La città è, già da tempo, purtroppo avvezza agli allarmi aerei, che si verificano anche più di una volta al giorno. Anche oggi, pur essendo un giorno pieno di nebbia, suona verso le dieci del mattino. Si va al rifugio, divenuto ormai la nostra seconda residenza. Mia madre ha in braccio mio fratello di tre anni, io invece, attaccato al suo braccio, la seguo lungo la scala che porta al poco areato e umido budello di cemento.

Abbiamo comunque l’illusione della sicurezza. Sediamo sulla gelida panca in muratura, ma non ci appoggiamo perché la parete trasuda acqua. Questo “rifugio antiaereo” io l’ho visto costruire. Fu realizzato nella zona del “parco fiera”, tra le scuole Poledrelli e la caserma dei Vigili del Fuoco, esattamente dove ora c’è l’ASL. Meno male, dicevamo, che abbiamo il rifugio vicino a casa! Consisteva in un tunnel seminterrato di cemento armato (si fa per dire perché armato lo era poco) ricoperto di terra, con andamento a zig zag. Pensandolo, oggi rabbrividisco!

Sembriamo i più codardi perché manifestiamo la nostra paura. Invece i coraggiosi e i furbi, anziché andare al rifugio, continuano imperterriti ad accudire alle proprie faccende: tanto a Ferrara non verranno mai a bombardare, non c’è nulla d’interessante! Furono purtroppo tanti e tanti. Moriranno sepolti sotto le macerie delle loro case. È quasi l’una e non succede niente, però non suona nemmeno il cessato allarme! Stiamo morendo di freddo. Io chiedo alla mamma se posso uscire perché ho una necessità. Lei acconsente e mi raccomanda di rientrare immediatamente. Come una talpa che esce allo scoperto, strizzo gli occhi per guardare il cielo che nel frattempo si è ripulito dalla grigia nebbia. Il sole è tiepido e m’invita a tardare il rientro. Mi unisco ad alcuni altri ragazzi che cercano un po’ di tepore come me. Poco dopo si avverte in lontananza il classico conosciuto e cupo ron ron dei bombardieri. Tutti cerchiamo nel cielo il punto da cui proviene il rumore dei motori, che nel frattempo aumenta, ma non vediamo nulla.

Improvvisamente a Sud/Ovest essi compaiono schierati in formazione, questa volta però a quota notevolmente più bassa del solito (ecco perché non li vedevamo). Sono gli assassini volanti, numerosissimi, e mi ricordano gli stormi di uccelli migratori al passo stagionale. La gente che era vicina a me, ferma al sole, sembra impazzita di colpo. Fugge in tutte le direzioni senza sapere dove andare. Un grappolo di tre bombe cade esattamente dove eravamo prima. La maggior parte delle persone, compreso me, cerca di raggiungere la scala per scendere al rifugio. Alcune cadono e sanguinano, non so bene se per le cadute o per le schegge. Davanti a me c’è uno di quei ragazzi che poco prima prendeva il sole, con gli occhi, il naso e la bocca pieni di terra. Sta per stramazzare al suolo paonazzo, quando un signore gli da una gran botta sulla schiena, tanto da fargli vomitare l’ostruzione. Quasi cianotico, ma comunque salvo, riesco con lui a entrare nel rifugio.

All’interno c’è il buio pesto, si odono urla di terrore, preghiere a tutta voce e invocazioni a tutti i Santi del Paradiso. Finalmente trovo la mamma che piange e mi stringe a se con mio fratello. Fuori c’è il finimondo, un terremoto accompagnato da una tempesta di esplosioni che ci fanno tremare tutto dentro. Tre sono le ondate che con rapidità si sono succedute. Non abbiamo più lacrime, si odono solo lamenti di rassegnazione alla morte, che aumentavano d’intensità ogniqualvolta le bombe scoppiano a grappolo. Tutto sobbalza e trema. Sentiamo lo scricchiolio della struttura che si sta rompendo per la vicinanza delle esplosioni.

