Mirna ha i capelli rossi come i mattoni di Ferrara e sulle gambe una collezione di punture di zanzare. Tornare a casa per le vacanze ha i suoi svantaggi. A dire il vero casa, ormai, è a Prenzlauer Berg, Berlino. Quella dell’infanzia è a Ferrara. E a noi interessa questa storia. Tutto iniziò in una casa malconcia con il bagno in cucina: « Erano gli anni ’70 e abitavo in una casa popolare in via del Cammello» racconta Mirna. «Il palazzo c’è ancora, ma è completamente restaurato. Hanno riparato anche la porta, prima c’era una fessura fatta alla meno peggio dove il postino ci infilava la posta. La corrispondenza cadeva tutta insieme in una cassetta di legno e io, ogni giorno, andavo a cercare la mia. Pasquali, Casadio… Campanella!»

Il percorso della memoria parte da via del Turco, sotto l’insegna del Cinema Ristori, spenta come una candelina di compleanno. E’ l’ora blu a Ferrara. Quando il cielo si colora di un blu elettrico e le fiammelle in via delle Volte si accendono una dopo l’altra. «I miei cinema non esistono più. Nel 1982 ho visto E.T. al Mignon, a Natale si convertiva in cinema per famiglie. Io ci andavo con mia mamma a vedere i cinepanettoni». Lo spiazzo di fronte all’ex cinema è un parcheggio improvvisato, accanto alla Creperie. «Quella c’era già! Ricordo ancora la mia preferita: cioccolata fondente e croccantino. Era un posto fighetto, costava, come pure il Red Lion, il ritrovo dei dark ferraresi, uno dei primi pub a Ferrara, con i panini a cinquemila lire». Oggi, al posto mitico Red Lion di via Correggiari, c’è un ristorante con i tavolini fuori. I dark non ci sono più e chissà dove sono finiti.

Il Cinema Ristori non è l’unico desaparecido. Ferrara ha visto le sue piccole sale spegnersi una dopo l’altra. Gli anni Sessanta e i Settanta furono il periodo d’oro dei cineforum e dei cinema di quartiere. A ridosso del nuovo millennio si è innescato il declino che tutti conosciamo. Una tendenza condivisa con altre città italiane. «Ricordo un cinema in via Boccaleone» si entusiasma Mirna «Cinema Rivoli si chiamava! E poi l’Alexander, l’Embassy, grandissimo, in corso Porta Po. I cartoni animati la domenica li guardavo all’Eden, vicino Architettura». Il never ending flashback ci porta alle soglie di via delle Volte, il Medioevo che non c’è più. «Via delle Volte! Ah, era vietatissima, neanche a guardarci dentro! Non avevo il permesso di andarci. Sti’or chi iè tùt drugà

Non solo i cinema, anche le scuole di Mirna sono scomparse per sempre. «Ho fatto le elementari “Alfonso Varano” in via Ghiara, di fronte all’ospedale psichiatrico, oggi sede di Architettura. All’epoca il manicomio era bello attivo. Tra un’ora di matematica e l’altra sentivo le urla dei pazienti. L’ultimo anno successe una cosa strana. Decisero di chiudere la scuola e noi diventammo gli sfrattati del Varano. Non ci voleva nessuno, le altre scuole erano già occupate. Dovevamo fare i turni con la scuola Biagio Rossetti. Loro andavano a scuola la mattina e noi il pomeriggio. La mia scuola media, la Garibaldi in Vicolo del Granchio, oggi è sede dell’Archivio Comunale».

Foto di Giulia Paratelli

Il percorso da via Mazzini a via del Cammello ha più ricordi dei mattoni d’oro del sentiero di Oz. L’asinello con le due ceste davanti al fruttivendolo è sempre lo stesso. Anche l’arredamento è d’epoca, non é cambiato niente. «Era una bottega, un punto di incontro, ci sono ancora le stesse sedie usate per chiacchierare in attesa del proprio turno». La Lavalampo ha mantenuto il suo tendone ma tutto il resto è cambiato. Mirna indica i negozi uno a uno: «Al posto della Bottega del Pane c’erano vestiti un po’ da zia, vecchio stile, al numero 104 c’era l’arrotino, ora è un negozio di piante. E qui di fronte c’era una rosticceria» dice indicando il lato opposto di Via Mazzini «non un negozio di vestiti. Facevamo la spesa allo Spaccaprezzo, un’istituzione a Ferrara, è stato il primo a vendere prodotti di igiene per la casa e per la persona, prima dell’avvento degli Acqua e Sapone. E com’era diversa l’Ariostea! Non si entrava dal portone, ma dal parchin, quello che oggi è il parco della biblioteca. Allora era bruttarello ma era il parco della zona. L’evento degli anni ’80 fu l’apertura del Woodpecker in via Saraceno. Aprì con una formula tutta nuova: Ti puoi portare la pizza a casa. I cartoni della pizza caldi e fumanti furono una rivelazione. Dicevamo Andiamo a prendere la pizza da Wudpeckwodpic….non lo sapevamo neanche dire».

