Come base e cornice possiamo mettere, chessò, un palazzo del XVI secolo, Palazzo Magnanini, ideato da un tal Biagio Rossetti. Così, giusto per cominciare. Scegliamo poi una poco mite serata d’autunno, in un orario nel quale sta terminando il rientro a casa dei più, e, tra questi, alcuni eletti si ritrovano nel suddetto Palazzo (noto come Roverella).

Aggiungete dunque un pizzico d’orgoglio ferrarese per la propria storia, le proprie tradizioni, le proprie radici contadine, quei volti e quelle mani che sanno ancora di terra e di sudore. Infine, farcite con un po’ di arte, meglio se in varie forme, in versi liberi, in dipinti, fotografie o sculture. Cos’altro? Ah, l’immancabile, anche se un po’ inaspettata, atavica paura della fame, del rimanere privi di cibo.

Vi chiederete come si abbinino tutti questi ingredienti fra loro. Lo sfarzo e l’imponenza di un’antica residenza, un istinto ancestrale, e poi artisti, cuochi, ma anche eredi di mezzadri, contadini, fornai e allevatori, rappresentanti dell’alta borghesia ferrarese, mischiati a umili esponenti del popolino locale.

Benvenuti alla II edizione di In tavola con le arti, rassegna svoltasi per la prima volta nel 2012 con l’intento di valorizzare i nostri eterni (si spera) vanti culinari, e di cercare di renderli ancor più appetibili attraverso la loro rappresentazione figurativa. L’appuntamento è in Corso Giovecca, di fronte alla Chiesa di S. Maria della Pietà, nota come Chiesa dei Teatini, per entrare in questa storica dimora cittadina, sede – praticamente da quando s’è fatta l’Italia – del glorioso Circolo dei Negozianti.

L’evento è organizzato dall’Associazione Professionale Cuochi Italiani (APCI), in collaborazione con CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa), Ecipar (nata dalle viscere del CNA), Associazione Giulia Onlus e Strada dei vini e dei sapori, a conclusione del corso di aggiornamento professionale per operatori della ristorazione.

Foto di Giulia Paratelli

Il Salone d’Onore del Palazzo già alle 19 brulica di vocianti gruppi di persone, eccitate dalle aspettative sulla serata. Ai lati, una ventina di banchetti allestiti da aziende del territorio operanti nell’ambito eno-gastronomico, tra i quali Alchimie del gusto (con composte e confetture), Le delizie del verginese, la Pro Loco di Goro (con le ottime vongole in umido), ONAV (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino) e ANAG (Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa ed Acqueviti – Emilia-Romagna).

Secondo il programma, l’evento avrebbe dovuto iniziare con gli immancabili saluti da parte delle autorità. Intanto, però, la tentazione di iniziare a banchettare è troppo forte, anche per chi si fregia di appartenere a una ancor abbastanza ristretta cerchia di altolocati. Iniziano a comparire piattini di plastica nei quali fan capolino generose fette di salame e di pancetta, e a tintinnar bottiglie di vino sincero.

Come dar loro torto, lo stesso programma parlava di “show cooking” (ennesimo pessimo modo per dire che un cuoco si mette in mostra mentre prepara e cucina le pietanze). Ha voglia a sgolarsi lo chef Sergio Ferrarini, dell’APCI, per inaugurare ufficialmente, salutare e ringraziare. Per spiegare, anche, a chi fosse arrivato lì per caso, in cosa consiste l’evento.

Nel frastuono che non tende a scemare – ma anzi si rafforza col passar dei minuti, con l’aumentar degli invitati e all’arrivar di nuove delizie -, chi ha l’onere (e l’onore) di presentare è costretto ad alzare la voce, quasi a redarguire i presenti (!), a invitare i cuochi a interrompere il flusso di vassoi, il taglio dei salami.  Bisogna far intervenire il Signor Prefetto (per salutare, non fraintendete), Michele Tortora, il Presidente del Circolo dei Negozianti, Giovanni Piepoli, Roberta Girotto dell’Associazione Giulia Onlus, lo chef Michele Caruso e Laura Salani, Presidente di CNA alimentare.

A onor del vero, come in ogni rinfresco o banchetto che si rispetti, i primi istanti – o minuti, a seconda dei casi – sono sempre i più divertenti. Nel vedere le persone ancora impegnate nello sforzo di soddisfare i requisiti minimi di bon ton, intente a ringraziare gli ospitanti e ad ambientarsi nelle austere sale, mi viene in mente l’inizio della celebre “scena degli spaghetti” di Miseria e nobiltà, nella quale Totò e i suoi famigliari, increduli davanti all’abbondanza di piatti a loro donati, fingono indifferenza – salvo poi assalire selvaggiamente le inermi portate.

