Era una casa molto carina
Senza soffitto senza cucina

Non si poteva entrarci dentro
Perché non c’era il pavimento

Siamo in via Ravenna in visita a un cantiere fuori del comune. Sulle rive del Po di Primaro, dietro la Basilica di San Giorgio, sta per nascere il primo cohousing di Ferrara. E il pavimento c’è eccome. Il palazzo ha gettato le fondamenta il 20 agosto e sarà pronto a primavera. Per ora promette bene. Legno antisismico, grandi vetrate e balconi con vista sul fiume. Il traffico della strada non arriva nemmeno alle nostre orecchie mentre scende una pioggia silenziosa. Il palazzo Sangiorgio (sì, tutto attaccato) si sta per innalzare in quello che era il primo insediamento di Ferrara. Alida Nepa, presidente dell’associazione Solidaria, si stringe nel cappotto. Osserva gli altri cohousers parcheggiare in un mattino di novembre e raggiungere a piedi quella che sarà la loro nuova Casa.

Facciamo un passo indietro. Cos’è il cohousing? Il primo ad avere l’idea è stato un architetto danese, Jan Gudmand Hove, che negli anni ’60 pensò bene di riprodurre in città i benefici tipici del villaggio: una comunità unita, spazi condivisi e disponibilità di tempo gli uni verso gli altri, uno stile abitativo che dà valore alla condivisione e alla collaborazione reciproca. Da allora sono nati cohousing in tutto il mondo, specialmente in Olanda, in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia e in Giappone. Pare che in California il 10% delle nuove costruzioni sia progettato per il cohousing. Citando dal sito www.cohousingsolidaria.org: “Il cohousing è semplicemente una particolare forma di vicinato, in cui alloggi privati e servizi in comune vengono combinati in modo da salvaguardare la privacy di ognuno e allo stesso tempo il bisogno di socialità, offrendo una risposta efficiente ad alcune questioni pratiche del vivere”.

Torniamo al cantiere di via Ravenna. Ci facciamo largo tra gli operai al lavoro e saliamo le scale sgusciando tra le impalcature. I co-abitanti salgono i gradini di legno, ispezionano la struttura portante, misurano con gli occhi la metratura, controllano la planimetria. «Non siamo un gruppo di amici» chiarisce Alida «è questa la sfida. Vogliamo dimostrare che si può costruire qualcosa anche con chi non conosci. Quello che ci unisce, non è una religione o una ideologia ma il desiderio di cohousing». Elisa, una delle future coinquiline, dice di aver venduto subito la sua casa a Malborghetto. «Sono tornata a casa dai miei genitori finché la casa non sarà pronta». Daniela spalanca le braccia in un gesto d’invito di fronte a uno spazio circondato da pareti di legno: «Benvenuti in casa mia. Ogni volta che vengo qui è un’emozione!» Claudio e Lilia e i loro due figli, di 10 e 14 anni, escono sul balcone per una tirata d’aria fresca.

«Dov’è la tua stanza, Tommaso?»
«La mia è questa qui».
«Ah! Mi hanno già sporcato il pavimento!»

Quali sono i vantaggi concreti della filosofia cohousing? Prima di tutto è una soluzione a basso consumo energetico. Pare che si possa arrivare a risparmiare fino al 15% delle spese medie mensili di una famiglia: orti, lavanderie, wifi, palestre, officine per attrezzi sono le risorse solitamente condivise all’interno delle comunità dei co-abitanti. «Più sei solo e più consumi» dice Alida «è un discorso estremamente politico. Le multinazionali vogliono che la gente sia sola, ne hanno tutto l’interesse. Noi vogliamo un tipo di consumo diverso. Abbiamo già dei gruppi di acquisto per i beni comuni, dalla carta igienica alle mele passando per le cucine. Perché in un condominio ognuno deve avere il proprio trapano, dato che lo userà sì e no una volta l’anno? E perché tenere una lavatrice in casa? Occupa spazio inutilmente. Ora non avrò più bisogno di un posto in casa dove stendere e stirare».