Sono le quattordici e trenta. Silenzio di tomba. Poiché non c’è energia elettrica le sirene non possono suonare il cessato allarme. Proviamo a uscire. Le gambe non ci reggono, però ci diciamo che l’abbiamo scampata. Ora la nebbia è nuovamente discesa, molto più fitta di prima. Si sente odore di zolfo di calce e di polvere, ma non si vede nulla. La nostra casa è in piedi ma non ha più vetri e i serramenti sono divelti. Il giorno dopo faccio un giro nei dintorni; sul momento non ricordo più che cosa c’era prima in quei luoghi. Poi mi viene in mente tutto, anche le persone che abitavano in quelle case e che non vedrò mai più.

29 Dicembre 2014.
Anniversario della crudeltà e delle morti inutili.

bombardamenti-aerei-ferrara-dicembre43

In rosso gli edifici completamente distrutti. In verde quelli parzialmente distrutti o fortemente danneggiati.

Edifici esistenti: 5730
Edifici danneggiati: 905
Edifici distrutti: 1425
Percentuale delle distruzioni: 40,66%

Vani esistenti: 89835
Vani danneggiati: 15409
Vani distrutti: 24250
Percentuale delle distruzioni: 44,14%

6 Commenti

  1. ALESSANDRO BINI scrive:

    Conosco personalmente da poco più di un anno il sig. Florio Piva ed ho avuto modo di scoprire altri suoi “racconti” di vita vissuta.La persona di Florio e la sua memoria eccezionale sono la garanzia che la descrizione così minuziosa degli avvenimenti accompagnata dalle sue personali sensazioni e considerazioni non abbiano purtroppo (per l’accaduto) nulla da aggiungere o da togliere a quanto evidenziato.
    Attendendo le bombe “intelligenti”…………….ma sempre maledette!

  2. GIANCARLO Mattei scrive:

    Conosco il signor piva florio molto bene.siamo vicini di casa.un solo commento sui suoi racconti :straordinario

  3. Giorgio Borghini scrive:

    Sono del 1935. Negli anni dei bombardamenti, con la mia famiglia, ero in città a Ferrara… benchè avessi 8 e 9 anni ho ricordi vivi di quei temoi …

  4. armando scrive:

    io non ho ricordi specifici del periodo di guerra, in quanto sono nato il 05.12.1943 a santa maria Maddalena frazione comune di Occhiobello. Però un ricordo mia mamma me lo ha lasciato e, cioè la data del 23 agosto 1944, in cui mio padre Loriano, mio nonno Giuseppe e mio zio Giovanni trovarono la morte per bombardamento aereo presso il villaggio Aniene Solvay di Ferrara. Quel giorno funesto perirono un papà Giuseppe (44 anni) e i figli Loriano (22 anni), e Giovanni (15 anni), lasciando nella disperazione mia nonna Carolina (44 anni) e, uno stuolo di figli ancora minori eccetto uno appena maggiorenne. Ancora oggi rabbrividisco al pensiero di colui o coloro che con la guerra chissa quali chimere di riconoscimenti fossero stati insigniti per aver creduto di essere invincibili assieme alla germania nazista. Purtroppo hanno invece seminato morte con implacabile ferocia. Ora i miei cari riposano nella certosa di ferrara e, il sottoscritto non manca mai la sua presenza fisica in quel luogo con un fiore in mano che deposita nei loculi. Armando Felloni.

  5. armando felloni scrive:

    Io non ho ricordi specifici del periodo di guerra, in quanto sono nato il 05.12.1943 a S. M. Maddalena frazione del comune di Occhiobello. Però un ricordo mia mamma me lo ha lasciato, e cioè la data del 23 agosto 1944, in cui mio padre Loriano, mio nonno Giuseppe e mio zio Giovanni trovarono la morte per bombardamento aereo presso il villaggio aniene Solvay di Ferrara. Quel giorno funesto perirono un papà Giuseppe (44 anni), 2 figli Loriano (22 anni) e, Giovanni (15 anni), lasciando nella disperazione mia nonna Carolina (44 anni) e, uno stuolo di figli minori eccetto uno appena maggiorenne. Ancora oggi rabbrividisco al pensiero di colui o coloro che con la guerra chissa quali chimere di riconoscimenti gli fossero stati insigniti, per aver creduto di essere invincibili assieme alla Germania nazista. Purtroppo hanno seminato invece morte con implacabile ferocia. Ora i miei cari riposano nella certosa di Ferrara e, il sottoscritto non manca mai la sua presenza fisica con un fiore in mano che deposito nei loculi.
    Armando Felloni

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