Il cammino di Oz porta in via del Cammello. Con il naso all’insù ci fermiamo sotto le finestre spalancate di un palazzo rimessa a nuovo e tinteggiato di fresco. «Negli anni ’70 era una casa malconcia» sorride Mirna, gli occhi all’insù «umida, con il bagno in cucina, il riscaldamento che funzionava un giorno sì e uno no, i soffitti alti alti. Una volta il bagno di sopra sfondò il pavimento e planò nella nostra vasca da bagno. Un tempo si metteva un blocco di cemento sotto il wc, non sempre una buona idea. Le finestre erano grandi e davano sulla strada, e la gente sentiva tutto». Anche le esclamazioni colorite della mamma. Quando il prete del quartiere veniva a rimproverarla le diceva:

«Signora, se continua così non so se posso far fare la comunione a Mirna!»
«Fa’ il tuo lavoro che io faccio il mio» rispondeva.

Com’era il quartiere negli anni ’70-’80?

«Era un classico quartiere popolare. Che non è per forza sinonimo di romantico come si pensa oggi. La concezione del povero ma bello non è proprio aderente alla realtà. Le famiglie erano davvero povere, volavano schiaffoni per strada, la vita era dura. Naturalmente i bei ricordi non mancano. Come il Bar Sport. Un covo di fumo, carte e biliardo. Un po’ alla Stefano Benni. Era solo per uomini, le donne non ci mettevano piede. Solo i bambini erano ammessi, entravano per i gelati. Io andavo a prendere i ghiaccioli».

Un vecchio detto dice che per guarire dall’infanzia bisogna passare dall’adolescenza. Com’era essere adolescenti alla fine degli anni 80?

«Andavo in terza liceo quando conobbi i punk di Piazza Ariostea. Avevano vent’anni, parlavano di musica ed erano ricoperti di tatuaggi. Essere tatuati, all’epoca, non era come oggi, era sinonimo di ex galeotti o drogati. Invece non si beveva quasi, non ci si cannava nemmeno».

«Com’era la scena musicale?»

« C’erano tre gruppi che dominavano la scena: gli IMPACT, gli ACCIDIA, il cui leader era un omone chiamato Ciccio, e i MADHOUSE. Erano come una famiglia, si prestavano e si scambiavano batteristi e chitarristi. Non si andava mai in piazza, quella era troppo da fighetti. Ricordo posti atroci e bellissimi come il CRAL, sotto lo stadio, un circolo creativo senza bocce, con tavoli per giocare a carte e per la tombola del sabato. Sabato spesso non andavo a scuola, montavo sul furgone e partivo con loro. Li accompagnavo in tour: Bologna, Veneto, Friuli. Era l’epoca del circuito dei concerti autogestiti, dei centri sociali. Ho conosciuto l’Italia viaggiando con loro. Mia mamma, all’epoca, li accoglieva pure in casa. Ricordo che cucinava per i punk e intanto li sgridava:

«Cavat chì scarabòc!» (trad. Levati ‘sti scarabocchi!)
«Signora, son tatuaggi, non posso mica».

Il 1993 fu l’anno del cambiamento. La cosidetta gentrification, Mirna l’ha vissuta sulla sua pelle. Di cosa stiamo parlando? Per usare le parole di C. Hammet la gentrification è “un processo complesso, o un assieme di processi, che comporta il miglioramento fisico del patrimonio immobiliare, il cambiamento della gestione abitativa da affitto a proprietà, l’ascesa dei prezzi, e l’allontanamento o sostituzione della popolazione operaia esistente da parte delle classi medie”.[1] La riqualificazione urbana in sé non è una brutta cosa ma comporta un cambio di popolazione.

Cosa successe con esattezza? Facciamo prima un passo indietro. Negli anni ’70 il centro di Ferrara non era molto ambito dai residenti. I giovani e le famiglie preferivano spostarsi in zona Foro Boario o Arianuova, nel verde delle zone residenziali. Alla fine degli anni ‘80 il processo si invertì: il centro, con i suoi servizi e i suoi locali nuovi, divenne un nuovo centro di attrazione e il centro tornò a ripopolarsi. E’ il famoso risanamento del centro, l’inizio della cosiddetta gentrification.