L’ordine iniziale, diciamo “d’assestamento”, è stato, dunque, gradualmente annullato. Non siamo, comunque, ancora ai livelli di Hollywood party – perdonate la mia enfasi, dettata dall’affetto che nutro per queste persone, le quali, come nella miglior tradizione delle sagre paesane, con poco ritegno e molta golosità s’accalcano per brandire l’omaggio culinario. Che gioia vedere distinti signori in doppiopetto o ingioiellate dame della “Ferrara bene” abbandonare (quasi) ogni forma, ogni galateo, emulando le scene bucoliche rappresentate negli affreschi che ornano le sale. Si sparge la voce di vassoi fumanti di cappellacci alla zucca con aceto balsamico, di ottimi Fortana, mentre uno sguardo predatore nota un risotto venuto da chissà dove.

Intanto, nel disinteresse generale, la giuria gastronomica – formata da Maria Merlante, Sergio Ferrarini e Giovanni Piepoli – assaggia a intervalli regolari i piatti proposti dai partecipanti al corso Ecipar e dall’APCI. Vale la pena elencare queste piccole opere d’arte, frutto del genio e della fatica di tanti bravi chef: tortino di zucca violina con fonduta di aglio di Voghiera; gnocchetti di carote del Delta con ragù di salamina da sugo (eletto miglior piatto); zuppa di sedano con macedonia di frutta e verdura del territorio; vitello al Fortana con gelatine di uva fragola e pecorino di fossa con chutney di zucca e pere; anguilla di Valle con chutney di riso nero del Delta con cipolle caramellate al timo; tarte tatin di pere con vellutata alla vaniglia, gelatina di Lambrusco, crumble alla cannella e spuma di stracchino.

Le sale dedicate all’esposizione artistica, in omaggio ai prodotti tipici, anch’esse quasi ignorate dai presenti, hanno invece accolto le opere della pittrice Marzia Caruso, della poetessa Nilla Caveduri, del fotografo Emanuele Romanelli e degli scultori Nando Stevoli e Antonio Purificato. La giuria tecnica, composta dal critico d’arte Lucio Scardino e dai galleristi Paolo Orsatti e Alfredo Pini, ha scelto il dipinto L’anguilla di Comacchio di Caruso come la miglior opera presentata, voto poi confermato dalla giuria popolare.

Gli artisti erano liberi d’interpretare diciassette gioielli culinari del ferrarese, dai cappellacci di zucca al pampepato, dalla coppia ferrarese all’asparago verde del Delta, dal salame all’aglio ai vini del bosco Eliceo.

Si arriva così al gran finale, con l’estrazione dei biglietti della lotteria, il cui ricavato è andato all’Associazione Giulia Onlus. In palio, come si dice, ricchi premi, sia eno-gastronomici, sia artistici, con metà dei presenti rimasti, in mano uno o più biglietti numerati e colorati. Prima però spazio ad altre chicche per i palati: piccoli coni di cioccolato dell’Azienda Rose Noire farciti da una deliziosa mousse di foie gras, e pampepati ricoperti da cioccolato bianco o fondente, del Forno Valentino di Copparo. Il tutto accompagnato da un ultimo bicchiere di Sauvignon o da una grappa di Fortana.

I volti (dipinti o scolpiti) degli accigliati e fieri padri nobili del Circolo scrutano il lento illanguidirsi degli invitati. Le salette attigue, di norma ospitanti partite a carte e gare di scacchi, accolgono gente stravaccata, chiacchiere smorzate e alcuni signori intenti a guardare – attraverso uno schermo all’ultimo grido, e in attesa del meritato riposo – la partita di calcio del Bologna. Le sale lentamente si svuotano, cala il brusio, si smorza l’affanno della conquista. La grande abbuffata, o perlomeno tale nei desideri della vigilia, finisce mestamente con l’immagine di due cappellacci, freddi e abbandonati in un piatto su uno dei tanti banchetti saccheggiati.

«Noi di provincia siamo così / le cose che mangiamo / son sostanziose come le cose / che tra di noi diciamo». Ha visto bene Paolo Conte, ancora una volta. Dietro l’imborghesimento di buona parte dei nostri conterranei, dietro le parole strascicate e uno sfarzo che non ci appartiene, per fortuna ancora pulsano le nostre origini più veraci (e voraci), l’odore delle carni, l’ebbrezza dei nostri vini, la fragranza dei nostri pani, la freschezza dei nostri frutti. E allora, viva le vongole di Goro e l’aglio di Voghiera, l’antiestetica e grassa anguilla, il succoso melone. Lunga vita al pungente tartufo, a quei capolavori come la salama da sugo, la bondiola, la ciupèta, la brazadela e la sfiziosa tenerina!

1 Commento

  1. Paolo Orsatti scrive:

    Andrea Musacci ha colto perfettamente il clima torrido della serata con accenni quasi boccacceschi. Per chi non ere presente (forse non c’era nemmeno posto) si è perso uno spaccato di varia umanità che, alle prese con il delirio gastronomico, ha rivelato aspetti inconsueti dei ferraresi alle prese con un periodo crisi economica….

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