A due passi da Palazzo Costabili, detto “di Ludovico il Moro”, capolavoro di Biagio Rossetti in via XX Settembre a Ferrara, c’è un antico palazzo che racchiude, tra le sue quattro imponenti mura, più arte e più storia di quanta, purtroppo, io ne possa raccontare in questo breve articolo. Sotto un cielo plumbeo, più autunnale che estivo, mi trovo, puntuale per l’appuntamento, davanti a un grande portone di legno, le cui inferriate, come anche quelle delle finestre, richiamano uno stile liberty ormai appartenente a un’epoca lontana.

Qui, al civico 126/d, risiede da quasi sessant’anni la scultrice Mirella Guidetti Giacomelli, da quando venne ad abitare, a metà degli anni Cinquanta, fresca sposa del notaio Albino Giacomelli, detto Luciano. Le ho chiesto d’incontrarci mosso dalla curiosità di scoprire un’esistenza testimone di più di metà del secolo scorso. Ne è venuto fuori uno spaccato agrodolce del Novecento ferrarese nei suoi aspetti storici, artistici e di costume. Inoltre, le sono stati dedicati due libri, appena editi dalla Faust edizioni e curati dall’amica Gina Nalini Montanari, “Arte senza confini” e “L’anima di un’artista”.

La prima impressione, entrando nel palazzo, è di una vera e propria casa-museo, austera e difficile da comprendere. L’arredamento e le molte, anche maestose, opere d’arte presenti, ricordano gli interni di alcuni film di Visconti. Dopo una visita ai vari piani dell’edificio e all’incantevole giardino, dopo un primo flusso di racconti, aneddoti, sorrisi, iniziano ad affiorare un calore, un’ospitalità inusuali. Diventano vivi, anche per me, la vita di un’intera famiglia, gli affetti e i ricordi mai rimossi, ancora accesi, di un’anima, come quella di Mirella, mai sazia di vita e di bellezza. «In questa casa – mi dice – non mi sento mai sola, c’è la mia vita, la mia famiglia, la mia interiorità».

DAGLI ANNI DEL FASCISMO ALLA MATERNITA’

Nel lontano 1930 Luigia Malaguti, detta Luisa, e Vasco Guidetti si sposano. Sono eredi di due ricche famiglie borghesi, una di Casumaro e una di Mirabello. Vasco, militante fascista e unico figlio maschio su sette, ha con Luigia tre bambini: Luigi, detto Gigi, Tomaso e Mirella. Lei nasce il primo gennaio del 1935 nella casa di famiglia a Mirabello. Sono gli anni del fascismo e della guerra che si avvicina, i Guidetti si trasferiscono a Ferrara, dalla quale fuggono – per tornare a Mirabello – proprio cinque anni dopo, all’inizio del conflitto.

Nonostante sia un fascista convinto, il padre dopo il ’43 è perseguitato dai tedeschi per essersi rifiutato di aderire al Partito Fascista Repubblicano e per aver ospitato, dopo l’assassinio di Igino Ghisellini, gli ebrei Giacomo e Giulio Pesaro. «Li accolse – mi racconta Mirella – con grande affetto e sincerità, mettendo anche a repentaglio la sicurezza della nostra famiglia. Fu un atto molto generoso, da riconsiderare» nel suo pieno valore. I Pesaro fuggono in Svizzera e dopo la fine della guerra scrivono una lettera di ringraziamento al sig. Guidetti, che Mirella, grazie all’aiuto del dottor Riccardo Modestino, è riuscita a lasciare in dono al MEIS cittadino. «L’ho fatto per onorare mio padre. La mia era una famiglia molto pia, religiosa e con un grande cuore, con molto amore verso il prossimo». I tedeschi, però, è proprio il caso di dire, li ha avuti in casa. Mi racconta di quando di sera venivano a battere, col calcio del fucile, al portone della casa di Mirabello, per appurarsi che il padre non fosse fuggito.

La casa materna di Casumaro, invece, i soldati nazisti la occupano quasi totalmente per un breve periodo. «Alla fine – prosegue – si fecero voler bene, ci rispettavano, però la notte che iniziò la ritirata mia mamma mi prese in braccio e mi portò in un rifugio sotterraneo, coperto da semplici frasche». Finita la guerra, il ritorno a Ferrara, l’iscrizione all’Istituto Magistrale San Vincenzo e successivamente gli studi all’Università di Urbino, interrotti dal matrimonio, nel settembre del ’57, con Albino e dalla nascita delle loro tre figlie, Beatrice, Isabella ed Eleonora.

Foto di Giulia Paratelli

UNO SBANDAMENTO PER L’ARTE

Mirella, però, sente che la sua vita non è ancora del tutto realizzata. Nonostante un matrimonio, tre figlie, una casa da sogno, la sua personalità non ha potuto ancora del tutto affermarsi. Il percorso che la porta a diventare una scultrice e medaglista conosciuta in diverse parti del mondo, inizia, probabilmente, durante l’infanzia. Nitido è il ricordo del nonno il quale, per passione, disegnava. Amore che ha trasmesso a Mirella, che da bambina odiava le bambole e gioiva quando le regalavano carta e matite. Ricorda anche il primo corso di pittura dalle sorelle Borgatti, Luisa e Giuseppina, e l’incontro con don Federico Bellati, che le impartiva lezioni di latino, ma che «aveva capito benissimo quanto fossi portata per l’arte. Fu il primo a scoprire in me questa propensione», soprattutto per la scultura.