Lo stesso design deve tenere conto delle relazioni sociali. L’architettura non può essere disconnessa dal mondo degli uomini. Proprio per questo non ci sarà nessun ingresso indipendente. Proprio quello che sul mercato immobiliare rappresenta un valore aggiunto qui viene bocciato.

«Non c’è un’entrata indipendente ma un ingresso in comune. Quando entri, passi per forza dagli spazi condivisi. Quindi sarà molto facile imbattersi in qualcuno. Non tutti hanno colto il senso di questa scelta. Oggi le cose vanno al contrario: l’ingresso indipendente è considerato un valore, tutti vogliono una siepe o delle mura o almeno un ingresso indipendente. Noi no. L’architettura influenza le relazioni, non vogliamo siepi o barriere».

Foto di Claudio Furin

Anche gli amanti delle barriere architettoniche a volte si sentono inquieti. Nonostante tutto sentono un gran desiderio di vicinanza. Quante volte abbiamo visto nei film americani gruppi di vicini salutare il nuovo arrivato con un cesto di muffin caldi? Non ci viene un po’ d’invidia? Il punto di forza del palazzo è, infatti, la sala comune. Grande e soleggiata, dalla vetrata gigante che dà sul verde. Ci sarà una cucina, un proiettore, una libreria.

«Tutti spazi che useremo insieme. Insieme al wifi, alle lavatrici e agli attrezzi».

Negli Stati Uniti esistono perfino cohousing a tema: quello gay, quello per i gattari, quello per le famiglie numerose. 

«Ma così non ci piace» dicono i co-abitanti «fa troppo ghetto, ci piace il confronto. Anzi, ci piacerebbe essere un gruppo più eterogeneo, vorremmo più coppie, con figli o senza, più famiglie, ma anche single, studenti, pensionati».

«E’ una sfida dimostrare che posso vivere con meno e in modo collaborativo».

Sfida è una parola che Alida ripete spesso.

Un’esperienza indimenticabile è stata quella della visita di un cohousing in Olanda.

«Abbiamo visitato un cohousing vicino Amsterdam quattro anni fa» racconta Alida. «Era bellissimo, assomigliava ad piccolo villaggio dove tutti mantenevano la propria autonomia. Gli spazi comuni erano organizzati in modo impeccabile, avevano costruito una palestra, un’officina, una zona musica. E si respirava un grande relax, la vita era rallentata. Gli olandesi hanno realizzato il desiderio di ridurre la complessità della vita, dello stress e dei costi di gestione delle attività quotidiane».

Il palazzo di via Ravenna è interessante anche dal punto di vista dello stile di costruzione.

Alida ci racconta perché.

«Monteremo i pannelli fotovoltaici e ci sarà il pavimento riscaldato. Non avremo il gas, ma una pompa di calore e un piano a induzione. Non avremo più bisogno dei termos e quindi ci sarà molto più spazio. E’ l’unica casa di questo genere a Ferrara».

Il progetto originale prevedeva un rustico a Malborghetto ma è stato accantonato per via dei danni causati dal terremoto.

«Meglio così» dice Elisa. «Era un immobile di diciassette unità, sarebbe stato difficile da gestire. Così abbiamo preferito uno spazio più ridotto e più vicino alla città. Abbiamo trovato un terreno libero da un privato ed eccoci qui».

Gli inquilini non hanno ricevuto alcun aiuto finanziario ma un protocollo col Comune, una specie di riconoscimento ufficiale.  Gli appartamenti non sono in affitto, sono tutti in vendita. Sette unità in tutto, cinque già prenotate, due ancora disponibili. Le due unità ancora libere sono disposte al secondo piano con vista sul fiume. Il primo appartamento misura 72,8 mq, il secondo 82,7 ma bisogna considerare anche gli spazi comuni, altri 50 mq comprendenti sala cucina, la lavanderia. Ogni abitante avrà naturalmente la propria cucina privata ma nel caso di una dozzina di persone in visita può tranquillamente ospitarli nella cucina in comune, ben più spaziosa. Si tratta di appartamenti classe A+, cosa eccezionale a Ferrara. Una bioedilizia e un risparmio energetico ai massimi livelli. Chi acquisterà gli appartamenti liberi dovrà condividere la stessa filosofia del cohousing. Insomma, non compri solo la casa ma anche il vicino.

