioni non più attuali. Studio di scultura, laboratorio e spazio espositivo di Flavia Franceschini, personalità imprescindibile nella nostra città, donna dalla versatile genialità, dall’allegria spontanea e contagiosa, estremamente loquace ma con angoli di introversione poco smussati.

Nel cuore antico e nascosto di Ferrara, in una delle tante buie giornate invernali, ci addentriamo in queste piccole stanze oscure, illuminate da luci strane e fredde. Di fronte all’entrata principale, il retro di un teatrino accoglie nel suo grembo una delle creazioni di Flavia, una delle sue fanciulle, forse una ninfa o una sirena, oltre ad alcune marionette e a un volto di uomo di gesso celato nell’ombra. A lato, un’altra sensuale scultura distesa sul fianco destro, la mano sinistra sulla coscia, l’altra dietro la nuca.

Una luce proietta le immagini di To Lindsay, the greatest genius of pure enchantment, performance nata più di un anno fa per la mostra Mozzafiato, dedicata al tema della violenza. Il video e le foto sono ispirate allo spettacolo Flowers di Lindsay Kemp, registrato al Teatro Parioli di Roma nel 1982.

Foto di Pier Paolo Giacomoni

Due manichini completano l’atmosfera di inquietudine: un uomo, giacca e cappello nero, papillon e camicia bianca, come il viso dipinto, come i guanti. La verosimiglianza con un corpo di carne quasi fa tremare, il suo sguardo è diretto verso l’uscio, accoglie gli ospiti. Ha negli occhi come un cenno di beffa, di brama curiosa. L’altro manichino, una donna, è occultato quasi integralmente da un velo bianco, accompagnato da un ventaglio corvino.

Entrando nella sala più grande, lo studio vero e proprio, si è accolti immediatamente da un’immagine del padre di Flavia, Giorgio, deceduto tre anni fa. Avvocato, politico e partigiano, nella fotografia è bambino tra le braccia della madre.

Qui s’affastellano oggetti tra i più diversi, volti in bianco e nero. Alcune luci provengono da uno specchio con tavolino, dove profumi, fragranze e boccette di vetro richiamano alla mente il camerino di un’attrice. L’angolo lasciato in penombra rivela un pinocchio di legno e un volto di Cristo trovato tra i rifiuti lungo una strada di montagna.

Su una sedia due bambole bambine, la più grande abbraccia l’altra, i loro visi sono giocosi e misteriosi. E poi ancora: un manichino di donna con lunghe collane, abito purpureo, sulla testa uno scialle nero, e un mezzo busto dorato con collana di perle, piume di struzzo, il corpo fiero e lo sguardo chinato.

A completare questo finto salotto, che riluce nella semioscurità, un vecchio divano, un tavolino con un vecchio telefono, portacenere e bottiglia, e tante foto ritrovate nei mercatini. Qui tutto è magia e teatralità, senza finzione e senza stucchevoli decori.

Arriviamo quindi all’angolo della creazione, dove la pesantezza della materia e degli arnesi contrasta con le impalpabili figure appese in alto sulle pareti, perlopiù appartenenti alla personale Diafane presenze del 2012. Sul grande tavolo Flavia intaglia, scolpisce, cesella, con una costellazione di strumenti appesi alla parete, sgorbie e martelli in serie.

Spuntano in fondo le bocche del forno, attivo circa un secolo fa. Ora è vuoto, freddo, spento. Tra cunicoli, aperture, pertugi oscuri e misteriosi, continua l’eterno dialogo dell’uomo con la fatica della creazione. All’entrata di una delle bocche, Flavia vi ha posto due statuine di legno. Nulla qui dentro pare destinato all’oblio, è vivo, impregna di sé l’atmosfera, le presenze riempiono gli occhi di chi le osserva, trascinandoli in anni lontani, abbandonati. Volti di Madonne, putti e nude fanciulle che sorridono languide, sornioni e sognanti. Un altro Cristo, di profilo, i giochi che Flavia creò per le figlie, quand’erano bambine, il ritaglio del giornale con la Nausicaa venduta a Celentano. Balocchi e vestiti d’epoca, volti sacri e vecchi arnesi, tutto qui ritrova senso, armonia, sostanza.

È un posto che ricorda un museo, senza averne il distacco innaturale, un laboratorio senza l’ordine che ci si aspetta, uno studio senza, o con pochi, libri. Un salotto senza l’agio e il calore, ma con raro incanto.

È tenebroso, o al massimo semioscuro, ma ogni dettaglio ne richiama un altro, induce a una ricerca continua. Non si riposano gli occhi, nella debole luce si adagiano con piacere e stupore. Di continuo muta l’oggetto da scrutare, il corpo scolpito nuovamente da ammirare, i volti velati da mesta dolcezza infantile. Sono visi miti e imploranti, come in un sogno, hanno negli occhi un rapido sospiro.

4 Commenti

  1. flavia scrive:

    Grazie davvero a te, Andrea, per questo incantevole racconto. Un viaggio con i tuoi occhi e la tua sensibilità tra le mille cose di Carmelino, un luogo nato per mia voluttà ( e tu dici bene: sensuale..), ma che, come Pinocchio, ha preso vita propria, sfuggendo a Geppetto.
    Carmelino sarà orgoglioso di questo quadro caravaggesco, e io non posso che unirmi alle lodi a chi ha scritto e a chi ha fotografato.

  2. L’Atelier di Flavia Franceschini è un luogo che ispira tutte le Arti, nella forma e nei contenuti, verso la loro sintesi più vera. Si farebbe prima ad elencare ciò che non c’è, poiché alle pareti troviamo appesi tutti i “ferri dei mestieri artistici”. Anche la “Commedia dell’Arte” vi ha trovato il suo spazio, con un meraviglioso teatrino dorato di assoluto pregio, che ha ospitato alcuni miei brevi spettacoli. Devo dire che anche il pubblico che vi entra, lascia fuori pregiudizi e convenzioni, spogliandosi di dosso schematizzazioni che non aiutano a comprendere il vero valore di ciò che si propone, poiché il suo Atelier è il luogo dello stupore allo stato puro. Risultato: il pubblico diventa molto vero, nella sua spontaneità e desiderio di farsi coinvolgere e meravigliare fino alle lacrime di gioia. Credo che Flavia sia riuscita nell’intento d’essere la “Madrina” di tutte le Arti, che in via Carmelino vengono elevate a pari dignità e possibilità di mostrare le tante sfumature che le creano e compongono. E’ un grande onore esservi ospitati, poiché ogni Arte che vi si propone assume nuove contaminazioni, che ne arricchiscono il significato e il significante.

  3. maurizio scrive:

    il laboratorio di flavia é un luogo magico. è una sede dove il tempo e lo spazio non esistono. il tempo é solo il presente e lo spazio diventa infinito perchè rimpito da mille storie che si sovrappongono e che si dilatano in continuazione. questa fusione fra uno spazio infinito in un tempo sempre attuale é la a vera magia di Flavia

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