All’incirca nel 1975, dopo quasi vent’anni dal matrimonio, questo «desiderio di creare e di studiare l’arte è riaffiorato. Ho avuto un vero e proprio sbandamento». Quest’attitudine Mirella inizia dunque a riconoscerla e ad assecondarla. È una fulminazione, un fiume in piena che, improvviso, le sconvolge l’esistenza. «Ho iniziato quasi casualmente a creare», l’ispirazione le viene aiutando una delle figlie a creare col Das una piccola scultura. «Sentivo dentro quest’angoscia di fare ma non ero ancora riuscita a trovare la mia strada, e non la trovavo perché avevo bisogno di utilizzare la mente, oltre alle mani». Riprende dunque lo studio dell’arte, soprattutto classica, non riuscendo mai ad amare fino in fondo gli stili moderni, soprattutto quelli astratti e informali. «Nella scultura – mi dice – sento il bisogno di creare qualcosa di vero, di reale».

 

WOJTYLA, PERTINI, IN GIRO PER IL MONDO

Il 1978 è il vero anno di svolta nell’esistenza di Mirella. Le propongono di creare un Monumento ai caduti in cielo, terra, mare che valorizzi p.zza Verità di Porto Garibaldi. «Chiedo a mio marito il “permesso” di fare quest’opera», la prima pubblica per Mirella e «lui mi dice: “sì, vai avanti”, fingendo di non conoscere la situazione, ma in realtà aveva già parlato con qualcuno. Si è sempre comportato così, se mi aiutava non me lo diceva, lo faceva per responsabilizzarmi, perché imparassi ad affrontare queste situazioni con più forza», con autonomia.

Nello stesso anno, il cardinale polacco Karol Wojtyla diventa Papa. Il volto di quella personalità che si affaccia al balcone di San Pietro sembra fin da subito a Mirella «il volto della speranza», e decide dunque di scolpirlo. Un giorno il dottor Fernando Resca, in visita a casa Giacomelli, vede l’opera e le propone di donarla allo stesso Giovanni Paolo II. Da qui l’incontro in udienza privata col Pontefice, avvenuta nel 1980 nella residenza di Castel Gandolfo. «Fu un incontro molto semplice, sembrava che l’avessi sempre conosciuto. Mi chiese della mia famiglia, del mio lavoro, mi strinse forte le mani, m’incoraggiò a continuare nella mia arte. Quando tornai in visita da lui, con mio marito, allora vicepresidente della SPAL, mi riconobbe subito. Può sembrare incredibile, ma dopo un anno si ricordava di me».

Tante sono le personalità di rilievo che ha avuto la fortuna d’incontrare: tra queste, Giulietta Masina, Rita Levi Montalcini, Alberta Ferretti e Sandro Pertini, l’indimenticato Presidente della Repubblica, in visita a Ferrara nel 1984, al quale Mirella ha dedicato un busto. E poi le tante mostre all’estero, in Romania, Austria, Francia, Svizzera, Russia, solo per citarne alcune.

 

L’AMORE PER IL SACRO, E PER LA VITA

Innumerevoli sono le creazioni artistiche di Mirella, sparse per la città, per l’Italia e per il mondo. E molte altre ben conservate in questa sua abitazione. Un luogo pieno di una spiritualità antica, affascinante, spesso cupa e nostalgica ma pervasa da una carnalità, da un senso del mistero che inquietano e ammaliano. Ogni angolo di questa casa-museo parla il linguaggio dell’arte, della fatica della creazione, richiama epoche remote, simboli e immagini di lotte e di tormenti, di santi e di contadini, di persone care e di miti eterni. Lei stessa, in uno dei libri sopracitati dice: «dopo quarant’anni ancora mi commuovo davanti al miracolo che si ripete ogni volta che le mie mani imprimono vita alla creta informe». Quanti miracoli allora si affacciano tra queste mura, quanti volti, corpi affiorano, frutti di un vissuto, di una storia che è la storia di Mirella, della sua famiglia, della nostra città. Ed è anche la storia dell’umanità, fatta di guerre, di solidarietà, di famiglie, di passioni, di lutti e di una creazione che si rinnova, che deve rinnovarsi.

«Io nella vita non mi sono mai aspettata niente, ma ho avuto tanto, forse perché è proprio quando non si attende niente che si riceve tanto». Con questo spirito, con questo riconoscimento del vero valore della Grazia, con l’umiltà di saper sopportare e di saper riconoscere i doni della vita, Mirella ha trascorso la sua lunga esistenza. Tanti anni, in viaggio per il mondo e ferma tra queste antiche mura, in quel giardino che è un luogo dell’anima, tra quelle anime che ancora qui dimorano, che abbiano i volti delle figlie e dei nipoti, o quelli dei cari scomparsi.

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