«L’investimento iniziale c’è ma contiamo di ammortizzarlo in tempi brevi, considerando i risparmi in termini di bollette, condivisione auto, beni e servizi, acquisti collettivi» spiega Alida. «Se qualcuno è interessato all’acquisto o volesse saperne di più lascio anche il mio numero: 320 8622289».

Tutti i giovedì sera i futuri vicini si incontrano a casa di Alida in via Pitteri, una tazza di tè e una torta alla zucca. Li raggiungiamo anche noi, vogliamo conoscerli meglio. Un anno fa eravamo qui, stesso camino e stesso cane a discutere di Social Street

«Dalla Social Street di via Pitteri ad oggi quante cose son successe, Alida?»

«Ne abbiamo fatte di cose. Abbiamo organizzato la festa del baratto, le cene di strada, creato il gruppo di acquisto della frutta, inaugurato la piccola biblioteca di quartiere. Ma il couhousing ce l’avevamo sempre in mente».

«Come vi siete conosciuti?»

Lilia risponde: «Io e Alida ci siamo incontrate per caso nel Gruppo Volontariato SOS Dislessia. Sia io, sia mio marito siamo rimasti incantati dalla filosofia del cohousing».

«Cosa vi è ha colpito di più?»

«La regola delle 5 R: Ridurre, riciclare, riutilizzare, rispettare, rallentare. Soprattutto rallentare. Mi ha fatto capire cosa non andava nelle nostre vite. Non si tratta solo di cambiar casa ma di cambiar vita. Non avevamo problemi con i nostri vicini, stavamo bene nella nostra casa, però siamo stati conquistati dall’idea. Non era la casa, era la vita che non ci piaceva».

«Ci sono ancora due appartamenti liberi. Chi vorreste come vicini?»

«Oh, chiunque condivida questo stile di vita. Magari non vicini polemici».

«Un vicino ficcanaso lo volete? Io ne avevo una che mi controllava la posta e che teneva d’occhio tutti quelli che suonavano il mio campanello».

«Forse la tua vicina faceva così perché si sentiva sola. Magari stava cercando di relazionarsi, anche se in modo goffo. Forse dovevi invitarla a casa tua e parlarle un po’. Se si fosse instaurato, insomma, non dico un rapporto di amicizia, ma di conoscenza, forse sarebbe stata meno scorbutica. Molti atteggiamenti, oggi, vengono visti in modo invasivo. Interessarsi agli altri, sapere cosa succede, per me è giusto. Una persona percepita come un ficcanaso è spesso una persona sola con cui magari avete qualcosa in comune. Senza contare che molte patologie sono frutto dell’isolamento» dice Alida.

Un cambio di prospettiva interessante. Certo i vicini rompiballe esistono ed esisteranno sempre ma quanti di loro sono recuperabili?

«Mi chiedo qual è il confine tra interessarsi degli altri e farsi gli affari degli altri».

Risponde Lilia: «Dipende da quanto sono disponibile io verso l’altro. Se l’interessamento porta con sé un elemento o un atteggiamento di giudizio allora ecco che si sta varcando un confine».

La sfida è mantenere un equilibrio tra la sensibilità e il rispetto e la posizione dell’altro.

