I guanti bianchi si usano per le cerimonie, per le cresime, ma a Ferrara si vendono anche per il palio. I guanti per la macchina li compra chi ha le mani che sudano, ma anche chi è snob. Quelli da palestra o da bicicletta costano parecchio di meno».

Nell’atrio della galleria Matteotti, a due passi dal listone, si affaccia uno dei negozi più antichi e suggestivi della città. Si chiama Casa del Guanto, ed è esattamente ciò che promette di essere: uno scrigno ma anche una porta aperta, un sorriso amichevole, una casa nel senso più bello del termine: protezione e accoglienza.

La signora che lo gestisce ha i capelli corti e la permanente, la chiacchiera affabile e svelta. Mi racconta la sua storia tra un cucchiaino e l’altro di gelato. Limone e fragola, con una spruzzata di panna montanta. Un momento ride, un momento assaggia, un momento ricorda e parla.

La signora Floretta Gentilini è arrivata dalle Marche a Ferrara nel ‘58 assieme alla sua famiglia, era una ragazzina. All’epoca aveva solo quindici anni. Il padre – come tanti altri operai della Montecatini, impiegati presso la miniera di zolfo di Cabernardi – era stato trasferito dalla ditta a Ferrara per lavorare alla Montedison. Floretta ha cominciato ben presto a darsi da fare, trovando il suo primo impiego in una pasticceria, dove è rimasta un paio di anni: «i primi tempi la lingua non la capivo proprio per niente, adesso sì. Ormai sono qui da tanti anni, più di cinquanta: il dialetto non lo parlo ma lo capisco, anche quello stretto, con tutti quei brisa, brisa, brisa. Da noi la parlata è più spezzata, vicina al romano». Floretta ha iniziato come commessa alla Casa del Guanto quando il negozio era aperto da pochi anni, gestito dalle Patruno, madre e figlia.

«Qui una volta venivano a comprare le mogli dei medici, dei professori – racconta. Facevano proprio le signore e facevano proprio bene. Giocavano a canasta, prendevano il tè con le amiche, andavano a spasso tutte in pelliccia, facevano la bella vita. Adesso lavorano tutte le donne, anche quelle che potrebbero fare a meno. Questo per me è un po’ un bene e un po’ un male. Io ho dovuto lavorare per forza e per amore, perché a 41 anni sono rimasta vedova con due figli, uno di sedici e l’altro di quindici anni. Se fosse stato vivo mio marito avrei pulito due o tre condomini la mattina, e sarebbe andata bene. Invece così non avevo nessuno che mi aiutava, stavo fuori casa tutto il giorno tutti i giorni. Ogni tanto andavo a fare la spesa con la suocera, anche lei delle Marche, per portarla un po’ fuori. Mi diceva: ma quanto compri! E io rispondevo: ma quanto mangiano i ragazzi! E non erano neanche grassi! Gli preparavo la pasta direttamente nella terrina, da noi si chiama reale. Facevi tre piatti così e non rimaneva più niente della spesa. Avevo libero solo il giovedì pomeriggio. C’era da sgambettare, e tanto. Nei mesi di dicembre e gennaio non chiudevamo mai, due mesi senza un giorno a casa. D’altra parte la nostra merce si vende solo d’inverno, dopo Pasqua la cassa ce la sogniamo».

Foto di Giulia Paratelli

Come mai allora il negozio resta aperto tutto l’anno?

«Durante l’estate vendiamo anche cinture, portafogli, cappellini. D’inverno invece gli extra sono sciarpe e ombrelli. Vendiamo ombrelli che non costano tanti soldi, per chi si rifugia sotto la galleria a causa degli acquazzoni».

Le sue osservazioni sono capaci di riportare in vita una società oggi scomparsa. Ne approfitto per carpire qualche altra chicca, le chiedo come sono cambiati i gusti dei clienti negli anni: «adesso quasi tutti prendono i guanti foderati, una volta non esistevano. Le donne volevano vedersi la manina sottile. Anche i colori scuri una volta non si usavano, si comprava solo il panna, l’avorio, il beige».

Mi faccio raccontare i trend dell’inverno appena trascorso: «come al solito abbiamo venduto al 99% pelle. Il lycra, il jersy di lana e la lana vanno ma meno. Quest’anno i clienti volevano tutti i colori possibili e immaginabili, noi li avevamo».

Provo a capire qualcosa di più sulla pelle, domando informazioni e lei non si fa pregare: «il montone è il più caldo, ma anche il cervo va bene. I guanti foderati di coniglio, con l’esterno di capretto, sono anche molto caldi. Pensa che quando ero piccola abitavano in un paesino, e mi ricordo che le donne quando uccidevano i conigli tenevano da parte le pelli. Le riempivano di paglia per asciugare, perché ogni due mesi passava uno di Napoli che le raccoglieva e le portava giù, proprio per fare le fodere dei guanti».

L’assortimento è veramente incredibile, come incredibili sono gli strumenti di lavoro che si possono scorgere qua e là, oggetti che non avevo mai visto prima come il cuscinetto per appoggiare i gomiti e fare la prova del guanto, montato su una specie di carrellino mobile che corre su un binario parallelo al bancone. Floretta ha rilevato l’attività nel 1996, assieme all’altra commessa che lavorava assieme a lei, Federica Destefani.

Prima di salutare la signora non posso esirmermi dal toccare uno degli argomenti più scottanti dell’estate 2014, ovvero il rifacimento della galleria e le antipatie che recentemente i suoi più assidui frequentatori – i famigerati «ragazzi del Mac» – hanno saputo suscitare: «sono terribili, fanno i dispetti. L’altro giorno hanno tirato quacosa e mi è arrivato sulla vetrina. Ieri stessa scena, per un pelo tiravano già il lampadario. Magari fosse caduto! Almeno sarebbero venuti i vigili. Spesso vengono a sedersi anche qua davanti al mio negozio. Fintanto che ce n’è uno lascio perdere, ma a volte mi occupano l’intero gradino».

1 Commento

  1. bassan emanuela scrive:

    Bell’articolo su un negozio che conosco. Un saluto anche alla modella Anja

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