Articolo di Enrico Vignoli del liceo scientifico Roiti per Backup di una piazza

Nel corso dei secoli la piazza ha sempre svolto un ruolo singolare per la vita sociale di Ferrara. È stata spesso luogo pubblico prediletto per manifestare, protestare, rivoluzionare, rivoltare e rovesciare la storia della città, rendendosi non di rado protagonista di situazioni al limite.

Basta pensare a quanto accadde in seguito all’attentato a Togliatti nel luglio del 1948, quando si aprì un conflitto a fuoco tra la polizia statale e quella municipale, sotto la Torre dell’Orologio (la saracinesca lì sotto, una volta chiusa, sfoggia ancora le cicatrici dei proiettili); oppure ricordare il 20 dicembre del 1920, quando in uno scontro a fuoco tra socialisti e fascisti vi furono quattro morti nello spazio tra il Castello e il Teatro Comunale.

Questo genere di rivolte però riguardano perlopiù il passato remoto, quando la piazza era praticamente l’unico luogo in cui popolo e potere potevano comunicare – non a caso si parla di “palazzo” e “piazza” per alludere alle due diverse fazioni sociali.

Quando nacque Alfonso d’Este tutta la città fu devastata dall’ “immensa gioia” accesasi nei cittadini per la nascita del futuro signore. Quando il Papa tentò di indebolire il controllo degli Estensi, agli inizi del ‘300, si arrivò ad un vero e proprio scontro finale di piazza: solo quella volta popolo e forze signorili si unirono in una sorta di milizia ferrarese per respingere con estremo vigore, e sorpresa, i mercenari papali!

È appunto di uno di questi “eventi speciali” della storia di Ferrara che vorrei raccontare: una rivolta popolare avvenuta alla fine del Trecento che scatenò una serie di avvenimenti tali da cambiare significativamente il volto della nostra città. La mia spassionata indole di diciassettenne iperconnesso al world wide web – per quanto si possa sforzare – non potrà di certo scavare in maniera sufficientemente approfondita negli oscuri  meandri della storia, soprattutto non con il solo aiuto delle enciclopedie online o dei motori di ricerca, dai quali molti insegnanti credono il mio internettiano sapere dipenda inequivocabilmente. È necessaria una ben più esperta e accorta consulenza, la quale mi viene gentilmente offerta da Alessandro Gulinati, guida turistica e grande appassionato di vicende ferraresi. Con il suo aiuto mi tuffo in un variopinto miscuglio di racconti, documenti, date, episodi e autori che – come spesso accade in questi casi – non consentono di delineare in modo univoco il corso dei fatti; tuttavia il cocktail che esce dall’analisi della varietà di queste versioni risulta essere ben più avvincente ed interessante degli scarni resoconti e riassuntini offerti dal mondo del web.

Le cause che portarono alla rivolta popolare del 1385 furono diverse: inondazioni, carestie e difficoltà economiche diverse ridussero allo strenuo le condizioni di vita dei ferraresi. Inoltre le operazioni di modernizzazione della città – ad esempio la lastricazione delle strade e della piazza – costrinsero il marchese Niccolò II all’adozione di una politica fiscale più restrittiva, realizzata mediante la pubblicazione di un nuovo estimo, garantito dal giudice dei Savi Tommaso da Tortona, amministratore fiscale e collaboratore del marchese.

Proteste, scioperi e manifestazioni in piazza

La situazione, già grave di per sé, degenerò completamente il 3 maggio: una folla inferocita e armata di falci, coltelli e forconi si presentò alle porte del palazzo dei marchesi (attuale Palazzo Municipale) chiedendo la condanna a morte dell’odiato esattore. I tentativi svolti da Niccolò II e suo fratello Alberto per calmare i rivoltosi valsero a poco, ben presto la massa si diresse verso gli uffici della cancelleria, all’angolo tra la vecchia piazza delle Erbe (attuale piazza Trento e Trieste) e via San Romano, per fare giustizia da sé bruciando in segno di protesta tutti i libri contabili. Di sera la situazione, ulteriormente aggravatasi, costrinse gli Este a una drastica soluzione: una volta premurosamente concessi al povero Tommaso tutti i sacramenti necessari per l’occasione – confessione e comunione, dal proprio palazzo fecero calare il disgraziato con una corda e lo consegnarono alla massa inferocita.

Il triste destino dell’uomo fu segnato. Le fonti descrivono la sua morte in cento versioni diverse, una più cruenta dell’altra. Pare che il suo corpo straziato fu trascinato verso il rogo dei libri e lì vennero cotte le sue interiora, in seguito mangiate oppure date in pasto agli animali. Le cronache raccontano che dopo aver commesso la violenza la folla si allontanò come se non fosse successo nulla.

A scatenare questo efferato omicidio, compiuto dalla disperazione collettiva, parteciparono diversi fattori: pare che, oltre al malcontento generale, anche antichi attriti tra la signoria e i residui del regime municipale avessero spinto la rivolta, inoltre l’estimo venne considerato da alcuni ceti nobiliari come la goccia che faceva traboccare il vaso.

Vista sotto quest’ottica la rivolta del 3 maggio si delinea, oltre che come protesta popolare, anche come un tentativo di risposta e di opposizione alla crescente affermazione del potere signorile; si concentrò solo sull’esattore ma molto probabilmente aveva come secondo obbiettivo il marchese. Ne danno conferma anche i risvolti successivi di questa vicenda, quando le pigre ma contorte macchinazioni del potere si misero in atto per la difesa della signoria: Niccolò II in poco tempo fece entrare alcune truppe di miliziani, murò la porta della città e iniziò una lunga caccia agli assassini del suo collaboratore – e quindi anche ai rivoltosi che tentarono di ribaltare le sorti della sua signoria.

Infine, cosa più importante, il 29 settembre dello stesso anno il marchese avviò la costruzione del Castello, nuova fortezza della città, completamente circondata da cannoni e collegata al Palazzo Municipale attraverso un lungo ponte sopraelevato, utile per difendersi sia da nemici esterni che interni.

Come ho già accennato è quasi impossibile riuscire a conoscere (e dunque scrivere) l’effettiva realtà dei fatti in quei giorni così lontani, perciò probabilmente la mia ricostruzione presenterà molte imperfezioni dal punto di vista storico. Tuttavia, per quanto possa interessarvi, desidererei lasciarvi una mia personale interpretazione: mi piace pensare, e spero piaccia pure a voi, che mentre il popolo sfogava i propri istinti omicidi sul disgraziato di turno, mentre allo stesso tempo tentava di ripristinare una politica municipale spodestando il signore locale, ottenne in cambio qualcosa che forse, nel tempo, superò di gran lunga le sue aspettative. Ottenne il Castello, costruzione che da cupo emblema del potere degli Estensi diventò, in seguito al il suo rifacimento nel Cinquecento e all’addizione erculea, il simbolo eterno della gloriosa epoca signorile che rese Ferrara una delle più importanti e floride corti del rinascimento italiano, e che tutt’ora contraddistingue la bellezza unica di questa città.

Lascia un commento

Prima di lasciare il tuo commento, ricordati di respirare. Non saranno ospitati negli spazi di discussione termini che non seguano le norme di rispetto e buona educazione. Post con contenuti violenti, scurrili o aggressivi non verranno pubblicati: in fondo, basta un pizzico di buon senso. Grazie.