«Quali sono state le reazioni di amici e parenti quando avete detto vado a vivere in un couhousing

«Non molto positive» risponde Daniela. «Per i miei amici è un’utopia, non ci credono, dicono che non funzionerà mai, che finiremo subito per litigare. Mia mamma pensa lo stesso e questo proprio non riesco a capirlo. Ti spiego perché: sono cresciuta in un piccola strada, in una specie di villaggio in cui tutti conoscevano tutti. Nel ’57 c’era una sola TV nella zona e tutti venivano a guardarsela da noi. Era già un cohousing! L’unica macchina era la nostra e mia mamma era abituata a dare un passaggio ai vicini per una visita in ospedale. Quello che una volta facevamo normalmente oggi ci sembra strano. E’ come se prima le porte fossero aperte, ora si sono richiuse, non si sentono più i bambini giocare in strada, siamo diventati tutti più intolleranti, anch’io mi sono chiusa di più».

Per molti il couhousing è un percorso di conoscenza di se stessi, per battere sul quel guscio che ci siamo costruiti per far sputare fuori la perla. A volte siamo noi a mettere un muro. Daniela racconta: «Un giorno un mio vicino mi chiese in prestito la mia idropulitrice.  Aveva rotto per sbaglio un pezzo ma niente di grave, gliel’avrei prestata di nuovo. Lui però se ne comprò una nuova pur di non chiedermela ancora».

Anche le reazioni dei parenti e degli amici di Luciana sono state piuttosto scettiche. «Sembra che i vicini non debbano andare d’accordo per definizione».

«E voi siete già d’accordo su tutto?»

«Certo che no. Ognuno ha aspettative diverse. Ma abbiamo un metodo per risolvere i conflitti. Il metodo del consenso, la maggioranza non è sufficiente».

Il metodo del consenso evoca riunioni interminabili ma in un gruppo piccolo e civile può funzionare. Secondo questo metodo chi non è d’accordo deve elaborare le sue posizioni fino ad arrivare almeno ad un compromesso. Tutto questo per evitare il disagio anche di una sola persona. Anche perché non perderà l’occasione di rinfacciartelo.

Testiamolo subito. L’ordine del giorno del giovedì sera è: Nella sala comune la vogliamo o no la TV? E il computer? A fine serata si dovrà trovare una soluzione che non scontenti nessuno.

Lilia dice che non prevede di usare la TV nella sala comune in modo regolare ma che potrebbe rivelarsi utile che so, per la partita dei mondiali o per vedersi un film la sera tutti insieme. Propone di predisporre le prese e di portare giù la TV solo in caso di necessità. Quanto al computer dice di sì, si potrebbe consultare insieme un’email di risposta a un acquisto collettivo, per esempio. Anche Claudio è d’accordo per TV e computer, non per un utilizzo continuato ma può sempre capitare l’occasione. Daniela dice no alla TV, non vuole che i bambini si mettano lì davanti per ore e ore, però dice sì al computer. Luciana è per predisporre le prese della TV ma di portarla solo quando serve. Elisa è d’accordo con Luciana e pensa che il computer sia utile anche per gestire insieme il bilancio degli acquisti. Alida è la più scettica, dice no alla tv perché è facile prenderci la mano, dice, l’occasione fa l’uomo ladro. Dice no anche al computer, vorrebbe che le zone comuni restassero una zona franca.

Risultato: sì all’attacco delle prese e poi si vedrà.

Se siete curiosi di visitare il cantiere del futuro cohousing di Ferrara tenete d’occhio il sito http://www.cohousingsolidaria.org/. Il cantiere è anche visitabile, spesso vengono organizzati incontri e visite guidate.

Ma era bella, bella davvero

In via dei matti numero zero

4 Commenti

  1. Andrea Morona scrive:

    Bella iniziativa ed interessante discussione per quanto concerne l’ingresso di Tv e Computer. Sembra quasi una piccola “comune”, con una forte propensione alla valorizzazione più che alla gestione degli spazi che saranno condivisi ed utilizzati da tutti. Bravi.

  2. giulio scrive:

    Mi sembra un’ occasione per fare qualcosa di nuovo: è vero, ricorda una “comune”. Ma dipende da come la si gestirà nel tempo.

  3. Sara scrive:

    Ogni progetto è fatto da persone. Sono loro che ne decidono le sorti, il successo o il fallimento. Siamo curiosi di sapere come andranno le cose tra un anno.

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