Cosa successe in via del Cammello? Ce lo racconta Mirna: «Nel ’93 gli abitanti dei palazzi ricevettero una lettera di sfratto. Avevano uno o due anni per andarsene. I padroni di casa avevano venduto tutto agli immobiliari. Il mercato aveva fiutato giusto: il centro stava tornando di moda e i palazzi, adeguatamente ristrutturati, erano un investimento d’oro. Il guaio è che nessuno offrì una buonuscita alle famiglie. Non esiste in Italia uno stato sociale che assiste i più poveri, che prepara delle alternative, che offre delle strutture. Era un ordine categorico: ve-ne-dovete-andare-punto-e-basta. Chi poteva chiese aiuto ai parenti. In Italia è la famiglia lo stato sociale, lo sappiamo bene. Mia mamma si trasferì in periferia grazie al collega di uno zio. Quelli che non avevano nessuno, come gli anziani, finirono in ospizio. E così la nostra micro comunità finì».

E’ ora di cena. Mirna pensa ai ceci caldi di Orsucci e sospira.

«Purtroppo Orsucci non c’è più» dice.
«Come sarebbe? Certo che c’è!»

Ci sediamo ai tavolini in piena Amacord. Ordiniamo un numero imprecisato di ceci e una pizza in due. E’ bello mangiare perché ci si ricorda di essere vivi. E che non tutto cambia e si trasforma. E che a volte i ricordi sono l’unica prova che hai vissuto, la tua biblioteca personale.
Mirna è contenta: «E’ proprio lui, uguale! C’è ancora il pepe in barattoli di plastica giallastra, i bussolotti!» Chissà se a Berlino l’hanno già aperto un negozio di ceci.

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  1. Bridge, S. Watson , (2000), “A companion to the city”, Malden, MA: Blackwell Publishers

 

10 Commenti

  1. bella storia! 🙂 Sarebbe bello anche un tour storico sui piccoli cinema del centro

  2. boom scrive:

    che ricordi! sono cresciuto in porta san pietro negli stessi anni e anche io ho fatto le elementari al varano.. passare di fronte al manicomio di via ghiara e sentire gli ospitalizzati urlare era davvero terribile. ho visto anche io E.T. al mignon nello stesso anno. posso confermare, il centro era abitato da famiglie povere, e si era molto dura. niente di radical chic. però tutto è ancora vivo nei mille ricordi della mai infanzia

  3. diucannonn scrive:

    il barbiere di via saraceno
    ricci
    c’andavamo con le foto di joe strummer
    o paul weller
    ricci tagliami i capelli cosi
    va ben belo
    tac uscivi sempre con la boccia

  4. Sara scrive:

    Cresciuta in Via Muzzina nei primi ’80, vicino al Magic Pub ritrovo di Impact e Strike. Elementari alla Celio Calcagnini (anche lei non esiste più). Si faceva fatica a tirare la fine del mese (forse come ora?) ma sono i ricordi più belli e vividi della mia infanzia. Alla fine degli anni ’80 anche noi ci siamo spostati fuori dal centro per le stesse ragioni, ma niente è più stato uguale…

    • Alessio scrive:

      Ciao Sara.
      Qual’era di preciso il Magic Pub? Io sono classe ’83 e non l’ho mai frequentato. Ma anche sul primo 45 giri degli Strike si vede questo locale!
      Grazie

  5. Ferruccio scrive:

    Grande Mirnaaaa!!!
    Un abbraccione da Ferruccio – Firenze Panx!

  6. Antmus scrive:

    Complimenti, quanti luoghi e momenti in poche righe.

  7. Elena Buosi scrive:

    Stile do racconto di vita dove mi ci ritrovo dall’ inizio alla fine avendo abitatodall infanzia in via Vecchie al num 7 un palazzo storico dei conti Codecà,ma che anzichè essere abitato da nobili era abitato da famiglie di operai con 2 /3 figli e moglie a carico. Ricordo benissimo io bambina /adolescente fare una rampa di scale per andare nel “bagno “una turca da condividere con altre due famiglie.Per non parlare poi della massiccia presenza (specialnente nel granaio che dopo la ristrutturazione è divenuta una stupenda mansarda)di pantegane grandi come gatti.Che dire ricordi di tempi spensierati anche se vissuti nella miseria che cambierei (Non sò perchè)col benessere raggiunto nell’ arco di una vita

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